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Se non posso cantare non è la mia rivoluzione: paura e delirio di un complottismo militonto #freepussyriot

Da Effettofarfalla:

(Articolo pubblicato anche su Umanità Nova!) 

Premessa: sì, voglio aggiungere verdure al fuoco (non carne, ché lo specismo mi ripugna assai) perché l’omertà è la prima amica di qualunque stato di cose, e questo stato di cose a me non garba; per inciso,  mi interessa raccontare le cose come vanno dal mio punto di vista, che non è né neutrale (la neutralità non esiste!) né tantomeno complice di una pseudomilitanza che considero tumore della lotta di classe e  della liberazione da una società sessista, razzista, specista, omo/lesbo/transfobica e chi più ne ha più ne metta. Chiaro? 

La vicenda Pussy Riot ha scatenato un dibattito feroce, che, a quanto pare, ha fatto rotolare più teste che qualunque incontro sul sessismo nei movimenti.

Il peggior sfregio fatto loro non consiste nel non essere d’accordo con le loro pratiche – cosa più che legittima – ma nel diffondere, con gli occhi coperti da fette di salame antimperialista, falsità e idiozie micidiali, ritenendo inoltre di fare l’analisi politica del secolo! Repubblica tra le righe le descrive come un branco di cretine scappate di casa per sovversione post-adolescenziale; altrove non vengono dipinte in maniera molto differente: esistono e sono conosciute da ben prima dell’estate, e non sono certo delle autrici di musica blasfema e imbecilli tout-court; non si possono quindi liquidare solo con pruriginose accuse di “zoccolitudine” qua e là.

Vogliono Putin fuori dalle ovaie, né più né meno. È troppo? Forse sì, per coloro che riescono a scorgere nella bandiera femminista sventolata dal gruppo in una foto, il pugno simbolo di Otpor, creatura onnipotente del mostro statunitense che controlla di sicuro ogni forma di opposizione esistente. Paura, eh? Il fantasma dell’ortodossia crea ovunque pseudofalangi della CIA e fa dimenticare che il pugno è presente nell’immaginario dei movimenti sociali da un bel po’.

Si chiama provocazione, situazionismo, per chi non lo sapesse; e non si tratta certo di santificare un gruppo punk, perché di questo parliamo, ma di prendere le questioni politiche per quello che sono: appunto questioni politiche, non giudizi pieni di pudore e moralismo. Cos’è tutta questa “sobrietà” della militanza? È stato inventato il burqa antagonista e nessuno s’è degnato di farlo sapere? Accidenti. Qualche minuto di performance musicale contro lo stato teocratico russo garantiscono due anni di lavori forzati, mica acqua fresca. Non è forse sufficiente, non è forse repressione? No, dice qualcuno: “E gli antifascisti russi in galera, e i minatori sardi?”

Novità! Lo sapevate che non è mica impossibile volere contemporaneamente la libertà per le Pussy Riot, per gli antifascisti russi, per i minatori e chiunque altro/a? Ma i complottisti di professione, con piglio inquisitorio, et-voilà, dicono che non si può. Il complottismo è sempre reazionario, perché partendo dal presupposto che tutto, dissensi compresi, siano manovre di non ben precisati poteri forti, non lasciano spazio ad alcun tipo di opposizione se non quella farlocca portata avanti dai “guru” di turno. Non si può: blaterano cretinate come l’equazione femminismo = maschilismo, e la loro mancata solidarietà a vittime di repressione – condita di geopolitica alla rossobruna e paternalismo – li smaschera per quello che sono: reazionari, maschilisti, o più semplicemente fascisti. E quando queste ipotesi vengono riciclate e date per buone da un certo antagonismo, cresce quasi spontanea la rabbia generale contro chi ritiene normale asserire che la lotta di classe viene prima di qualunque altra lotta e che il resto, semmai, verrà dopo.

D’altronde in Italia è considerata prassi quasi accettabile quel sessismo strisciante che trova spazio fertile a partire dai milioni di persone che scendono in piazza assieme a Se non ora quando e affini, come se il problema fosse la presunta poca moralità del potere e non il potere stesso. È questo sessismo che culmina nei femminicidi, nascosti da eufemismi balordi come il “delitto passionale”.

Non è accettabile far passare che esista esclusivamente UNA sola lotta, l’unica possibile e necessaria: la storia insegna che chi non vuole una liberazione a tutto tondo ora, non ha alcuna ragione per volerla dopo, in un ipotetico futuro post-rivoluzionario. Il tentativo di una tassonomia delle istanze già da solo dimostra la volontà assoluta di non volerne portare avanti nemmeno una, né oggi né mai. Per quale motivo in una società “liberata” magicamente dovrebbero sparire gerarchie e forme di autoritarismo mai messe in discussione in precedenza? Non ha senso, e infatti non vuol essere altro che una giustificazione in calcio d’angolo a un machismo “militante” fin troppo diffuso che addita il passamontagna fucsia a male supremo dell’umanità, troieggiante e sul libro paga di Soros e compagnia.

Se non posso cantare, non è la mia rivoluzione! Liberi tutti e libere tutte.

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Posted in Anti-Fem/Machism, Misoginie, Pensatoio, R-esistenze.

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2 Responses

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  1. a proposito di vittime della repressione says

    supportiamo Cece – No alla transfobia
    http://supportcece.wordpress.com/

  2. Alexandra Kollontai says

    mamma mia che militonti!:
    http://www.militant-blog.org/?p=6186