In questo afoso Agosto di crisi ci tocca rimetterci a parlare di perché e per come la lotta femminista non sia – necessariamente – borghese e reazionaria e di perché abbiamo preso parola anche di fronte al caso Pussy Riot. Tanto per affrontare la (altrui) noia estiva proviamo a scrivere due righe.
Già, perché alcuni compagni e compagne forse un po’ troppo militont*, forse perché annoiati da Caligola, Lucifero o chissà che altro vento, hanno pensato bene di scrivere pagine e pagine su quanto le suddette Pussy Riot, o “Fighe riottose” come preferiscono malamente tradurle, siano parte di un gioco di potere e lotta tra imperialismi vari. Pedine coscienti o meno di giochi tutti volti a far prevalere l’aborrito concetto “diritti umani” in contrapposizione a quello bello, sano e forte di “lotta di classe”, lotta che come ben sappiamo spazzerà via ovunque le inuguaglianze di genere, religione e razza per portare il sol dell’avvenir.
Mentre attendiamo il sorgere del suddetto sole, a noi sono venuti alcuni dubbi. E non (solo) perché abbiamo già preso le parti delle Pussy Riot in più occasioni e la CIA manco c’ha dato na lira.
Il primo dubbio è perché i suddetti compagni abbiano pensato di fare dibattito su questa questione, attaccandone i promotori e le promotrici invece di lanciare una qualche campagna su temi che alla colonna destra di Repubblica non arrivano e che loro evidentemente ritenevano più importanti. Sarebbe è interessantissimo fare un’analisi più a tutto tondo del problema mediatico e di come certe notizie rimbalzino molto meglio di altre tra media mainstream e radical blog. Ma prendere spunto da azioni in solidarietà di persone che sono appena state condannate, dopo una detenzione preventiva anche piuttosto lunga, a una pena per quanto “minore”, ci sembra quantomeno scortesi. D’altra parte i militont* amano la sofferenza: sarebbe stato molto meglio una condanna a trent’anni (o a dieci anni, come le nostre compagne e compagni devastatori e saccheggiatori), forse.
In ogni caso prendere le parti delle Pussy Riot non ci allontana da una riflessione sulla non neutralità dei mezzi di informazione, palese e spesso strumentalizzata. Così come non ci allontana dalla critica ai padroni e ai poteri, dovunque si trovino.
Il dubbio che però ci attanaglia maggiormente è quello sull’antisessismo subordinato alla lotta di classe. Come se il patriarcato fosse nato con la borghesia (grasse risate) come se i movimenti ne fossero scevri, come se la lotta femminista (nel senso antiborghese e rivoluzionario del termine) possa essere davvero subordinata alla sola questione dei rapporti di produzione. Ci dicono: “noi non siamo femministi, ma antisessisti” peccando di semplificazione di fronte alla molteplicità dei femminismi e delle lotte delle donne nel mondo. Come se Beatriz Preciado fosse uguale a Carla Lonzi. Ci dicono che “Non ci sono le *donne sfruttate* ma, nell’ambito della condizione femminile, ci sono le donne povere che sono sfruttate e le donne ricche che sfruttano”, ma basta guardare le statistiche sulla violenza domestica per capire che i proletari e padroni picchiano e stuprano in ugual percentuale. Amara verità per la vostra lotta di classe.
Per concludere vorremmo spendere due parole sulle lotte dei movimenti lgbtq, che pare non siano lecite e dignitose come quelle da condurre nelle fabbriche….che possano aspettare! Ci dicono: “non siamo contro i diritti umani, nel senso che non sacrifichiamo, in nome della lotta di classe, i diritti umani di chi viene a trovarsi in mezzo a essa”. Ma se a illuminare le coscienze sono i media occidentali, le istituzioni politiche ed economiche europee e statunitensi, le ONG più ambigue che mai, gli oligarchi russi, allora qualche sospetto ci viene”. Ma allora chi dovrebbe prendere parola su questi temi? Visto che sono presi in considerazione da organizzazioni poco chiare dobbiamo rinunciare a dire la nostra, a prendere parola, azione e forza di fronte alle limitazioni di tali “diritti”? Aspettiamo che se ne parli nel movimento? Sarebbe necessario anche solo per evitare che diventino consumismo e capitale allo stato puro, come spesso purtroppo accade. A noi stare zitte non è mai piaciuto, e se dobbiamo prendere parola preferiamo il chiasso e i colori, ma non dimentichiamo Stonewall.
Pensateci compagni, voi che non avete paura nella lotta dura e pura, ma vi sentite a disagio di fronte a una performance o di fronte a un commento “violento”. E fatevela una risata ogni tanto, che non fa male, specialmente co’ ‘sto caldo. L’eteronormatività non è un destino neanche per voi!
Infine, saremmo ben liete se si riaprisse un dibattito collettivo sul genere e sul sessismo. Ad esempio ci si potrebbe confrontare sulla violenza privata o sull’omofobia nel movimento. Una discussione non retorica e per questo anche lontana dall’analisi del “cosa viene prima” perché – senza dubbio – o será feminista o no será.
Contro ogni carcere e repressione, che fanno rima con testosterone.
Collettivo Femminista Le Ribellule
nb. Esprimiamo solidarietà con i minatori morti in Sudafrica, con gli operai che lottano a Taranto, con tutte le persone che vivono e muoiono di carcere, ma anche con le lesbiche che subiscono gli stupri “correttivi” in Sudafrica, o finiscono frustate nelle prigioni di Ahmadinejad, e tutte le sorelle che lottano e che guardacaso non vengono in mente a nessuno dei suddetti compagni.
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