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La differenza non sempre è un “valore”

Da qualche parte qualcuna ha commentato il post che critica gli obiettivi Snoq dicendo che le donne non dovrebbero litigare tra di loro perché là fuori ci sarebbe un nemico comune, l’uomo, che se la ride e ci fa male. Unirsi sulla base di un presunto nemico esterno, dunque del genere di appartenenza e non sugli obiettivi è una cosa che non mi/ci appartiene. E gli obiettivi di Snoq, quelli che hanno esplicitato, non somigliano ai nostri. Ma c’è dell’altro.

A parte il metodo decisamente leghista, del tipo “Arrivano gli invasori uniamoci tutti sotto un’unica bandiera”, tutto ciò che genera il terrore dell’altro in quanto tale è una cosa che si chiama razzismo o sessismo.

Ma a parte questo poi osserviamo e vediamo donne che realizzano provvedimenti assurdi, terribili, che ci fanno malissimo, a tutti e a tutte, e dunque perché dovremmo sentircele sorelle?

Non sono gli uomini in quanto tali i nostri nemici. E non è plausibile che tale sessismo sia utilizzato da chi usa le vittime di violenza maschile per abbattere differenze di classe e di identità politica ed esigere una comunanza di intenti dove quella comunanza è assolutamente inesistente.

Asserire che le donne siano state oppresse da una cultura patriarcale è corretto. Dire oggi che quella cultura sia generata solo dagli uomini ponendo le donne sempre su un piedistallo, assolvendole a priori o supponendo una loro superiorità morale, è assolutamente sbagliato.

Ci sono uomini e donne che ci massacrano la vita e ci sono donne e uomini che scendono in piazza con noi per rivendicare diritti e perseguire obiettivi comuni e che si capisca o meno l’antisessismo non è una prerogativa delle donne. C’è di mezzo una intera teoria queer a dimostrare che 1) i generi sono più di due e 2) che il sessismo è trasversale a tutti i generi. Poi ci sarebbe un punto 3) che dice che chiunque pratichi versioni accentuate di teorie della differenza realizza stereotipi sessisti ma vabbè.

Ne vogliamo parlare? Perché credo che se non risolviamo questo problema, questo assillo, questo tema, non ne usciamo.

Davvero vogliamo essere funzionali a chi ci dice di restare compatte di fronte al nemico quando poi il nemico è proprio lei, l’altra, o chi lo sa?

Il separatismo ha una sua dimensione fatta di dignità e valore e nulla c’entra con il patto di branco (meglio conosciuto come patto de-genere) tra un nutrito numero di persone trasversalmente poste che immaginano di essere eguali tutte in quanto donne.

Nel corso del tempo, per fortuna, sono arrivati altri femminismi diversi da quello delle donne bianche, ricche, borghesi, etero, e hanno dato vita al femminismo postcoloniale, al cyberfemminismo, al queer, al femminismo delle donne afroamericane, al postporno, all’anarco femminismo, a tanti altri esempi che rendono chiarissimo il fatto che tra donne ci sono mille differenze e che queste differenze, checchè se ne dica, non rappresentano sempre un “valore”.

Finiamo anche di dire ‘sta gran cazzata. Qual è il valore della differenza tra me è la Mussolini? Che valore mi porta la Fornero? Cosa dovrebbe accomunare una donna lesbica a Rosi Bindi? E alla Binetti? Perché di valore in valore allora non si capisce perché gli unici a non portarmi valore dovrebbero essere giusto gli uomini.

E questa cosa la sanno bene anche le ricche/bianche/borghesi che per contenere la propensione delle donne a essere critiche non solo nei luoghi preordinati, contro chi è portatore di una certa cultura, e lì bisogna capire di che si sta parlando, dirigono quella critica indicando possibile altre “nemiche”. Lo hanno fatto il 13 febbraio scorso e lo fanno ancora oggi quando dividevano le donne perbene dalle donne permale. Dunque quella è la differenza che per loro non è superabile. E quella invece è una intollerabile esclusione di persone sulla base delle professioni che svolgono o della maniera in cui usano il proprio corpo.

