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L’accoglienza diffusa ed il modello toscano

La mappa dei centri di accoglienza aperti e previsti in Toscana

Sette giorni sono passati, da quando è arrivata la notizia, nella serata di martedì 29 marzo, che il governo aveva intenzione di trasferire circa un migliaio (poi diventati 500) migranti da Lampedusa in una ex-base radar americana a Coltano, Pisa. In questi 7 giorni tante cose sono cambiate, gli eventi si sono susseguiti vorticosamente: è il momento di fermarsi a riflettere su ciò che è successo, perché è forte il sospetto che ci sia difficoltà a comunicare cosa sta succedendo in una delle roccaforti del PD.

Premessa necessaria

In Toscana non ci sono Centri di Identificazione ed Espulsione – CIE, i tristemente noti CPT della Turco-Napolitano. Ma già nel 2003 i responsabili per l’immigrazione del ministero degli Interni dicevano: “così come in ogni città c’è un carcere, una prefettura, una questura, la gente dovrà abituarsi all’idea che ci sia un centro di permanenza”. Nel 2010 alle elezioni regionali in toscana vinse, com’era prevedibile, il candidato del centro-sinistra del Partito Democratico Ernico Rossi. Nel programma elettorale di Rossi era prevista la creazione di CIE in Toscana, anche se -si diceva- non si volevano “i CIE di Maroni”, ma dei CIE rispettosi dei diritti umani, gestiti dal volontariato cattolico. L’assurdità di creare centri di identificazione ed espulsione che fossero rispettosi dei diritti umani sembrò paradossale a molti, che hanno combattuto da sempre contro la creazione di nuovi centri. Rifondazione Comunista, che in Toscana aveva -ed ha- ancora un minimo di solidità della sua base, strinse un patto con Rossi. Una sorta di desistenza, dato che non presero posizione sulla questione dei CIE, di fatto accettando l’impostazione del futuro presidente. Anche questo fece grande rumore nei circoli e nella base, e proprio a Pisa il segretario del circolo di uno dei storici quartieri operai e popolari annunciò che non avrebbe votato per il suo partito, e che -secondo statuto- avrebbe dovuto essere espulso di conseguenza.

Osservazioni dovute

L’altra sera in un programma televisivo (l’infedele di Gad Lerner), una portavoce di un’associazione di tunisini-italiani ha ricordato alcuni dati importanti. Sono solo numeri, e dietro i numeri ci sono le persone, ma aiuta ad inquadrare il contesto nel quale ci stiamo muovendo. I migranti in arrivo dalla Tunisia sono, secondo le stime riportare dai giornali, nell’ordine dei 10.000. Persone che da tempo vogliono venire in Europa e che hanno trovato la giusta occasione per farlo. Invece in Tunisia sono arrivati, dall’inizio della guerra in Libia, circa 200.000 profughi, che corrispondono circa al 2% della popolazione del paese: per fare un paragone, sarebbe come se in Unione Europea arrivassero 10 milioni di persone. La Tunisia, al contrario dell’Italia, ha accolto i profughi in fuga senza farne un’emergenza internazionale.

In Italia dicevamo sono arrivate 10.000 persone. Ogni anno, mediamente, in Italia arrivano dai 350.000 ai 400.000 nuovi migranti. Quindi stiamo parlando in un incremento, rispetto ai flussi “in condizioni di normalità”, del 2.5%. Viceversa, nel 2010 circa 60.000 giovani hanno abbandonato l’Italia (diplomati, laureati, dottorati), per cercare lavoro all’estero.

Qual’è quindi l’emergenza? Dov’è l’invasione, lo tsunami? Semplicemente non esiste, o meglio, nella migliore tradizione di questo paese, è stata creata ad arte. Poche migliaia di persone non sono un problema, in Italia, ma lo possono diventare se confinate su un’isola che a malapena riesce a sostenere i suoi 4.500 abitanti, come Lampedusa. Questa è la scelta fatta dal governo, perfettamente in linea con la storia della politica della gestione delle frontiere dell”UE. E come da manuale italiano, si creano le emergenze per poter legiferare, per poter imporre un arretramento, culturale, di pratiche, di opinioni. Per mettere di fronte al fatto compiuto – la situazione insostenibile di Lampedusa – per fare accettare le soluzioni di chi ha creato l’emergenza.

