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Precarietà inconciliabili

Hanno le idee chiare al governo. Continuano a proporre la stessa pappa pronta che ci impongono da anni. Al ministero per il welfare sono tutt* d’accordo. La Fornero e pure la sottosegretaria Guerra.

Insistono a parlare di natalità, cura, flessibilità, conciliazione. Che vuol dire? Che per le donne non cambia niente. Ovvero continueranno a mantenere il welfare sulla base del lavoro gratuito delle donne.

Fare figli, badare ai vecchi, avere sempre lavori precari che non distolgano dalle imposizioni di stato (dio/patria/famiglia), conciliare lavoro esterno e ruoli di cura.

Il mercato del lavoro si comporterà di conseguenza. Poca predisposizione ad accettare il fatto che gli uomini vogliono congedi parentali per crescere i propri figli, che esigono di poter accedere ai lavori di cura tanto quanto le donne e che la “cura” dovrebbe essere restituita in termini di servizi da parte dello Stato.

Il punto è che le donne non vogliono lavori precari e non vogliono conciliare un bel niente. Che devono poter scegliere e non essere obbligate a “preferire” i lavori di cura sacrificando la propria esigenza di autonomia.

Le donne vogliono reddito e lavoro.

Una donna che ha reddito e lavoro può scegliere cosa fare della propria vita. Non è costretta a dipendere dalla famiglia d’origine, dal padre, dal marito, dal compagno. Una donna autonoma non deve subire il vincolo di relazioni sbagliate per avere un tetto e un piatto di pasta per se’ o anche per i propri figli. Non deve subire violenza, perché le donne che subiscono violenza maschile spesso non abbandonano il compagno violento perché sono povere e non sanno dove sbattere la testa.

Oggi, 2012, tutto vincola le donne a seguire un disegno che ci impone ancora dipendenza e schiavitù:

– ostruzionismo, veti e impedimenti, per il controllo dei nostri corpi. Non possiamo vivere una sessualità libera, non possiamo usare contraccettivi, pillole del giorno dopo, ru486 senza trovarci tra i piedi mille obiettori e volontarie dei movimenti pro/life che ci obbligano a fare figli. Non possiamo scegliere una sessualità diversa da quella etero, trasgredendo alla regola della “famiglia” così come la impongono, perché altrimenti ti guardano come fossi una criminale;

– il diritto di famiglia volge verso una serie di cambiamenti che obbligano le donne a continuare ad essere dipendenti dagli ex marite e/o vincolate con il pretesto dei figli (affido condiviso e dintorni). Secondo le proposte in esame e secondo un recente provvedimento alle donne sarà impedito avere un lavoro ed essere indipendenti per supposta superiorità del diritto alla paternità. La lobby dei padri separati oltretutto si oppone al mantenimento alle poverissime ex mogli (e noi siamo d’accordo!), incluso quello per i figli, ma poi chiede soldi per se’ (case gratuite e contributi) e si oppone a che le donne siano autonome e abbiamo più lavoro;

– secondo i dati Istat le donne sono disoccupate e poverissime in cifre altissime. Molte donne non cercano nemmeno più lavoro perché comunque non lo troverebbero. Le donne che appartengono ad una fascia d’età intorno ai 40 anni non riescono a reinserirsi nel mercato del lavoro e sono tra le maggiori vittime di violenza maschile perché non possono lasciare l’ex partner violento.

Un welfare che mantiene le donne in una condizione di simile schiavitù risponde solo ad un disegno ideologico (dio/patria/famiglia) che poco ha a che fare con la crescita e il bene economico del paese. E’ un disegno che non corrisponde neppure più all’identità delle famiglie che sono costituite da persone, di qualunque sesso, che si sostengono a vicenda, in cui la precarietà delle donne pesa su tutt*.

La lotta contro la nostra precarietà riguarda tutt*, donne e uomini, sempre che agli uomini stia bene che le donne non restino con loro solo perché economicamente dipendenti, sempre che gli uomini non vogliano continuare ad usare il denaro come strumento di controllo e di potere sulle donne.

Una donna indipendente significa tanto, per tutt*.

E giusto in questi giorni c’è una amica che continua a parlarmi di suicidio perché non sa come tirarsi fuori dai guai e questo è sbagliato – lo è in senso laico e non per questioni religiose. Non c’è più neppure l’alibi della depressione. C’è che una donna che è precaria e sta malissimo non può essere psichiatrizzata perché la psichiatria in questi ultimi anni è diventata una risorsa (lo è sempre stata) in mano a chi detiene il controllo delle parti più oppresse della società ed è diventato uno strumento di distribuzione di droghe legali (psicofarmaci) come palliativi che non rispondono ai motivi veri che producono il disagio.

C’è che esistono tante persone che non riescono a incanalare tristezza e malumore e a tradurli in rabbia, e c’è che oggettivamente non riescono a sopravvivere in nessun modo e che vedono il futuro senza vie d’uscita. In tutto ciò le donne diventano anche uno psicofarmaco sociale imposto da chi vuole tenere incollate le famiglie anche se sono rotte e da chi colpevolizza le donne che vogliono separarsi imputando la separazione ai motivi della depressione che avrebbe portato gli uomini ad ammazzare l’ex moglie.