Tra le persone in generale ci sono comunque tante differenze. Differenze di tipo culturale innanzitutto, e poi economiche, di identità politica e di etnia e di religione e di mille altre cose.

Tenere assieme persone tanto diverse grazie al terrore, alla paura dell’altr@, è un meccanismo ignobile e bisogna ripensare noi per prime che gli uomini ovviamente  sono diversi l’uno dall’altro, esattamente come lo sono le donne, e dunque parlare di un uomo violento non vuol dire parlare di tutti così come parlare di una donna vittima non significa che tutte lo sono.

E in questo ragionamento dò per scontato il fatto che tante donne muoiano per mano di un uomo, che lo stupro sia una cosa grave e tutto quello che sappiamo e di cui parliamo tutti i giorni, ma il fatto che le violenze sulle donne avvengano in numero maggiore non significa che tutti gli uomini siano carnefici o che tutte le donne siano vittime.

Perché nel corso del tempo, in tanti anni di analisi e ricerca e studio e lotta contro la violenza sulle donne ci siamo rese conto anche del fatto che spesso l’uomo che compie la violenza, un femminicidio che sia sociale, fisico, gode di un’ampia protezione presso una rete sociale fatta anche da tante donne. Non sono succubi. Non sono sempre vittime. Sono complici il che è diverso. E molte volte sono anche carnefici.

So che è un tema scomodo e che parlarne ci espone alle miserie di personaggi subdoli che usano l’onestà intellettuale altrui per legittimare il proprio fanatismo ma chiedetevi perché i movimenti contro la violenza sulle donne sono vissuti spesso da donne borghesi che teorizzano l’esistenza di un nemico dove non sanno neppure cosa rappresenta, di che pasta è fatto, chi è, cos’è. La violenza sulle donne avviene a tutte le donne, è certamente trasversale a tutti i ceti ma è davvero uguale la maniera di risolverla?

Parlo del fatto che se prima poteva essere un problema di diversa consapevolezza, le donne colte e istruite quindi benestanti che sapevano più e meglio originare una rivolta morale contro questo grave fenomeno, oggi il divario culturale è meno accentuato e dunque non si può più dire che noi, povere e precarie, per esempio, diciamo quello che diciamo perché siamo ignoranti. Siamo precarie ma non ignoranti. Siamo precarie e consapevoli. Sappiamo perfettamente di cosa parliamo e vediamo che alle donne mancano risorse, tante, strumenti che pure non vengono forniti a prevenzione della violenza.

Sappiamo che dove arriva l’istruzione, l’indipendenza economica, l’autonomia, la possibilità di avere casa e lavoro, una accresciuta consapevolezza sulla propria sessualità, servizi sociali di supporto, nessuna delega alla cura, nessun vincolo ricattatorio ma equità e redistribuzione delle competenze e dei doveri, una comunicazione ed una educazione che sia chiaramente antisessista, la violenza, un po’, viene meno, e di questo siamo certe.

Non escludiamo nulla e sappiamo tutto. Sappiamo che l’istruzione non sempre salva le donne e che ci sono tanti altri fattori da considerare ma il punto è che quando una donna vuole andarsene e salvarsi la vita è imbrigliata da mille ricatti e regole burocratiche e finirà per dire “non posso” mentre qualche donna borghese e attempata le ricorderà il sommo valore della maternità e del suo ruolo di cura e poi il nulla. In concreto, sorelle, il nulla.

Ma non era di questo che volevo parlarvi. Volevo dirvi che una rete di resistenza serve, senza dubbio, che non sia minimamente suddita della burocrazia e che non istituzionalizzi l’autodifesa scadendo in dinamiche autoritarie. Supporto alle donne significa supporto e non sostituirsi a loro.

Ma serve anche dare voce alle donne che hanno le idee molto chiare su ciò che bisognerebbe fare e che non trovano nemici tra gli uomini che nemici non sono.

Cioé: sappiamo certo riconoscere i nostri nemici e questo prescinde dal sesso. In conclusione io non ho bisogno di unirmi a chi mi vuole male solo perché è una donna. Questo è il punto.

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