Genealogia della protesta

La notizia arriva martedì 29 in serata. Il governo vuole creare una tendopoli, con centinaia, forse migliaia, di migranti, in quello che ancora ricorda un campo di concentramento della seconda guerra mondiale. Chi ha avuto il tempo e l’intuizione di andare a visitare la struttura prima che arrivassero i riflettori, è agghiacciato da cosa si sta prospettando. La doppia rete col filo spinato è un’immaginario così forte da mandare in tilt tutta la lucidità possibile. Forse non tutta, dato che qualche associazione cittadina che si occupa di antirazzismo e di diritti dei migranti riesce, nella giornata di mercoledì 30, ad appendere uno striscione ed aprire un varco tra le reti, per permettere a chiunque si senta di violare -formalmente, per carità- qualche legge di visitare la struttura e rendersi conto delle condizioni in cui si trova.

La sera si tiene un incontro tra amministrazione ed il Consiglio Territoriale di Partecipazione (un finto organo di partecipazione, non elettivo, che dovrebbe sostituire le circoscrizioni a Pisa). Il PD cerca di contenere le ire della popolazione locale, che ricorda ancora con disprezzo il fatto che nella loro zona sono state realizzate alcune casette per famiglie Rom (le chiamano “villette”, ed il fatto che queste famiglie Rom paghino l’affitto e siano cittadini europei sembra non avere alcun peso per loro). Le argomentazioni sono le peggiori risposte che un amministratore di centro-sinistra dovrebbe dare: si rivendica il fatto che dall’inizio del mandato dell’amministrazione, i rom in città sono diminuiti di 300 persone. Allontanati, evaporati, seppelliti, cosa importa: l’importante è che loro vadano via.

Un piccolo corteo, con alla testa gli amministratori comunali, arriva alla base, e inizia un presidio permanente. Curiosamente, lo striscione delle associazioni antirazziste sparisce, ed appaiono striscioni molto meno amichevoli, mentre la stessa mano con la stessa vernice traccia frasi che ben poco hanno a vedere con l’accoglienza. Dalla città alcuni curiosi, anche attivisti, vanno al presidio a vedere cosa succede, ma non a tutti è chiara la strumentalizzazione in atto.

Strumentalizzazione che diventa però macroscopico il giorno seguente, giovedì 31. L’estetica sembra presa in prestito da un paesino dell’alta val padana. Trattori a bloccare l’arrivo dei migranti, “cittadini” attorno al fuoco che discutono di cosa farebbero ai tunisini se avessero i fucili, donne incinte e donne disabili incatenate a difesa della purezza della razza. E tra di loro, guarda caso, spunta l’assessore socialista. E nel pomeriggio, tutti a sfilare davanti al consiglio comunale.

Qui l’amministrazione della città fa una precisa scelta, che poi è perfettamente in linea con le pratiche leghiste: cerca di proporsi come legittimo rappresentante di un malumore popolare che, per quanto inaccettabile nelle sue espressioni, è comunque da tenere in ascolto. Inizia un gioco di ambiguità, con frasi e parole d’ordine differenti a seconda che si parli nei campi di Coltano o davanti ai giornalisti in città. L’ordine, per tutti i guidatori di trattori, è quello di non rilasciare dichiarazioni: non parlate, lasciate parlare noi.

Così legittimando i razzisti ma difendendo le politiche di accoglienza, il Partito ha potuto vincere la sua battaglia: il campo di Coltano, viene annunciato, non si farà più. Brinda il presidio con lo spumante, rivelando quanto poco in effetti importasse della sorte di chi doveva arrivare in quel campo. Ma come denunciamo da sempre, legittimare posizioni razziste è un gioco che può sfuggire di mano.