La questione del reddito è centrale per molte delle cose di cui ci occupiamo perché una donna economicamente dipendente è soggetta al ricatto, sarà quotidianamente stuprata da datori di lavoro che esigono corpi di bella presenza per qualunque incarico, dovrà subire schiavitù e carcerazione nel caso delle donne migranti, dovrà mercificare capacità, corpi, pensieri e ciò vuol dire che tutte noi vendiamo pezzi di noi.

Noi siamo merce e veniamo utilizzate in quanto tali. L’aspetto di genere che ci distingue dagli uomini è il possesso di utero che ci espone all’obbligo di riproduzione. Non è una questione da poco come non lo è il fatto che c’è una dimensione di possesso di tanti uomini sulle donne che godono nel vederci dipendenti, assoggettate, perché più controllo su di noi significa anche più potere per loro.

Siamo nel 2012 e continuiamo ad essere schiave, del capitalismo, del patriarcato, di una visione fascista del welfare, fascista anche quando a proporla è una donna del Pd. Siamo nel 2012 e noi sappiamo che di questi argomenti possiamo parlare serenamente con i nostri compagni di percorso, gli uomini con i quali scendiamo in piazza e lottiamo per affrancarci tutt* dalla schiavitù economica, sociale e culturale, perché siamo tutt* stanch* di essere subordinati ad una economia che usa la “morale” come grimaldello per sottometterci alle logiche liberiste.

Siamo corpi, corpi di Stato, e tutt* quant* dobbiamo combattere per averne un po’ di più, di vita, di futuro, di diritti, di sogni, di verità. Ecco, noi vogliamo la verità.

Raccontatecela anche voi la verità, perché se non la raccontiamo noi non lo farà nessuno.

Parlaci di te, di come vivi la precarietà, di come organizzi la tua lotta contro la precarietà. Discutiamo di vita e di pratiche, di disagio e di lotte quotidiane. Scrivi a femminismoasud[chiocciola]inventati.org

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Posted in Critica femminista, Omicidi sociali, Precarietà, R-esistenze.


3 Responses

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  1. cybergrrlz says

    Paolo, “allevamento”?
    la conciliazione è sbagliata e bisogna tendere all’autonomia degli individui e non alla solidità della famiglia. le relazioni migliorano se sono realizzate per motivi reali e se non sono viziate da dinamiche di dipendenza e di potere.

  2. Paolo84 says

    Reddito e lavoro sono importanti per ambo i sessi e lo dico rispettando le decisioni di tutti/e per la loro vita. lotta alla precarietà e conciliazione di lavoro e famiglia devono andare di pari passo, lo stato ha il dovere di tutelare la lavoratrice madre e ha il dovere anche di aiutare il lavoratore padre a condividere l’allevamento dei figli: se entrambi li hanno voluti entrambi devono occuparsene
    Quanto alla depressione, essa non può giustificare un omicidio

  3. cloro says

    Ma perchè, la rapina di 7 anni di pensione che va a colpire le donne che cos’è? E’ la normalità che le donne intraprendano la “carriera” di madri lavoratrici. Eppure che mobilitazione c’è stata? quelle di “se non ora quando” hanno digerito questa rapina facendo finta che essa sia un dato inconsistente, meno importante delle “sgualdrine di berlusconi”. L’indignazione montata per il caso carfagna, daddario, minetti ecc… non s’è ripetuta, eppure questa storia delle pensioni è un atto gravissimo di lesione della vita e dei progetti delle donne. E’ assurdo far loro fare il doppio lavoro (fabbrica/ufficio/scuola + allevamento dei figli) fino a tarda età. Nemmeno la democristianeria piu becera aveva osato uno sfregio simile. E se da una parte si fanno lavorare i vecchi, i giovani li si tengono inoccupati e precari fino ai 40 anni (ma anche oltre). Che sviluppo puo’ generare un’economia così ? Che cultura e ce società viene prodotta da una simile designificazione dei diritti umani e dalla conseguente riduzione a utensile (di sesso, si lavoro) delle donne? E’ da queste cose che si vede che “SNOQ” è un movimento borghese: fa la lotta per la rappresentazione dei corpi, ma fa orecchie da mercante quando si tratta di discutere il “perchè” di questa rappresentazione reificante e umiliante. La contraddizione economica non l’affrontano, non ne parlano perchè loro stanno sul versante borghese della questione. In ogni caso, la pensionata anziana chiama la precaria, che chiama le relazioni di dipendenza lavorative e familiari, che chiama un surplus di oneri e sbattimenti e tempo che nessuno paga. Pensa che hanno calcolato che questi 7 anni di ritardo nel concedere la pensione vale per l’inps il 25% di pensioni non erogate, per via delle morti. E quindi in caso di esuberi nella pubblica amministrazione , dove potrebbero prepensionare e risparmierebbero perchè in pensione ci vai con 400 euro in meno rispetto allo stipendio, preferiscono tenere la saturazione e mandare la gente in pensione a 67 anni. Io, per esempio, a 60 anni avrei avuto i 40 ani di contributi, ma un rapido calcolo mi porta a prevedere che dovro’ lavorare almeno fino ai 65. PENSA TE.