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Venite a Manduria a farvi aiutare

Dal blog di Csoa mercato occupato di Bari un post che racconta come i migranti non vogliono l’elemosina, ci insegnano cos’è la dignità, loro vogliono solo la libertà. E noi italiani? Siamo noi che ci acconteniamo dell’elemosina? Dobbiamo andare a scuola di dignità dai tunisini? Nello stesso blog trovate anche un altro post con un resoconto che spiega il perchè i migranti hanno scelto di dormire per protesta appena fuori dal campo. (grazie a Jò per la segnalazione):

da un nostro compagno in trasferta a Manduria

Manduria. Contrada Tripoli. In questi giorni, in quei luoghi, stanno avvenendo dei fatti che meritano un’analisi approfondita .

Partiamo dall’inizio, dai fatti. In Tunisia, migliaia di ragazzi decidono di sfuggire dalle ripercussioni del governo dopo la rivolta che ha causato la fine della dittatura di Ben Alì. Sbarcano nel porto più vicino del continente europeo, Lampedusa. Molti di loro (all’inizio cinquecento, poi altri duemila) vengono dirottati in un centro di identificazione creato per l’occasione tra Manduria ed Oria, costretti ad una permanenza forzata. Sono tutti di sesso maschile, con età compresa tra i venti e i quarant’anni. Il governo italiano, per bocca del suo Presidente del Consiglio, parla di rimpatrio immediato, parla di gente uscita dal carcere e quindi pericolosa, parla di sicurezza. Nel frattempo gli sbarchi aumentano, e mentre la “fortezza Europa” si chiude a riccio di fronte a tale emergenza, l’Italia si ritrova sola nella difficoltà di bloccare l’inedita ondata di migranti, progettando nuovi campi da costruire prevalentemente nel Mezzogiorno.

Una premessa di questo tipo fa necessariamente saltare all’occhio tre elementi, cruciali.

1) I migranti in questione hanno alimentato il fuoco della rivolta che ha deposto la dittatura tunisina.

2) Alcuni di questi migranti sono stati in carcere, nel carcere di un paese in cui c’era e continua ad esserci una dittatura, evidentemente per motivi politici.

3) L’Europa, tramite il governo Italiano, esprime la volontà di rimpatriare i migranti in questione, ossia di riconsegnarli nelle mani dei loro aguzzini, il governo retto dall’esercito tunisino.

Mi reco per la prima volta a Manduria, per visitare il campo, il 3 aprile. Mi aspettavo di vedere dei profughi. Ho visto dei rivoltosi. Il giorno prima sfondando un cancello hanno trasformato il centro in un luogo aperto, grazie a quel gesto possono ora entrare e uscire liberamente, muovendosi divertiti in una zona militarizzata all’inverosimile. I loro volti sono sorridenti, scherzano tra loro e con gli italiani, prendono per il culo le forze dell’ordine, inneggiano alla caduta di Ben Alì ogni due per tre, mettendoci in mezzo, spesso e volentieri, un vaffa pure per il nostro Berlusconi. Non chiedono acqua e viveri. Vogliono sigarette. In continuazione. Qualche giornalista, con aria afflitta, gli chiede cosa vedano nel loro futuro. Rispondono beffardi: “vediamo, se entro due giorni non ci danno sto permesso perdiamo la pazienza…”.

Il permesso. Facciamo un passo indietro. Si tratta di un modulo che servirebbe ad ottenere la possibilità di circolare liberamente nel nostro paese, in attesa di essere riconosciuti rifugiati politici. La maggior parte di loro non sapeva dell’esistenza di questa possibilità, infatti appena messo piede a Manduria hanno subito pensato bene di scappare. E molti di loro evidentemente ce l’hanno fatta (con esiti tutti da verificare), come dimostra il numero non così eclatante di migranti oggi presenti nel centro. Ad un certo punto, però, dall’alto hanno deciso di impedire le fughe, la zona è stata militarizzata all’inverosimile, così pure le stazioni ferroviarie, gli episodi di violenza degli sbirri nei confronti di chi scappava diventavano sempre più frequenti. Così hanno cominciato a distribuire questi moduli, in numeri davvero ridotti (circa una ventina al giorno), che permettevano ai pochi fortunati che li ottenevano di lasciare il centro. Le forze dell’ordine, servendosi addirittura dell’aiuto di alcuni volontari, avevano in questo modo gioco facile nel convincere i detenuti a ritornare in carcere (meglio chiamare le cose per quello che sono), con la promessa di questo modulo che arrivava, si, ma sempre per meno persone. Nel frattempo i cancelli diventavano più alti, e aumentavano le pattuglie di polizia che presidiavano la zona. Nasceva un lager.

