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La società de/generata (streghe, femminismo, morale, controllo sociale, biopotere)

Quelli che leggerete sotto sono capitoli di un bel libro. “La società de/generata” di Alex B. (Edizioni Nautilus) è anche una sintesi storica efficace che ci parla di questioni di genere, sessismi, livelli di oppressione che hanno visto chiesa, scienza, totalitarismi in fila ad opprimere donne, gay, lesbiche, trans a realizzare in pesante controllo sui corpi e sulla sessualità di ogni persona per realizzare quello che viene definito biopotere. I capitoli a seguire (Medioevo e caccia alle streghe; Settecento e Ottocento; La nascita del femminismo; Dalla morale religiosa alla morale scientifica; Il controllo sociale della riproduzione; L’isterizzazione del corpo della donna) sono solo un assaggio del ben più corposo libro che vorrei qui farvi leggere poco a poco per intero salvo il fatto che ricopiarlo è faticoso (:)) anche se vale la pena condividere ogni parola. A seguire si leggerà della psichiatria come mezzo di repressione autoritaria delegata a normare corpi e sessualità, e di Stato, e di movimenti omosessuali, e di queer, e di sessismo, generi, pratiche di rivolta per definire in maniera precisa quelle che chi scrive chiama “Teorie e pratiche anarcoqueer”. Leggetevi questi capitoli e procuratevi il libro e se avete tempo copiate qualche capitolo da condividere con chi il libro non ce l’ha perché queste descrizioni e parole arrivino lontano. Buona lettura!

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Medioevo e caccia alle streghe

La chiesa è stata la prima a imporre una visione moralistica della sessualità in cui la scelta dei partner e i particolari della propria vita sessuale venivano interrogati e posti sotto giudizio per rispettare rigidi codici morali, pena pesanti punizioni. Il cristianesimo ha anche informato le nostre idee sui rapporti tra persone dello stesso sesso, le nostre idee sull’inferiorità della donna, sul pudore, la “sporcizia” e l’immoralità intrinsechi nella sessualità.la confessione dei peccati, seguita dalla penitenza e dal perdono, diventa una pratica privata solo nel V secolo, mentre prima avveniva sulla pubblica piazza e provocava serie conseguenze sul piano sociale. Ai dirigenti ecclesiastici spettava il compito di scrivere i libri penitenziali che determinavano le linee guida sulle azioni e i comportamenti da punire, tra cui avevano particolare rilevanza quelli di natura sessuale, mentre i preti dovevano eseguire materialmente questo compito nell’ambito delle loro parrocchie. E’ stato detto da più parti che questi manuali di confessione potrebbero rientrare a pieno titolo nella letteratura erotica, tanto sono dettagliate le descrizioni degli atti sessuali da condannare, e tanto sono variegate le fantasie erotiche represse e immaginate dai loro autori. Michel Foucault riscontra proprio nel meccanismo della confessione la procedura di potere-sapere tipica dell’Occidente nel produrre la verità sul sesso, in contrapposizione ad altre società, come la Cina, il Giappone, l’India, Roma e le società arabo-musulmane, che si sono invece date un’ars erotica in cui il sapere è tratto dal piacere stesso ed è funzionale al suo accrescimento. L’estorsione della confessione dei peccati sessuali, rafforzata dai meccanismi di punizione e tortura tipici del Medioevo, si porrà come uno tra i riti più importanti da cui si attende la produzione della verità, e in seguito propagherà i suoi effetti in ambiti diversi, quali la giustizia, la medicina, la pedagogia, la famiglia, le relazioni amorose, la psicanalisi, fino a diventare vera e propria scientia sexualis. La sessualità diventa così un segreto, qualcosa che si ha l’obbligo di nascondere e il dovere di confessare, qualcosa di vergognoso che trova il perdono, il riscatto, la liberazione delle colpe solo nell’ambito della confessione e della penitenza.

E’ interessante riportare alcuni esempi di sanzioni previsti dai libri penitenziali per i vari peccati di natura sessuale: punizioni abnormi e sproporzionate rispetto a quelle previste per peccati di altra natura, probabilmente per spaventare le persone più semplici e per consentire alle gerarchie ecclesiastiche di sperimentare nuove procedure di controllo sugli aspetti più intimi della vita di ogni appartenente alla comunità. Nel VI secolo il vescovo di Arles, Cesario, qualifica l’aborto e la contraccezione come omicidio e prevede per questi peccati la “morte eterna nell’inferno”. Nel testo del VIII attribuito a Teodoro, arcivescovo di canterbury, si suggerisce una pena ecclesiastica (l’esclusione dai sacramenti e dai riti) di sette anni per l’omicidio premeditato, mentre per il rapporto orale la pena varia dai 7 ai 15 anni, 10 per il rapporto anale. nel X e XI secolo si diffonde la pratica di interrogare i penitenti anche su quello che sanno o hanno sentito dire riguardo le trasgressioni commesse dai compaesani. Gli interrogatori diventano sempre più dettagliati, e a essere interrogate sono in particolar modo le donne: d’altronde per loro le penitenze minacciate erano molto più pesanti che per gli uomini, verso i quali vi era una maggiore accondiscendenza. nell’opera di Bucardo, vescovo di Worms, che raccoglie e sviluppa i testi penitenziali prodotti fino a quel momento, per le donne è previsto il castigo di un anno per il peccato di masturbazione, fino a cinque o sei anni per l’uso del fallo artificiale, da tre a cinque anni per i rapporti con altre donne; altre pene molto pesanti erano previste per i peccati legati alla stregoneria, la cui gravità era equiparata all’omicidio. Riguardo a questi ultimi la Chiesa cominciava a nutrire vivo interesse: “avvelenare, usare talismani a scopo malefico, insegnare pratiche abortive, dedicarsi alla bestialità, bere lo sperma del marito, sognare di andare di notte in luoghi lontani per cuocere sulla graticola il cuore degli uomini” (Cesare Mannucci, Puttana Eva!, p. 62). Agli uomini, invece, venivano comminati soltanto pochi giorni di penitenza se dormivano con una donna che non era la moglie, accarezzavano altri uomini o utilizzavano “una macchina” per  masturbarsi. Le donne, soprattutto quelle più indipendenti e refrattarie a sottomettersi alla morale maschile dominante, erano viste dalle alte cariche ecclesiastiche come una minaccia, un grave pericolo per l’istituzione sociale della famiglia, fondamentale per il clero come strumento di controllo sociale e delle coscienze. Questa misoginia della Chiesa emergerà con una violenza ancora maggiore poco più avanti, con il genocidio perpetrato mediante la cosiddetta “caccia alle streghe”.

