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#68 – Donne assassinate, tra stereotipi, sessismi, razzismi e ruoli di cura

Quattro donne uccise nel giro di due giorni. Un uomo ha fatto fuori la moglie a martellate, un altro ha ammazzato Vincenza sparandole in faccia, poi provando a farlo passare per un suicidio, e oggi sappiamo che, mentre portava all’asilo la figlia di 5 anni, Sabrina è stata uccisa dal suo ex, già – inutilmente – denunciato per stalking e attualmente, pare, rifugiato dentro un Duomo con tanto di spettacolarizzazione all’americana del momento di fuga, e c’è un altro tizio, ancora un italiano, che ha ucciso la compagna o forse ex, prima badante della madre, Ludmila, una donna ucraina, poi avrebbe tentato il suicidio e il tono degli articoli in questi casi è infarcito di pregiudizi di ogni tipo.

La sintesi: donna ucraina, 43 anni, già di per se’ condita di stereotipi sessisti, poi badante e straniera, dunque una che per pregiudizio potrebbe aver preso in giro il vecchio sessantaseienne, lui quieto e pensionato, altrimenti certamente un uomo riconosciuto dalla sua italica comunità, ché queste donne straniere sono così, no? ci prendono gusto a prendere in giro i “nostri” vecchi e a mollarli dopo averli spennati per bene. Invece la donna era in Italia con regolare permesso, aveva due figli, di 6 e 16 anni, entrambi rimasti in Ucraina, dove la donna pare volesse tornare e no, si dice anche che la donna non avesse mai dormito in casa con l’uomo e che lui in realtà volesse quella donna tutta per se’. Ora che la vecchia madre era stata portata in una casa di riposo (eufemismo politically correct di ospizio) e Ludmila aveva preso servizio presso un’altra abitazione chissà se era vero che lei e lui avevano avuto una storia o se lui aveva equivocato o se semplicemente la voleva e basta, con quel fare proprietario ancora presente nelle relazioni sorrette da tanta pessima cultura italiana della quale non ci si occupa mai.

Stavolta è una straniera, una tra le tante, uccisa da un italiano e anche in questo caso, siamo certe, non vedremo levarsi nessuna voce in difesa dei diritti delle donne immigrate che arrivano qui piene di sogni e bisogni e che vengono sterminate da uomini senza scrupoli che le mercificano per l’intrattenimento o la cura e che quando non obbediscono ai desideri di certi uomini italiani poi le ammazzano.

E’ un femminicidio ma la stampa parla di “dramma” della gelosia e il dramma descritto sarebbe solo quello del carnefice del quale si scrivono tante belle cose, in toni che vorrebbero sollecitare empatia nei suoi confronti.

Qui – in un articolo de Il resto del carlino – si scrive tutta la tragedia di un uomo in un crescendo di pathos, narrando del suo “gesto”:

Due biglietti, lasciati sul tavolo della cucina, con scritto a penna la sua terribile volontà. E un sms inviato alla figlia. Fatto questo, ha stretto le mani al collo di Ludmila Rogova, 43 anni, finendo il suo respiro per poi puntarsi una pistola alla testa lasciando partire un colpo secco. Mentre la donna è morta soffocata, Giuliano Frezzati, 66 anni pensionato, fino a ieri notte era ancora vivo, ricoverato in un letto dell’ospedale Sant’Anna, in condizioni disperate. Copparo, in un attimo, diventa teatro di una tragedia orribile con ancora alcuni punti da chiarire, in particolare il movente che ha spinto un uomo, descritto come buono e mite, ad agire in quel modo.

Da notare la ricercatezza dei termini. Si evita accuratamente di dire che costui ha ammazzato la donna. “Finendo il suo respiro” è una poeticissima paraculata.

Poi continua ancora con la descrizione della vita solitaria di quest’uomo:

da poco più di un anno, vive da solo Giuliano Frezzati, copparese, separato con due figli. Qualche tempo fa aveva conosciuto Ludmila Rogova, ucraina e regolare in Italia, due figli di 6 e 16 anni. Lui l’aveva assunta come badante per accudire l’anziana madre.

E da qui si capisce anche a quali pericoli siano sottoposte queste donne che assunte per fare le badanti, con chissà quali intenzioni, trovando forse anche chi immagina di aver fatto del bene a offrire un tetto ad una povera migrante in cambio di un servizio di lavaggio culi all’anziana e qualche pompino al figliolo, non godono di nessuna garanzia di sicurezza. Tutto quello che si dice di loro è che gli italiani sarebbero degli ingenui (il mito dei miti) e loro delle gran baldracche pronte ad approfittarne (lo stereotipo sessista per eccellenza).