Ed ecco svelato il paradosso di Manduria. Da una parte le forze dell’ordine, con i loro manganelli e le loro armi, i burocrati ed i partiti dell’ordine, con i loro moduli, i volontari (dell’ordine), con il loro melodrammatico assistenzialismo. Dall’altra questo gruppo di rivoltosi, semplicemente l’elemento umano più sovversivo che io abbia mai visto (e non è che frequenti gentlemen londinesi). I giornalisti, dicevamo, gli chiedono spesso del loro futuro, come per proiettarli in una sfera di realizzazione personale che in realtà è tutta nostra, tutta interna alla visione occidentale. Loro sono invece una presenza vera e viva nel presente, i loro occhi guardano qui ed ora, hanno la piena consapevolezza del loro essere nel mondo e nella storia, ed è una consapevolezza collettiva, non individuale. Vengono da una rivolta. Hanno fatto una rivolta.

Queste parole possono sembrarvi enfatiche, vi basterà mezza giornata trascorsa con loro a Manduria per rendervene conto. Vi basterà osservare come questi ragazzi reagiscono nei confronti degli stranissimi personaggi (tutti italiani, ve lo garantisco) che si aggirano intorno al campo. Due, ad esempio, i più tipici: la ragazza in versione “madonna addolorata” che gira consegnando vestiti, e il vecchietto militante politico, che distribuisce volantini informativi. Ho visto con i miei occhi un ragazzo tunisino gettare appresso ad una ragazza italiana (ovviamente sempre scherzando) la busta degli indumenti usati dicendo: “tieni, vestiti, sono per te!”. Non si contano, invece, i volantini che ho calpestato perché giacevano strappati per terra.

Molti italiani continuano ad aggirarsi per quei luoghi con la presunzione di aiutare qualcuno in difficoltà. Credo invece che dovremmo ben riflettere se non si tratti di un’ottima occasione per essere aiutati. Noi, storicamente popolo di frustrati e umiliati, che non conosciamo altra forma di approccio al prossimo se non sottoforma di clientela o carità, dovremmo osservare con molta attenzione quei ragazzi che oggi si trovano a Manduria, domani chissà dove. E farci aiutare, una volta per tutte, a costruire una rivoluzione.

Noi abbiamo cacciato Ben Alì, quando voi cacciare il suo amico Berlusconi?” (ragazzo tunisino, Manduria, 3 aprile 2011)

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Posted in Corpi, Omicidi sociali, R-esistenze.


3 Responses

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  1. Giulio says

    Bè, “Nome”, commento un po’ facile da lontano…non sono disgraziati (né puzzolenti, finalmente al campo ci sono le docce). Rivendicano con orgoglio la loro rivolta vittoriosa contro Ben Alì. Sono riusciti a buttar giù il sovrano, ma non a demolire tutto il sistema di oppressione e corruzione, che (anche con l’aiuto degli immediati riconoscimenti internazionali) ha trovato nuovi padroni. Per questo molti hanno deciso di scappare. Anche perché molti di loro hanno fatto le rivolte, e la polizia ha cambiato solo la divisa.

    In ogni caso, sono tornato su questo post per un distinguo piuttosto sostanziale rispetto al post del M.O., che condivido in gran parte.
    Non sono assolutamente d’accordo con la critica a chi, in pochissimi e dal primo giorno, ha distribuito i volantini con le mappe della zona e le indicazioni in più lingue sulle modalità per ottenere i propri diritti, come la protezione internazionale. Nella confusione totale che aleggiava sulle prospettive, era l’unica cosa sensata da fare, visto che con ogni evidenza il campo s’era trasformato in un clandestinificio, con tanto di fuga generale indotta proprio dalle “forze dell’ordine” e presidi per beccarli in tutte le stazioni d’Italia (ecco perché così a sud, i campi). Per quanto rimanesse la paura della necessità di fuga nel caso in cui i tentativi di accordo tra i governi fossero andati a buon fine.
    Oggi (certo, è più facile, col senno di poi) è evidente che avevano ragione, e sono molto contento d’aver contribuito con loro alla distribuzione dei volantini. In ogni caso, voglio sottolinare che nessuno ha forzato al rientro nessuno dei migranti (tranne i rondisti che da sabato scorso non si vedono più): nessun “volontario dell’ordine”.
    Resto comunque dell’idea che quella fuga dai cancelli per unirsi in una sola manifestazione sia stato un momento positivo ed importantissimo nel determinare gli eventi successivi.
    I miei riferimenti ai volantinatori del precendente commento, invece, si riferiscono a tutti coloro che hanno fatto le comparsate tanto per acquisire punti sul personale “compagnometro”, senza fornire alcun contributo reale.