Il monachesimo fiorì lungo tutti i secoli del Medioevo, secondo ideali di ascetismo comprendenti il triplice voto di castità, povertà e obbedienza, oltre all’impegno a vivere nell’austerità, nel duro lavoro manuale e nella preghiera. A parte queste scelte volontarie di astinenza sessuale, fu incessante all’interno della Chiesa il dibattito riguardante il celibato ecclesiastico. Dal IV secolo in poi vi fu una forte pressione perché i preti abbandonassero mogli e concubine, un sollecito raramente messo in pratica finché nel 1139 papa Innocenzo II dichiarò il matrimonio dei preti e dei religiosi automaticamente invalido e illecito. La protesta del basso clero continuò per secoli, finché nel Cinquecento, con la riforma protestante, il cristianesimo si scisse in diverse chiese (luterana, anglicana, valdese e calviniste), tra cui solo quella cattolica mantenne l’obbligo di celibato per il clero. La pratica evidentemente non si accordava con il precetto poiché gli scrittori del Medioevo descrissero spesso i conventi e altri luoghi di dimora del clero come un ricettacolo di sessualità diffusa: “i vescovi vivevano apertamente in peccato mortale con le loro stesse figlie e gli arcivescovi concedevano alte cariche ai loro favoriti maschi”. I preti peccavano di incesto con la madre o la sorella, nei conventi erano frequenti le relazioni lesbiche o con uomini di passaggio, tant’è che erano numerosi anche gli infanticidi consumati tra quelle mura.

Il Medioevo fu caratterizzato. sul piano ideologico, oltre che dai contributi moralistici della Chiesa sul sesso, anche dall’ideale dell’amore romantico nella letteratura e nella poesia. Questo tipo di attrazione viene descritta come l’amore di un uomo per una donna della più alta rispettabilità, che non ha la finalità di arrivare al rapporto sessuale ma piuttosto di conquistare il cuore dell’amata attraverso un lungo corteggiamento ed estenuanti pene d’amore. Ogni mezzo è tentato per arrivare ala donna, descritta come un essere sublime, superiore, di grandissimo valore morale: canzoni, poesie, tornei, prove d’amore. La religione cristiana ha sicuramente esercitato un’influenza notevole su questo ideale, che riflette una concezione del sesso come essenzialmente impuro, tanto da rendere rispettabile l’amore solo se platonico, ovvero irraggiungibile e automortificante. Il corpo, i sensi, gli istinti erano considerati il risultato della corruzione dovuta al peccato originale; la vita terrena una sofferenza da sopportare. Solo l’amore romantico rispondeva a questa visione e abbracciava le aspirazioni morali e gli elementi spirituali del cristianesimo. Questo sarà evidente nel dolce stil novo di dante, che arriverà a considerare l’amore come il viatico per uno stato di santità e beatitudine.

Con la “caccia alle streghe” del XVI e XVII secolo, la misoginia e l’autoritarismo della Chiesa raggiunsero il culmine. Dopo la nascita del papato, la Chiesa era ormai diventata un’istituzione nelle cui mani si accentravano un potere politico enorme e ricchezze considerevoli. I nemici della Chiesa cominciarono a essere combattuti sanguinosamente: gli ebrei non convertiti, i movimenti cristiani eretici, l’islam, il paganesimo che resisteva. le crociate e l’Inquisizione sono solo le manifestazioni più visibili di un’operazione di repressione del dissenso durata secoli, che ha portato il cristianesimo a ottenere il monopolio della morale religiosa nel mondo occidentale.

L’Inquisizione, in particolar modo, facendo leva sull’ignoranza e sulla superstizione, pose in atto una sistematica campagna di persecuzione e di sterminio per centinaia di migliaia di donne, messe al rogo in tutta Europa nel corso del Cinquecento e del Seicento. Si stima che, sul totale delle persone uccise dalla Santa Inquisizione, le donne rappresentino almeno il 90 per cento: come vedremo, non si tratta di una casualità. nel 1484 papa Innocenzo VIII stila un documento che, raccogliendo tutte le credenze popolari, afferma che il mondo è pieno di streghe e di stregoni e delega ai dominicani Heinrich Institor e Jacob Sprenger il ruolo degli inquisitori, i quali avranno l’obiettivo di punire le persone ritenute colpevoli di stregoneria. I due monaci pubblicheranno tre anni più tardi il primo e più famoso manuale di caccia alle streghe, Il Malleus Maleficarum. Il libro si occupa delle tecniche da usare negli interrogatori (più avanti verrà chiamata tortura) e delle azioni giudiziarie da seguire; ma contiene anche un lungo trattato sulla stregoneria, che trae i suoi riferimenti dalle scritture e dalle dottrine di alcuni teologi, primi fra tutti Agostino e Tommaso D’Aquino.

In breve tempo i pamphlet e i manuali che denunciavano l’inquietudine riguardo al diffondersi della stregoneria si moltiplicheranno, e saranno le stesse autorità religiose a fare visita ai villaggi per incutere paura e diffondere consigli su come riconoscere le streghe. Spesso veniva annunciata la data in cui l’inquisitore sarebbe arrivato, e da quel momento tutti si sentivano in dovere di individuare un membro della comunità da “sacrificare”, per non incorrere nel rischio di essere sospettati.

I processi alle persone sospettate di stregoneria erano una vera e propria farsa e si svolgevano secondo un rituale comune in tutti i luoghi e in tutti i tempi: ogni giudice aveva il suo manuale con le domande da porre, sempre le stesse, a cui la vittima poteva solo rispondere affermativamente. Se confessava veniva arsa sul rogo, se non confessava veniva torturata finché non cedeva. facile immaginare coma mai tutte, dopo le più svariate torture, finissero per ammettere di aver praticato la stregoneria, di avere avuto rapporti sessuali von il diavolo, di essere possedute e qualunque altra cosa il loro aguzzino intimasse loro di dire.