Razzisti sullo sfondo e accoglienza in primo piano

Se volessimo fare un poco di speculazione politica, potremmo ricordare alcuni dettagli che potrebbero avere influito. Forse Maroni ha pensato di approfittare della situazione per mettere in difficoltà due regioni di centro-sinistra, la Puglia e la Toscana. Forse invece ha fatto un ragionamento di più lungo raggio e ha pensato che questa “emergenza” fosse l’occasione giusta per aprire i CIE nelle regioni che ancora non ne ospitano. D’altra parte Rossi aveva la necessità di contrastare questa operazione, per difendere il “suo” modello di CIE “umano”. Ed il PD ha paura di una erosione della sua base storica elettorale, e come ovunque cerca di inseguire la Lega sui temi della sicurezza.

Di tutto ciò difficilmente riusciremo a ricavarne un quadro oggettivo: quel che è certo che in questa settimana si è giocata, sulla nostra testa e su quella dei migranti, uno scontro tra il governo e le amministrazioni locali di centro-sinistra. Uno scontro in cui si è cercato di usare sia i migranti che gli abitanti di Coltano come pedine per mettere in scacco l’avversario. Non sappiamo chi abbia vinto, ma di questo c’è da prenderne atto, come c’è da riconoscere che chi si occupa di diritti e libertà per i migranti ha avuto pochissimo spazio di manovra, e con molta fatica è riuscito a far sentire la propria voce. Anche chi è andato al presidio davanti la base, per cercare di capire e di dialogare con gli abitanti, deve fare una valutazione tra quello che è riuscito ad ottenere e la legittimazione che ha ottenuto l’amministratore locale e la sua pratica leghista.

Cosa fare in caso di incendio

Rossi in qualche modo ha ottenuto quel che voleva: è riuscito a non fare realizzare la tendopoli a Coltano, e a smistare gli arrivi tra una decina di luoghi, sparsi per la Toscana, a gruppi che vanno dai 10 al centinaio. Molte – ma non tutte – sono già strutture attive, adibite all’accoglienza, funzionanti e per lo più in mano ad Enti, Caritas, Croce Rossa. La fitta rete dell’associazionismo e dei movimenti toscani si sta mobilitando per riuscire a rivendicare il diritto di entrare nei centri, di fare informazione, perché chi è “ospitato” possa uscire il più rapidamente possibile, facendo domanda di asilo. Nel frattempo chi sta presidiando Lampedusa cerca di fornire a chi parte i contatti con le associazioni nei luoghi in cui -probabilmente- arriverà. L’obiettivo è che i luoghi che verrano creati non siano e non diventino centri né di detenzione, né di espulsione.

Purtroppo, ma c’era da aspettarselo, la legittimità che le posizioni para-leghiste xenofobe hanno avuto dalle vicende di Coltano non si è sciolta con l’arrivo del sole. Ha attecchito, accumulandosi a quella che in tutti questi anni è stata distesa su questa regione. Strati e strati di xenofobia, piccoli e grandi passaggi simbolici e pratici, dichiarazioni, atti, ordinanze, prese di parola, si accumulano come un inquinante nel fiume. E non basta rivendicarsi un obiettivo nobile per giustificare tutto ciò.

Così è sorto un nuovo presidio, una nuova protesta, contro uno dei luoghi individuati come alternative a Coltano. È a Calambrone, un ex ospedale, lungo il litorale pisano, a pochi kilometri da Livorno. Il luogo è completamente diverso da Coltano, non c’è filo spinato, non dovrebbe essere una tendopoli ma una struttura vera e propria, con bagni, letti, servizi. Ma per la destra, il PDL e la Confcommercio, i 120 migranti che dovrebbero essere portati lì sono un “pericolo per il turismo”. Nasce un’altro presidio, davanti l’ospedale. Nella giornata di ieri, lunedì 4 aprile, i partecipanti al presidio hanno aggredito due giornalisti locali, (“che cazzo riprendi”, “ti stacco le manine”, “comunista di merda”, “troia”), come hanno cercato di spintonare la polizia per entrare nella struttura. Durante la notte, qualcuno è effettivamente entrato, danneggiando i lavori che erano iniziati, cercando di dare fuoco al luogo. Il presidio non vuole che venga data acqua ai migranti, non vuole che venga data ospitalità, non li vuole, semplicemente, punto.

