Il post che segue è una traduzione dell’articolo A woman leading change in Yemen, pubblicato da iloubnan. C’è poco da scrivere in aggiunta a quello che scrive la Hackman, la potenza rivoluzionaria di una buona organizzazione femminile e femminista è evidente.
Buona lettura!
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La giornalista Alice Hackman, che è recentemente tornata a Londra dopo due anni di lavoro come reporter ed editrice per lo Yemen Times a Sana’a, esamina il ruolo che le attiviste donne, in particolare Tawakkul Karman, stanno giocando nella protesta yemenita, mettendo in luce l’importanza dell’attivismo femminile nel futuro incerto del Paese.
Le recenti manifestazioni a favore della democrazia in Yemen non hanno catturato l’attenzione dei media mondiali, tanto quanto le rivolte in Tunisia, Egitto e Libia. In Yemen l’uso della violenza sta aumentando sensibilmente da parte del governo, e solo il tempo ci dirà se ci sarà un rapido rovesciamento del presidente yemenita Ali Abdullah Saleh o se invece ci vorrà più tempo. Una cosa sola è diversa nella rivolta yemenita: il volto internazionale a favore di un cambiamento è una donna.
Giornalista e attivista per i diritti umani, Tawakkul Karman rappresenta un’immagine positiva delle donne yemenite. E’ stata fotografata mentre guidava le proteste di febbraio contro il governo, ed è stata definita una coraggiosa difenditrice della libertà d’espressione e dei diritti umani in Yemen.
In un’intervista rilasciata nel gennaio 2010 ad Al Jazeera, ha parlato di giornalisti rinchiusi in carcere, la tirannia dello sceicco contro gli abitanti a Ibb, un governatorato a sud della capitale, la mancanza di giustizia per la famiglia di un dottore ucciso e – molto prima dell’uscita dei file WikiLeaks – si è spinta anche molto più in là accusando il governo di essere alleato con Al Qaeda. Oggi continua a protestare e a chiedere un cambiamento pacifico per il suo Paese.
Finalmente un cambiamento rigenerante, se si pensa all’immagine della donna yemenita in niqab1, o dalle foto della sposa bambina Nujood Ali che hanno infuocato il dibattito dei matrimoni precoci in Yemen dall’aprile 2008.
Ovviamente non tutto è rosa e fiori per le donne in Yemen. I parlamentari del Paese (uno su 301 è donna) ancora non sono d’accordo nel fare una legge per prevenire i matrimoni precoci come quello di Nujood, divorziata a nove anni, legge che almeno permetta loro di finire la scuola.
L’analfabetismo tra le donne è ancora al 67%, esse sono generalmente le prime vittime della mancanza di cibo (una donna su 3 secondo le nazioni unite soffre di malnutrizione), e molte hanno difficoltà e/o accesso limitato alle cure mediche. La loro partecipazione alla politica è minima e, nonostante vi siano due donne ministre, lo Yemen è tra gli ultimi posti nella classifica del World Economic Forum’s Global Gender Gap da quando vi è entrato nel 2006.
Ma c’è speranza.
Karman e le altre sue compagne attiviste per i diritti umani, come la giornalista Samia al-Aghbari, sono in prima linea tra i manifestanti nella capitale dello Yemen. Non possono rappresentare tutte le donne yemenite in generale, ma possono essere d’ispirazione. Infatti un uomo è rimasto così impressionato dal coraggio di al-Aghbrai durante le proteste del 13 febbraio quando è stata sbattuta al suolo dalle forze di polizia, che ha scritto una poesia dedicata a lei: “La rivoluzione dei Veli 2 Verdi… A Samia al-Aghbari e a tutte le altre rivoluzionarie” che è stata pubblicata il giorno dopo sul sito del Nashwan News.
Sebbene non siano tutte in strada a protestare, ci sono un numero considerevole di donne ispiratrici in Yemen. Oltre a Karman e al-Aghbari, le donne yemenite sono attistiviste per i diritti umani, giornaliste, dottoresse, educatrici, attiviste nella società civile, accademiche, mogli di priogionieri politici, fotografe e anche “twitteratrici”.
Dozzine di donne coraggiose hanno corso contro tutte le probabilità e perso ai consigli locali e alle elezioni parlamentari. Secondo Nadia al-Sakkaf, donna capo redattrice del giornale indipendente Yemen Times, vincere è difficile senza il supporto di un partito politico, e molte donne politicamente ambiziose al momento aspettano di vedere come si evolve la situazione in quel senso.
Poi, ci sono le donne che silenziosamente hanno iniziato la loro rivoluzione personale. Nel maggio 2010 un corso di alfabetizzazione ha ispirato delle donne nella rurale Dhamar, un governatorato del sud di Sana’a, ad andare a casa e a chiedere ai loro mariti e ai loro fratelli il loro diritto all’educazione, a ricevere l’eredità, a partecipare alle discussioni politiche. Le organizzatrici del corso hanno ricevuto chiamate da uomini confusi, che chiedevano di che cosa si era discusso quel giorno. Le partecipanti hanno anche manifestato insieme per prevenire il matrimonio tra un uomo e sua figlia di 12 anni.
Quando Karman è stata imprigionata dalla polizia per aver organizzato la protesta del 22 gennaio, ha visto il lato migliore di quella brutta situazione, e ha chiacchierato con le altre detenute sue compagne di lotta a proposito dei loro diritti. “Ero felice di scoprire la prigione e di parlare alle prigioniere”, ha detto al The Yemen Times dopo il suo rilascio.
Ma forse la cosa che più ispira di Karman è che lei non sta parlando solo alle donne yemenite, ma a tutta la società dello Yemen nel suo insieme, richiamando l’attenzione su temi come la disoccupazione e la corruzione.
Forse è troppo presto per una donna presidente in Yemen, ma Karman aggiunge una nuova, benvenuta dimensione alla copertura mediatica di un Paese solitamente associato in Medio Oriente con Al Qaeda, povero e in cui le donne sono oppresse.
1è una velatura del volto femminile presente nella tradizione araba preislamica e in quella islamica, che copre la figura della donna lasciando scoperti solo gli occhi.
Di solito si compone in due parti, divise fra loro: la prima è formata da un fazzoletto di stoffa leggero e traspirante, che viene collocato al di sotto degli occhi a coprire naso e bocca, e legato al di sopra delle orecchie, mentre la seconda parte è formata da un pezzo di stoffa molto più ampio del primo, che nasconde i capelli e buona parte del busto, da legare dietro la nuca, e poi lasciato cadere morbido lungo le orecchie. (da wikipedia)
2Ho reso l’italiano “velo” dall’arabo “hijab”: “il termine hijab (arabo: حِجَاب, ḥijâb) deriva dalla radice h-j-b, «nascondere allo sguardo, celare», e indica «qualsiasi velo posto davanti a un essere o a un oggetto per sottrarlo alla vista o isolarlo». Acquista quindi parimenti il senso di «tenda», «cortina», «schermo». Il campo semantico corrispondente a questa parola è dunque più ampio dell’equivalente italiano «velo», che serve per proteggere o per nascondere, ma che non separa.” (da wikipedia).
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