Le esecuzioni, effettuate tramite il rogo o l’impiccagione, erano pubbliche e tutta la comunità era tenuta ad assistervi, pena il sospetto di essere colpevole o complice della strega processata. Insieme agli inquisitori arrivavano anche medici, amministratori, esponenti del clero e boia.

L’organizzazione perfetta dell’Inquisizione era talmente capillare che scatenò un vero e proprio clima di terrore in tutta Europa: nessuno si sentiva immune dal sospetto, poiché bastava un semplice gesto o una parola per essere denunciati alle autorità religiose ed essere messi al rogo, e numerose furono le delazioni tra abitanti dello stesso villaggio, perfino tra parenti, dovute al clima di paranoia collettiva. la prima strega processata fu nel 1264, mentre l’ultimo stregone salì al rogo in Spagna nel 1780. Si calcola che nei soli due secoli di maggior persecuzione le donne vittime della Santa Inquisizione furono settecentocianquantamila, un vero e proprio olocausto dimenticato, mentre il numero degli ebrei, streghe ed eretici uccisi si attesterebbe intorno ai dieci milioni.

Negli stessi secoli in cui l’Inquisizione mostrava il pugno di ferro della Chiesa e la sua potenza uccidendo impunemente migliaia di persone, si sviluppò una nuova fase della cultura dell’umanità, il Rinascimento, che nacque con l’umanesimo e si sviluppò attraverso la rivoluzione scientifica. Il seicento segnò la nascita della scienza moderna, subito osteggiata dalla Chiesa ogniqualvolta le sue scoperte si rivelavano in contrasto con quanto sostenuto dalla parola sacra della Bibbia: Giordano Bruno fu messo al rogo, galileo Galilei dovette ritrattare le sue tesi di fronte all’Inquisizione per evitare la morte, e molti altri scienziati furono processati dalle autorità ecclesiastiche. Questo nuovo fervore scientifico porterà comunque, entro breve, all’affermazione di una maggiore libertà di pensiero, al decadimento di tutta una serie di superstizioni di tipo religioso e a una perdita di potere da parte della Chiesa. Il contrasto tra religione e scienza si risolverà nella vittoria ideologica di quest’ultima, segnando l’inizio di un percorso che durerà secoli e che porterà l’autorità scientifica a sovrastare sempre più quella religiosa, un processo in corso tutt’oggi.

Tornando all’Inquisizione, alcune analisi di questo periodo storico inseriscono la caccia alle streghe nel clima creato dall’Illuminismo, e la definiscono disfunzionale alla nascita della società capitalista. In effetti la persecuzione e le esecuzioni portate avanti dalla classe dominante nei confronti di fasce sociali più deboli sono state anche un mezzo importante per sperimentare sistemi di controllo sociale più vasto, sfaldare forme di vita comunitarie e rafforzare i ruoli di genere tradizionali, premesse che serviranno più avanti nella creazione di una società capitalista.

La Chiesa e lo Stato, nel XVI secolo, rafforzano il loro potere e la loro alleanza. I tentativi della Chiesa di ottenere il controllo sui discorsi morali, sulle funzioni amministrative e sulle terre che portavano ricchezza si espressero attraverso la persecuzione non solo delle “streghe” ma anche dei movimenti radicali, degli ebrei, dei musulmani, degli eretici e degli scienziati, che diffondevano una visione contrastante con quella della Bibbia. Cambiò anche la modalità: in precedenza il controllo sociale dei comportamenti, nella vita dei villaggi, era una questione interna. I comportamenti immorali o antisociali erano visti con disprezzo o ridicolizzati, scarsa era la tolleranza alla non conformità. Con i cambiamenti sociali che indussero sempre più persone a trasferirsi in città per lavorare o a concentrarsi sulla propria sfera economica privata, il controllo sociale cominciò a confluire sempre più nelle mani delle autorità. Le vecchie celebrazioni di villaggio vennero sostituite dai rituali della Chiesa, così molte forme di vita sociale comunitaria, feste e divertimenti furono proibiti.

Le donne perseguitate dall’Inquisizione erano di bassa estrazione sociale, e a denunciarle all’Inquisizione erano solitamente membri del clero o abitanti privilegiati della stessa comunità: era sufficiente avere un carattere eccentrico o ribelle, soffrire di epilessia o disturbi nervosi (secondo la Chiesa erano segni di possessione), condurre una vita sessuale più libera del dovuto, praticare la contraccezione o l’aborto, e conoscere i segreti delle erbe per suscitare il sospetto di essere in affari con il demonio. Stessa sorte capitava alle donne e agli uomini che chiedevano l’elemosina, migravano, si prostituivano, o erano senza lavoro: i poveri furono i primi a essere criminalizzati e perseguitati. Ancor di più se donne.

Ma perché furono quasi tutte donne le vittime dei processi di stregoneria? Le streghe venivano rappresentate come esseri assetati di lussuria, pericolose predatrici, inclini per natura alla malizia e al peccato, responsabili del male che affligge l’umanità, come è ben illustrato dal mito di Adamo ed Eva che sta alla base della concezione cristiana del peccato. Fu proprio il pregiudizio religioso dell’inferiorità della donna e della sua natura carnale (quindi peccaminosa) a determinare un particolare accanimento nei confronti del genere femminile: le donne dovevano essere represse nei loro istinti di indipendenza e ribellione, il controllo della fertilità del loro corpo doveva essere ricondotto all’autorità maschile e loro stesse dovevano tornare a svolgere il loro ruolo di custodi del focolare domestico e della famiglia. Non per nulla nei secoli successivi lo stereotipo della donna sessualmente attiva e aggressiva decadrà in favore del modello femminile diametralmente opposto, che considera la donna essenzialmente asessuata, apassionale, passiva, a causa di un drastico cambiamento nei contenuti delle teorie mediche sulla differenza sessuale.

Settecento e Ottocento

Thomas Laquer, nel suo L’identità sessuale dai greci a Freud, situa nel settecento il punto di svolta per il passaggio da una visione monosessuale, ovvero basata sulla credenza in un unico sesso con diversi gradi di perfezione, alla visione bisessuale, che sopravvive ancora oggi, di due sessi opposti e complementari.