    G

  2. Nome says

    L’entusiasmo e la meraviglia che fanno da tono a questo post sarebbero più appropriati alla descrizione di un incontro con degli esseri magici e mitologici o degli ambasciatori di una avanzatissima civiltà extraterrestre, non un branco di poveri disgraziati puzzolenti…

    E comunque:

    “1) I migranti in questione hanno alimentato il fuoco della rivolta che ha deposto la dittatura tunisina.”

    Ma cha cazzo fanno, prima alimentano la rivolta nel loro paese e poi se ne vanno? Complimenti per la coerenza e per il coraggio di affrontare la conseguenza delle loro azioni!

  3. Giulio says

    Condivido la nota del Mercato Occupato.
    Pur tenendo naturalmente presenti le diverse anime che popolano il campo, tutti rivendicano con orgoglio la cacciata di BenAlì.
    Personalmente, non è la signora scesa dal paesino per spirito buonista che mi ha infastidito (ben vengano, sono proprio loro che hanno da imparare) ma la reazione di una buona parte dell’associazionismo “istituzionalmente umanitario” e di tutta la partitocrazia locale della sinistra istituzionale: lenti, farraginosi, ancora chiusi in assemblee in ogni luogo ma non al campo, inutili se non a sventolare bandierine.
    Oggi, comunque,è stata una bella giornata. Ormai si sono create amicizie salde e (spero) durature, si beve e mangia insieme. Pare che i permessi stiano per arrivare, le procedure vanno avanti. Si respira nell’aria. Domani spero di tornare al campo per festeggiare.

    Nota dolente: verso le 21 si sono presentati – al buio – 4 personaggi (un adulto e 3 ragazzi sulla ventina con marcato accento salentino) che hanno distribuito volantini ai fratelli tunisini. Probabilmente non si aspettavano di trovare altri italiani. Invece gli amici tunisini ci hanno chiesto di tradurre questo piccolo volantino rosso su cui campeggiava la scritta “libertà”, ma prodotto dal MOVIMENTO NAZIONAL POPOLARE e CIRCOLO CULTURALE BENITO MUSSOLINI.
    Dopo una lunga digressione copia-incolla sulla libertà, il volantino si concludeva con un “E’ per questo che saremo al vostro fianco quando lotterete per la vostra terra ma saremo nemici ogni volta che vorrete identificare nella nostra terra la vostra libertà”.
    Appena ho spiegato e tradotto, i tunisini hanno ignorato loro e la loro solidarietà ipocrita, i loro inviti ad “andar via perché qui verranno sfruttati”.
    Noi (due) compagni presenti non siamo riusciti a star zitti, sputando sui loro cordiali revisionismi, inviti alla lotta comune e rivendicazioni di esser fascisti (quindi per la repubblica sociale) e non di estrema destra (???).
    Guarda caso, mentre si discuteva (a me è andato il sangue alla testa, dico la verità, soprattutto per i troppi “compa’” cui ho risposto molto poco cordialmente) dietro è comparso un noto esponente della Digos tarantina (rumoroso con la sua pila ricaricabile di decathlon puntata su di noi…sic).
    Trappolone? non saprei. So che ringrazio ancora una volta i miei fratelli tunisini, che m’hanno detto di non pensarci, è brutta gente che a loro non interessa. Quelli se ne sono andati, comunque.
    Incollo qui sotto i link segnalati dal loro volantino (su cui troverete il volantino stesso).

    http://benitomussoliniblog.blogspot.com/2011/04/liberta.html
    http://mnpcoordinamentoregionalepuglia.blogspot.com/

    Saluti resistenti, e libertà. quella vera, però.