C’è sicuramente una differenza nei toni e nelle azioni tra i due presidi, quello di Coltano e quello di Calambrone, e forse paragonarli potrebbe risultare offensivo per i tanti che sono passati a Coltano in buona fede, perché chiedevano diritti e dignità per i migranti. Ma c’è una continuità, di legittimità, tra i due fenomeni, che non è possibile ignorare.

C’è una strana convergenza di posizioni e di argomentazioni, che dovrebbe sempre far sospettare, riguardo al diritto della popolazione di Coltano di “difendere il loro territorio” – dopo aver riconosciuto nel presidio l’unico possibile legittimo rappresentante dell’area. Convergenza che parte dalle frange più estreme della destra, arriva all’apparato Democratico, e talvolta si spinge fino a qualche gruppo storicamente considerato di sinistra, di “movimento”. Come se a Coltano volessero aprire una TAV o una base militare, tante voci in città si sono espresse, schierandosi, a volte in maniera inaspettata. Curiosamente, l’accusa che viene rivolta, a chi in questo momento si preoccupa in primo luogo delle condizioni dei migranti, è che così facendo si favoriscono i CIE. Giustificata in maniera speculare, il rifiuto del modello dei “CIE di Maroni” è diventata un arma per attaccare quelle reti di solidarietà e assistenza che quotidianamente cercano di rendere sopportabile la loro presenza qui: sopportabile, ma per i migranti stessi.

Sabato 2 aprile si è tenuta in centro città una bella giornata, in cui tanti discorsi sono stati riportati assieme, tentando di affincare cose che sono strettamente collegate tra loro, anche se quotidianamente distanti: i diritti dei migranti, l’opposizione alla guerra in Libia, il no all’allargamento dell’aeroporto militare, i genitori che si oppongo alla “Giornata della Solidarietà” per le scuole elementari, da svolgersi nella caserma della Folgore.

«Questa terra è la tua terra, questa terra è la mia terra»

Intanto, ieri notte (4 aprile) sono arrivati i primi migranti. Su una nave, a Livorno, circa 340 persone. Sono stati accolti da un piccolo presidio, che con striscioni e bandiere gli augurava “benvenuti”, “libertà”. Sono stati divisi in autobus, e diretti nei vari centri previsti dal piano di Rossi. Ora si apre la partita, durissima, per entrare in contatto con loro e verificare la modalità di gestione di questi centri.

Ma c’è un commento da fare: uno degli autobus diretto in un centro in Val d’Arno, tra Pisa e Empoli, è stato “accolto” all’arrivo da chi protestava contro il loro arrivo. “Tornate a casa vostra”, pare gridassero. Altre notizie di proteste, dalle altre zone della Toscana, non ne abbiamo avute: è forse un caso che le uniche proteste contro i migranti si siano svolte tutte in provincia di Pisa? Questo fatto ha forse qualcosa a che vedere con ciò che è avvenuto a Coltano?

Nel frattempo, il presidio a Calambrone continua, e già si parla di luoghi “alternativi”, per calmare le ire dei commercianti del litorale. Mentre da domani Livorno inizierà un presidio davanti a villa Morazzana, dove sono ospitati 30 migranti: ma stavolta è un presidio solidale, che chiede più diritti e meno centri di detenzione.

Alcune domande aperte

Quel che non si riesce a comprendere, a guardare le cose dalla pianura dell’Arno, è cosa stia succedendo nelle altre regioni. Dove stanno portando i migranti, in che condizioni, con quali reazioni. Soprattutto, la Regione ci tiene a rassicurarci che chi arriverà in Toscana potrà chiedere protezione temporanea, e quindi avere un documento che gli permetta di muoversi liberamente per il territorio. Ma dove manderanno coloro a cui verrà rifiutato asilo? Cosa succederà a quelli che vengono chiamati “clandestini”? Non possiamo metterci l’anima in pace perché abbiamo evitato la costruzione di un lager in Toscana, quando se ne aprono altri attorno a noi.

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