Fin dall’antichità la donna era stata vista come la versione inferiore di un sesso universalmente maschile, secondo uno schema in cui le differenze biologiche si situavano su un asse verticale con un numero infinito di gradazioni; gli stessi organi riproduttivi erano considerati il riflesso di una gerarchia che impregnava l’intero cosmo. Nel Settecento gli organi genitali diventano invece il fondamento di una differenza incommensurabile tra i due sessi: uomo e donna diventano specie completamente diverse, le cui differenze sono situate agli estremi di un asse orizzontale il cui spazio intermedio è vuoto. Gli organi femminili acquisiscono un nome proprio, mentre in precedenza si era soliti designare con gli stessi termini gli organi considerati della stessa natura e differenti solo il grado di sviluppo (vagina e pene, ovaie e testicoli, ecc). nelle raffigurazioni anatomiche lo scheletro e il sistema nervoso maschile e femminile iniziano a venire rappresentati come completamente diversi.

Mentre in passato i medici ponevano in primo piano lo studio del piacere sessuale sia maschile sia femminile, e anzi si credeva che l’orgasmo femminile fosse fondamentale per la riproduzione, a partire dalla scoperta del ruolo delle ovaie e dei meccanismi del concepimento il piacere femminile divenne un fenomeno secondario, escluso dai manuali medici. Si cominciò a teorizzare che la donna fosse naturalmente passiva, apassionale, spesso frigida o con scarso istinto sessuale, incapace di provare piacere, in totale contrasto con quello che era stato detto per molti secoli prima: la donna era sempre stata rappresentata come sessualmente sfrenata, con forti impulsi erotici istintivi che spesso non poteva controllare e che travolgevano la razionalità dell’uomo: gran parte dei processi alle “streghe” fu intentata sull’accusa di sfrenatezza sessuale da parte di queste donne.

Questa concezione nata nel Settecento che vede il genere femminile come meno interessato al sesso e più rivolto alle relazioni romantiche, in contrasto con un genere maschile del quale viene giustificato ogni eccesso sulla base della “naturalezza” delle sue pulsioni sessuali, persiste ancora oggi: le ragioni di questo cambiamento di visione possiamo andarle a ricercare nell’interesse maschile a giustificare una mancanza di attenzione verso il piacere femminile o come mezzo per giustificare tradimenti da parte del maschio con la scusa dell’esigenza “naturale” di sfogare la propria sessualità.

Il nuovo fondamento ideologico del genere diventa la biologia, e la natura femminile viene ridotta ai suoi organi riproduttivi, come ben dimostrano alcune affermazioni dei medici dell’epoca: “le donne debbono la loro maniera di essere ai loro organi generativi, e specialmente all’utero” (medico del ‘700), “Una donna esiste soltanto attraverso le sue ovaie” (Victor Jozé, 1985).

Le ragioni di questo radicale cambiamento di visione riguardante i sessi possono essere rintracciate in diversi fattori strettamente connessi al periodo storico in questione: gli scienziati insistono nel sottolineare la distinzione tra superstizione e realtà oggettiva del corpo, tra religione e scienza; contemporaneamente cade la credenza in una stretta corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo, in favore di una scienza basata sullo studio della “natura” come criterio oggettivo. Il Settecento e l’Ottocento sono oltretutto un’epoca di grandi sconvolgimenti sociali, di nuove lotte per il potere e lo status, di un ampliamento della sfera pubblica. La borghesia consolida il proprio primato economico con il controllo dello sviluppo capitalistico, esercitando un potere sempre più ampio. La scienza acquisisce una credibilità privilegiata rispetto alla religione, la discussione si sposta verso la natura e il sesso biologico andando a soppiantare le spiegazioni basate su un ordine trascendentale. Nasce la sessuologia, una nuova branca della scienza. Emergono i primi movimenti di emancipazione femminile, ed è proprio in risposta alle rivendicazioni di questi ultimi che si cominciano a cercare i fondamenti biologici dell’ordine morale: gli organi riproduttivi diventano la giustificazione naturalistica dello status sociale predeterminato di uomini e donne.

Nel corso di due soli secoli sono innumerevoli le scoperte sull’anatomia dei corpi e sulla riproduzione umana che metteranno in discussione la visione del corpo di Aristotele, Galeno e degli altri medici dell’antichità, visione che ancora sopravviveva tra la popolazione grazie alle traduzioni dei testi greci ed evidente nella formazione di molti medici moderni. Emergono nuove conoscenze sullo sviluppo del feto, sull’ovulazione e sugli spermatozoi, sul concepimento, sulle mestruazioni. Alla metà dell’Ottocento le nuove scoperte sullo sviluppo fetale dimostrano che clitoride e pene, così come ovaie e testicoli, labbra e scroto, hanno un’origine embriologica comune, e solo dopo il terzo-quaro mese di gravidanza il sesso del feto comincia a distinguersi.Questa scoperta tenderebbe a confermare il vecchio modello monosessuale, più che il modello della differenza: la verità è che nessuna delle nuove scoperte indicò la via al dimorfismo sessuale, ma per motivi di convenienza si volle cominciare a concepire il rapporto maschio-femmina come caratterizzato dalla differenza e dall’opposizione anzichè la loro interpretazione: il modello bisessuale, una volta incorporato il linguaggio della scienza, cominciò a essere applicato a qualunque costrutto. La presenza di spermatozoi fu individuata in tutti gli animali e anche in alcuni invertebrati, e perfino alle piante, in botanica, su assegnato un sesso maschile o femminile!

L’Ottocento fu l’epoca dell’anatomia patologica, dello studio dei cadaveri: è l’inizio della scienza moderna, di un modo di considerare il corpo umano come un insieme di organi distinti nei cui tessuti va ricercata la salute o la malattia e per cui le differenze individuali hanno scarsa o nulla importanza.

La nascita del femminismo

Dal punto di vista sociale, le idee di uguaglianza e libertà diffuse dall’Illuminismo misero in crisi il modello maschile, e fu messo in discussione il ruolo dell’uomo all’interno della famiglia e nella sfera pubblica. Le promesse della Rivoluzione francese diedero vita a un nuovo femminismo, che scatenò una dura reazione contraria. Chi voleva mantenere i privilegi legati al proprio ruolo di genere cominciò a rivolgersi alla natura e alla biologia per trovare prove a sostegno della differenza sessuale:

La creazione di una sfera pubblica borghese sollevò con forza raddoppiata la questione di quale sesso/i dovesse/ro legittimamente occuparla. E ovunque la biologia fece il suo ingresso nel discorso. Naturalmente, quanti avversavano una crescita del potere civile e privato delle donne (ossia la stragrande maggioranza degli uomini colti) produssero prove dell’inidoneità fisica e mentale delle donne a questi progressi: i loro corpi le rendevano inadatte ai nuovi straordinari spazi che la Rivoluzione aveva inavvertitamente aperto. Ma anche il femminismo rivoluzionario adottò il linguaggio dei due sessi.

Paradossalmente, femministe e antifemministi adottarono argomenti molto simili a dimostrazione delle loro teorie. Chi voleva ostacolare l’emancipazione femminile sosteneva che la maggior forza “di mente e di corpo” dell’uomo lo poneva in condizione di superiorità e di potere nell’ambito familiare e nell’ordine coniugale, oltre che nella sfera pubblica, rispetto alla donna. Secondo la dottrina delle sfere separate, il posto della donna sarebbe determinato dal suo corpo: le donne vengono rappresentate come creature che, per una varietà di ragioni biologiche, non sono in grado di assumere responsabilità civiche, poiché come ebbe a sostenere un medico dell’epoca, “l’utero predispone naturalmente le donne alla vita domestica”.

Nasce contemporaneamente un discorso femminista sulla differenza, che sostiene che proprio in virtù delle profonde diversità fisiche e di predisposizione tra uomini e donne, l’ingresso delle donne in politica è fondamentale per il contributo unico che può apportare. Anna Wheeler, di tradizione socialista utopista, adotta acriticamente la concezione ottocentesca della donna come priva di pulsioni e passioni, e ne ribalta l’utilizzo affermandone la positività. nella sua visione infatti solo la donna, in virtù della sua emancipazione dal corpo e del predominio in lei di una mente razionale, può portare la civiltà ad abbandonare le passioni distruttive: sarebbe quindi superiore all’uomo per empatia e moralità, e per questo più adatta di lui a governare e agire per il bene collettivo. Il fatto stesso di essere più deboli fisicamente sarebbe per le donne un pregio, perché le renderebbe incapaci di opprimere gli altri.

Mary Wollstonecraft, spesso citata come la prima vera teorica femminista della storia, si attesta su posizioni molto simili: la donna sarebbe migliore dell’uomo nel controllo delle passioni e degli appetiti, anzi quasi asessuata, e il suo ruolo sarebbe quello di civilizzare gli uomini ed educare i figli alla virtù.

Sarah Ellis condivide la concezione delle donne che le raffigura come creature più comprensive e meno passionali dell’uomo, dotate di moralità ed empatia, che dovrebbero contribuire con la loro sensibilità alla lotta contro le guerre, la schiavitù, la pena capitale e la crudeltà sugli animali.

Elisabeth Blackwell, medico oltre che femminista, associa la civilizzazione con il controllo degli istinti sessuali, processo che secondo lei dovrebbe essere portato avanti innanzitutto dalle donne, poichè esse sarebbero guidate nel sesso dall’istinto di maternità, quindi da impulsi più razionali, mentali ed emotivi rispetto a quelli degli uomini, visti come aggressivi e insensibili. Blackwell associa il sesso alla bestialità e arriva ad assegnare un grande valore alla castità.

Da questa rassegna di programmi politici emerge chiaramente il posto centrale assunto anche nel primo femminismo dalle teorie sulla differenza sessuale. Un paradigma scientifico senza alcuna base oggettiva diventa il terreno di scontro per istanze di mantenimento del privilegio da un lato e per l’emancipazione dall’altro, senza tuttavia essere messo in discussione criticamente. Il rapporto di differenza tra corpo maschile e corpo femminile, e tra moralità maschile e moralità femminile, diventa l’arma della lotta culturale e politica. Chiaramente i medici dell’ottocento tendevano a interpretare le scoperte e le nuove teorie in senso conservatore, ovvero in modo che confermassero la suddivisione dei ruoli di genere e i privilegi preesistenti: nel corso della storia, la scienza si è posta quasi sempre a difesa delle classi dominanti.

Con la sua pretesa di imparzialità e oggettività, anche nell’Ottocento la scienza cercò di arginare le rivendicazioni di uguaglianza sociale delle donne dimostrando come queste fossero per natura inadatte e incapaci in alcuni ruoli, oltre che fisicamente e mentalmente inferiori agli uomini; dall’alto della loro autorità, i medici sostenevano che le profonde differenze fisiche e mentali tra i sessi non potevano essere ignorate, e che erano queste a determinare “naturalmente” la divisione sociale del lavoro e dei diritti.

Sia le femministe sia gli antifemministi adottarono come verità oggettive alcune presunte scoperte scientifiche, che tra l’altro ribaltavano o si ponevano in contraddizione con le teorie scientifiche opposte, promosse fino a poco tempo prima: l’assenza o scarsità di passione nella donna, la separazione tra mente e corpo, la visione del sesso come istinto bestiale da controllare, la differenza abissale tra i due sessi.

Questa prima ondata del femminismo, oltre che rifarsi a concetti medici e religiosi (cosa che, come vedremo, accadrà anche con i primi movimenti per i diritti omosessuali), portava avanti rivendicazioni emancipazioniste di parità di diritti, parità economica e lavorativa, diritto di voto e partecipazione alla vita politica, senza porre in atto una vera analisi delle radici dell’oppressione. La liberazione della schiavitù della categoria “donna” viene richiesta esattamente a quelle stesse istituzioni che, nei secoli, avevano perpetuato e giustificato la schiavitù con ogni mezzo necessario.

Ma alcune voci si levavano fuori dal coro, portando l’analisi a una profondità ben maggiore e rifiutando una visione così limitante del problema. Emma Goldman, anarchica, femminista militante vissuta negli Stati Uniti a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, criticò fortemente il movimento suffragista, sostenendo che il diritto di voto avrebbe rafforzato solo l’onnipotenza dello Stato e che fossero proprio quelle istituzioni, quelle barriere artificiali che si frappongono tra noi e la nostra libertà, tra noi e lo sviluppo della nostra personalità individuale, a dover essere abbattute. per Goldman, la liberazione della donna passa innanzitutto attraverso un cambiamento interiore e personale, cioè dalla conquista di quella libertà che alla donna è sempre stata negata:

Il suo sviluppo, la sua libertà, la sua indipendenza devono venire da e per mezzo di se stessa. In primo luogo, rifiutando che chiunque accampi diritti sul suo corpo; rifiutandosi di partorire figli se non li desidera; rifiutando di essere una serva di Dio, della società, dello Stato, del marito, della famiglia, ecc., rendendo la propria vita più semplice, ma più profonda e più ricca. vale a dire, cercando di comprendere il significato e la sostanza della vita in tutta la sua complessità, liberandosi dal timore del giudizio e della condanna della gente. Solo questo, e non la scheda, libererà la donna, farà di lei una forza finora sconosciuta al mondo, una forza per il vero amore, per la pace, per l’armonia; una forza di fuoco divino, che dà vita; che crea uomini e donne liberi.

La sua analisi va ancora più a fondo, fino a smantellare l’ideologia recondita delle istituzioni sociali più diffuse tra quelle che determinano il rapporto tra i sessi, il matrimonio, la monogamia e la moralità sessuale, e a esaminare il ruolo determinante dello Stato e della religione nel controllare e influenzare le relazioni sessuali tra gli individui.

Lo Stato non è semplice rinuncia alla libertà da parte dell’individuo, “esso è anche distruzione delle relazioni sociali, riduzione, se non negazione completa, della vita stessa, per il proprio accrescimento”; la religione, “in particolare la religione cristiana, ha condannato la donna alla vita di un essere inferiore, di una schiava. ha frustrato la sua natura e incatenato la sua anima. […] Poiché la più grande disgrazia della donna è stata quella di essere guardata come un angelo o come un diavolo, la sua vera salvezza sta nell’essere riportata coi piedi per terra; vale a dire, nell’essere considerata umana e perciò soggetta a tutte le follie e gli errori umani”.

Emma Goldman svela come il matrimonio non coincida affatto con l’amore, anzi ne sia la negazione, essendo un’istituzione utile solo alla Chiesa e allo Stato per controllare la riproduzione, e un accordo economico che va a solo vantaggio dell’uomo, privando la donna dei diritti sul proprio corpo, del rispetto per se stessa e della libertà.

I paladini dell’autorità temono l’avvento di una maternità libera, per paura che li privi delle loro prede. Chi combatterà le guerre? Chi produrrà la ricchezza? Chi farà il poliziotto, il carceriere, se la donna rifiutasse l’indiscriminata procreazione di figli? La razza, la razza! gridano il re, il presidente, il capitalista, il prete. La razza deve essere conservata, anche se la donna verrà ridotta ad essere una semplice macchina, e l’istituzione del matrimonio è la nostra unica valvola di sicurezza contro il pernicioso risveglio sessuale della donna.

Uomini e donne, a causa di questa società, sono inoltre divisi da un muro fatto di pregiudizi, incomprensioni, stereotipi, come fossero due mondi completamente a parte, e difficilmente il matrimonio può aiutare a favorire una reale comprensione se prima non si abbattono queste barriere. Innanzitutto vanno rimossi tutti gli ostacoli che impediscono alle donne di realizzarsi come individui liberi, tutti i segni della secolare schiavitù e sottomissione a cui sono state sottoposte; il passo successivo consiste nel tentare di comprendere gli altri e le altre in quanto esseri diversi da noi, ognuno con le sue peculiarità, ritornando così a una dimensione di rispetto delle reciproche differenze. Ogni convenzione etica o sociale e ogni codice morale coercitivo che limita o distorce i nostri impulsi naturali e la nostra libertà va rimosso dal nostro cammino, fino a “porre fine all’assurda concezione del dualismo dei sessi o all’idea che l’uomo e la donna rappresentino due mondi antagonistici”. Le riflessioni pionieristiche di Emma Goldman sono tuttora attuali, e la sua vita fiera, libera e coraggiosa dovrebbe essere d’ispirazione per molti/e di noi.

Dalla morale religiosa alla morale scientifica

Torniamo però alla realtà, ben più tetra, di quanto stava accadendo in europa nella riflessione sul sesso non in ambito anarchio, bensì in ambienti più popolari.

A partire dal Settecento, con un percorso che vedrà il suo culmine nella seconda metà dell’Ottocento, assistiamo a un’esplosione discorsiva sul sesso e al suo processo di medicalizzazione: la scienza acquisisce la sessualità come campo di studi di sua competenza, sostituendosi alla religione nel ruolo di giudice della moralità, e produce una quantità esorbitante di studi e teorie su ogni aspetto della sessualità umana. La giustizia penale, la pedagogia, l’economia, la demografia, la politica sono altrettanti campi del sapere che incitano e istituzionalizzano il discorso sul sesso. Questa proliferazione di discorsi, secondo Michel Foucault, ha avuto diversi effetti che insieme puntavano all’obiettivo, decisamente raggiunto, di escludere e stigmatizzare ogni forma di sessualità non subordinata alla riproduzione:

Attraverso tutti questi discorsi si sono moltiplicate le condanne giudiziarie delle piccole perversioni; si è annessa l’irregolarità sessuale alla malattia mentale; dall’infanzia alla vecchiaia, si è definita una norma dello sviluppo sessuale; si sono caratterizzate con cura tutte le deviazioni possibili; si sono organizzati controlli pedagogici e cure mediche; intorno alle minime fantasie i moralisti, ma anche e soprattutto medici, hanno chiamato a raccolta tutto il vocabolario enfatico dell’abominazione: non sono questi altrettanti mezzi messi in opera per riassorbire, a profitto di una sessualità centrata sulla genitalità, tanti piaceri senza frutto.

la società “borghese” del XIX secolo, attraverso le sue istituzioni di potere, ha letteralmente inventato, e poi fissato, la diversità sessuale, ovvero tutta una serie di ambiti in cui la sessualità si discosta dal fine riproduttivo, dichiarandoli patologici. I medici e gli studiosi si mettono all’opera in questo secolo per classificare e sperimentare “cure” per tutta una serie di perversioni, dalla masturbazione all’omosessualità, dal feticismo al masochismo e così via, attraverso un controllo capillare che parte dall’ambito familiare e si estende alle istituzioni scolastiche, psichiatriche, carcerarie e manicomiali. Questa nuova attenzione alla sessualità viene spiegata dai medici con la convinzione che sia proprio l’uso inappropriato delle pulsioni sessuali la causa di tutta una serie di patologie e conseguenze deleterie per la salute degli individui e non solo, anche della società e della razza.

Il sesso è diventato un pericolo e per questo va studiato e controllato in ogni sua manifestazione non normativa, da arginare con estrema severità: dal registro della colpa e del peccato tipico della moralità cristiana, il giudizio morale passa grazie alla scienza a un registro di contrapposizione tra normale e patologico. la scienza soppianterà la religione anche nell’affiancare e sostenere la giustizia penale nei processi riguardanti i crimini sessuali.

I campi del sapere che si interessano, in particolare, allo studio e alla produzione di “verità” sul sesso saranno principalmente: la medicina, tramite lo studio delle malattie nervose; la psichiatria, che inventa tutta una serie di malattie mentali legate a un uso non procreativo della sessualità, e di cui un ramo è in Italia l’antropologia criminale fondata da Cesare Lombroso; la pedagogia, nel suo interesse per la sessualità infantile; e la giustizia penale, che rafforza dalla metà del XIX secolo le condanne in tribunale per gli oltraggi alla morale sessuale e i comportamenti cosiddetti “perversi”.

Quattro sono invece i principali dispositivi di controllo della sessualità che emergono o si rafforzano nel corso dell’Ottocento, identificati da Foucault, e che andrò a esaminare uno per uno: il controllo sociale della riproduzione, l’isterizzazione del corpo della donna, la pedagogizzazione del sesso del bambino, la psichiatrizzazione del piacere perverso.


Il controllo sociale della riproduzione

Verso la metà del XVIII secolo il controllo dello Stato sulla vita dei cittadini viene incanalato attraverso un nuovo concetto, economico e politico, quello di “popolazione”. Nasce l’interesse da parte degli apparati del potere per la popolazione come specie, nelle sue variabili: natalità, mortalità, durata della vita, fecondità, salute, modo di vita, relazioni sessuali. La sessualità in particolare diventa un affare di interesse pubblico, che riguarda la sanità della nazione, della razza e della specie. E’ attraverso di essa infatti che si gioca la forza di una nazione, attraverso i flussi demografici della società, studiando e regolando alcuni fattori, quali “il tasso di natalità, l’età del matrimonio, le nascite legittime e illegittime, la precocità e la frequenza dei rapporti sessuali, il modo di renderli fecondi o sterili, l’effetto del celibato o dei divieti, l’incidenza delle pratiche contraccettive.” Lo Stato tenterà di fare propaganda su questi fattori nel tentativo di regolare in modo calcolato l’oscillazione della popolazione, spingendola in direzione natalista e antinatalista a seconda del momento storico. Questo avverrà con incentivi o freni alla fecondità delle coppie tramite misure fiscali ed economiche, attraverso campagne di moralizzazione delle classi povere, con la pressione di discorsi che attribuivano alla coppia una responsabilità nei confronti dell’intero corpo sociale, e con la condanna medica delle pratiche di controllo delle nascite: il sesso diventava un problema che riguardava l’intera società, e su cui ogni singolo individuo doveva dimostrare un autocontrollo che servisse a un fine superiore collettivo, il rafforzamento della nazione.

A fianco della promozione delle condotte sessuali procreatrici, l’assunzione del controllo sulla sessualità da parte delle istituzioni del potere si sviluppò attraverso la repressione di tutte le condotte non conformi alle norme. Altro discorso rispetto all’andamento demografico riguardava la “sanità” della popolazione, portato avanti attraverso un’attenzione rivolta alla condotta morale dei cittadini. E’ facile allora comprendere come mai e a che livello la scienza si sia posta al servizio degli interessi dello Stato nella grande opera di creazione e repressione delle patologie sessuali che caratterizzerà tutto l’Ottocento: rinchiudendo in carcere e manicomio, o “curando” con i metodi più brutali, chiunque non si adeguasse all’imperativo dell’eterosessualità normativa, la scienza e lo Stato si lanciarono in un’opera di “pulizia morale del corpo sociale” (Foucault) che proseguirà nel Novecento, arrivando al suo culmine con gli esperimenti eugenetici nazisti. Ponendo in connessione le perversioni e la delinquenza con l’ereditarietà, le nuove teorie mediche penetrarono profondamente nella vita degli individui e fornirono la base per il tentativo di una gestione statale e scientifica del sesso e della fecondità e per l’instaurarsi del controllo giudiziario e medico delle perversioni.

Il razzismo si forma a questo punto (il razzismo nella sua forma moderna, statale, biologizzante): tutta una politica della popolazione, della famiglia, del matrimonio, dell’educazione, della gerarchizzazione sociale, della proprietà e una lunga serie di interventi permanenti a livelli del corpo, dei comportamenti, della salute, della vita quotidiana, hanno ricevuto allora il loro carattere e la loro giustificazione dalla preoccupazione mitica di proteggere la purezza del sangue e di far trionfare la razza. Il nazismo è stato probabilmente la combinazione più ingenua e più scaltra – e scaltra perché ingenua – dei fantasmi del sangue con i parossismi di un potere disciplinare. Un ordinamento eugenetico della società, con tutto quel che poteva comportare di estensione o d’intensificazione dei micropoteri, sotto la copertura di una statalizzazione illimitata, andava di pari passo con l’esaltazione onirica di un sangue superiore, che implicava contemporaneamente il genocidio sistematico degli altri ed il rischio di esporre se stessi ad un sacrificio totale.

Queste prescrizioni riguardanti la purezza della stirpe furono recepite in particolar modo dalla famiglia borghese, impegnata nell’autocostruzione di un’identità funzionale alla sua crescita ed egemonia: nell’organizzazione dei matrimoni una nuova attenzione cominciò a essere posta sugli aspetti dell’ereditarietà biologica oltre che su quelli economici e sociali, con l’intento di non inquinare la purezza e la forza della nuova classe sociale con malattie o tare ereditarie.

Foucault identifica in questa fase storica, corrispondente allo sviluppo del capitalismo, la nascita di una nuova faccia del potere: il biopotere, ovvero il controllo sulla vita e sui corpi, in tutti i suoi fenomeni che riguardano anche l’insieme dei cittadini intesi come nazione o razza: salute, igiene, natalità, longevità, sessualità… Questo tipo di controllo sui dettagli della vita viene a sostituire a livello di importanza il potere di decidere della morte dei propri sudditi caratteristico del passato. Questo biopotere si occupa dell’addestramento dei corpi attraverso istituzioni quali la scuola e la caserma; della regolazione delle nascite attraverso la demografia; dell’adeguamento dei corpi della popolazione ai ritmi dello sviluppo industriale e capitalistico. Il controllo dei corpi e della sessualità avviene attraverso due sistemi distinti: macrointerventi che riguardano l’intera collettività, come campagne per la natalità o per la riduzione delle nascite, campagne di moralizzazione, interventi economici; e microinterventi sul singolo individuo, rispetto al quale la sessualità viene indagatae interrogata da parte delle scienze mediche negli aspetti più minuziosi della sua intimità, nei suoi desideri e nelle sue attrazioni, fin dai primi anni dell’infanzia, per essere punita ogni qualvolta non risponda alle esigenze del potere normativo.

Quello che stupisce è che molti concetti creati ad hoc dalla medicina del XIX secolo per descrivere ogni forma di sessualità non normativa, che avevano lo scopo di creare una nuova morale sessuale al servizio della nazione anziché della libertà dell’individuo, sono ancora accettati e diffusi sia a livello medico sia a livello di credenza comune, nonostante si fondino su premesse sessiste o razziste. le stesse scienze responsabili delle peggiori violenze nei confronti di milioni di individui continuano impunemente, ancora oggi e sempre di più, a far valere i loro giudizi e a godere di credibilità e rispetto presso la quasi totalità delle persone.

L’isterizzazione del corpo della donna

L’isterizzazione del corpo della donna è il processo attraverso il quale i medici, a partire dal XVI, hanno posto sotto controllo il corpo e la sessualità femminile con la scusa di curarne le disfunzioni nervose. L’interesse nasce in realtà dalla pretesa di regolare il corpo femminile nelle sue funzioni riproduttive, viste come indispensabili per il corpo sociale e per lo spazio familiare: la donna avrebbe una responsabilità biologica e morale nei confronti di tutta la società, la responsabilità di fare figli e assicurarne l’educazione, da qui l’interesse per la sua fecondità e il suo corpo.

Il termine “isteria” deriva dal greco hysterion e significa “malattia dell’utero”: designa quindi secondo i medici dell’epoca una patologia unicamente femminile. I sintomi sarebbero tra i più vari: nervosismo, ansia, sonnolenza, eccessiva lubrificazione vaginale… ma le sue varianti sono tante e dai sintomi contrastanti:

L’isteria viene costantemente definita una malattia nei trattati di medicina del Rinascimento e dell’epoca moderna. Quello che cambia è il modo in cui questa malattia attraversa numerosi e differenti ambiti epistemologici, assumendo di volta in volta le caratteristiche della malinconia, della nevrastenia, di uno smodato desiderio sessuale, della frigidità e dell’anorgasmia, per citare solo qualche esempio. Secondo l’Opera Ostetrico-Ginecologica (1550) di Ambroise Parè, l’isteria è causata dalla presenza di fluidi insalubri nell’utero. Parè raccomanda per le ragazze il matrimonio, per le vedove e le donne più anziane andare a cavallo, e nei casi più gravi un trattamento che consiste in un’applicazione di oleum nardum mediante un attrezzo del tutto simile a un dildo, utilizzato quest’ultimo per il “soffocamento dell’utero”. Nel 1660 Robert Burton definì l’isteria una forma specificamente femminile di melanconia, malattia contemporanea che affliggeva in particolare le vedove e le suore. A fine Ottocento diventa popolare la “nevrastenia”. E’ la malattia moderna causata dallo stress delle grandi città e dalla vita industriale, e Georg Béard fa dell’isteria un genere di “nevrastenia sessuale”. ma è un certo Pierre Briquet (Traité Clinique er Thérapeutique de l’Hystérie, 1859) a sostenere di avere scoperto una cura per guarire l’isteria grazie a un’appropriata manipolazione della regione genitale. Secondo Briquet, la chiave per raggiungere l’orgasmo, altrimenti detto “crisi isterica”, è una “titillazione” precisa e localizzata “del clitoride” e non il massaggio indifferenziato della regione pelvica.

In effetti uno dei trattamenti standard per “curare” l’isteria divenne proprio il massaggio ai genitali, finalizzato all’orgasmo, effettuato manualmente da un medico. Addirittura si svilupperanno macchinari appositamente per questo scopo, i vibromassaggiatori elettrici, che saranno gli antenati dei moderni vibratori a scopo ludico. Un altro trattamento molto diffuso fu l’idroterapia, ovvero la stimolazione genitale attraverso gocce di vapore e acqua fredda. Lo spazio terapeutico ideale per la cura di questi presunti disturbi femminili si situa quindi, ancor più che nella camera da letto, sul lettino del medico. Mentre il piacere maschile non veniva interrogato  quando si situava in ambito coniugale, l’orgasmo femminile era considerato dai medici la crisi sintomatica di una malattia specificamente femminile, un effetto che poteva essere riprodotto terapeuticamente attraverso tecniche di manipolazione e massaggio da parte di un medico o di macchinari medici: non si poneva in dubbio il fatto che la mancanza di orgasmo potesse derivare da rapporti non soddisfacenti con il partner, il piacere doveva scaturire dal corpo della donna in ogni caso, lo si poteva estrarre anche con una penetrazione o stimolazione meccanica, fosse quella del vibromassaggiatore o quella del coniuge ugualmente meccanizzato. L’orgasmo veniva considerato dai medici come il risultato di una stimolazione di alcune parti genitali, e ogni sua disfunzione era quindi di competenza medica.

L’orgasmo femminile, sia quello impossibile a scoprire attraverso segni esteriori sia quello sprovvisto di fini riproduttivi, non poteva essere lasciato a discrezione delle donne. Doveva essere svalutato, reificato e misurato in quanto delirio masturbatorio o in quanto prodotto del lavoro meccanico dei medici. Era necessario tornare a legare l’orgasmo alle parti genitali attraverso la tecnologia, dargli forma e caratteristiche specifiche. Fase di eccitazione, contrazione vaginale, corpo che si contorce e si impenna come un cavallo selvaggio, grida, svenimenti – sono tutte manifestazioni “dell’arco isterico” o della follia masturbatoria, altrettanti sottoprodotti delle tecnologie di repressione-produzione che vengono tuttora considerate manifestazioni naturali dell’orgasmo femminile.

—continua—

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