Ma la storia “d’amore” si fa interessante e il giornalista sembra addirittura coinvolto:

«Piano piano — dicono i vicini — si era molto attaccato a quella donna, le voleva molto bene». In via Fermi 1, Ludmila veniva tutti i giorni a trovarlo: «Era gentile, — ricorda una signora — sorrideva e salutava sempre». Ma negli ultimi tempi, nel loro rapporto qualcosa si era rotto. C’è chi afferma che Ludmila voleva tornarsene in Ucraina dai figli («il più grande sta crescendo da solo il fratellino di sei anni») e quella sua decisione aveva sconvolto Giuliano tanto da portarlo a continui litigi.
«Da qualche giorno — ricorda Francesco, suo amico da oltre 40 anni e vicino di condominio — lo vedevo strano, non era lui. Sempre silenzioso, rideva poco».

Si continua a parlare di lui e i desideri di lei, di cui ovviamente la stampa non si occupa, salvo per stigmatizzarli in negativo, diventano l’ostacolo alla felicità di questo brav’uomo. Da notare il modo in cui si parla di lei: “era gentile… sorrideva e salutava sempre…” neanche fosse un cane di cui si dice che però non lesinava mai una scodinzolata. E poi c’è l’assassino che, povero, le voleva bene e lei cos’è che fa? Nientemeno osa voler tornare a casa dai suoi figli? e perché mai quando il suo ruolo connaturato sarebbe quello di fare da psicofarmaco sociale a quest’uomo che doveva risolversi la sua vita ai danni di quella di Ludmila?

Dopodiché si sancisce, via stampa, il legame con la figlia, questa complicità grazie alla quale addirittura lei sarebbe stata depositaria della notifica di decesso di Ludmila ed è tutto davvero molto commovente. Dei figli rimasti orfani in Ucraina, per i quali probabilmente lei aveva dovuto emigrare per mandare il pane in casa, non si occupa nessuno.

il decesso dell’ucraina sarebbe avvenuto tra le 15 e le 16, l’allarme è stato dato alle 19,20 dalla figlia. A lei, il babbo, aveva inviato un messaggio sul telefonino, letto però molto tardi. In quelle poche parole, così come sui due biglietti ritrovati in cucina, vi sarebbe impressa la sua devastante decisione. Ludmila è stata ritrovata sul letto, con ogni probabilità strangolata.

E dopo aver responsabilizzato la figlia, ché di tenersi la responsabilità di questo delitto un uomo così proprio non c’ha voglia, ammazza Ludmila, poi tenta di spararsi ma è ancora lì appeso con tanto di corte che aspetta l’esito della faccenda. E dunque in conclusione dall’articolo si arguisce che lui sia stato vittima di quella stronza della moglie che l’ha lasciato, della figlia che manco ha fatto attenzione al messaggino, della madre che se n’è andata in ospizio troppo presto e della badante – straniera e dunque di per se’ infingarda, che voleva continuare a vivere la sua vita. Un uomo stravolto dalla presenza di megere (la leggo come la leggerebbero i maschilisti, of course, e come la legge la cultura nostrana).

Le stesse cose dice anche “La nuova ferrara” che parla di “folle gesto” e classifica l’assassino come il “pensionato”. Anche qui si riporta la testimonianza di qualcuno appostato nei dintorni per dare la sua versione della storia. Cronaca romanzata.

Da qualche giorno era strano, pensieroso. Così Giuliano Frezzati era apparso a Francesco, suo vicino di casa con cui aveva una conoscenza quasi quarantennale. Dietro quel cambio di umore doveva covare un tormento fortissimo che ieri è esploso nella camera da letto al secondo piano di via Enrico Fermi 1.”

La versione è dell’uomo tormentato.

Ma forse la spiegazione è semplice. Frezzati attorno alle 15.30 ha inviato un sms sul cellulare della figlia che la informava di qualcosa di grave che era accaduto in via Fermi. Probabilmente la figlia non ha visto subito il messaggio – e in ogni caso sarebbe stato lo stesso troppo tardi per evitare la doppia tragedia – e quando l’ha letto è corsa a casa del papà in compagnia del fratello.

E per fortuna almeno qui si deresponsabilizza, con un grosso condizionale, la figlia. E grazie della concessione.

è in pensione da 13-14 anni; da circa una decina d’anni si era separato dalla moglie. In via Fermi abitava da due anni, forse anche meno. Giuliano e e Ludmilla si conoscevano da parecchio tempo, da quando lei faceva da badante alla mamma di Frezzati. Poi quando la mamma era stata portata in una casa di riposo Ludmilla era andata ad assistere un’altra persona anziana sempre a Copparo.

Fin qui ci siamo. Lui separato, lei badante.

Ogni tanto Ludmilla andava a trovare Giuliano nella nuova casa di via Fermi. «La vedevo a volte che stendeva i panni nel terrazzo» dice una donna che abita nel condominio di fronte. Ma Ludmilla non si sarebbe mai fermata a dormire la notte da Frezzati. Lui avrebbe invece desiderato dare più stabilità a questa storia d’amore. La voleva con sè più tempo, o tutto il tempo. Pochissimi giorni fa aveva chiesto a due sorelle di una certa età che abitano in via Fermi se per caso avevano bisogno di una donna per l’assistenza, per fare dei lavori in casa. Forse cercava anche in questo modo di avvicinare a sè Ludmilla, fornendole un lavoro. Lei doveva avere altri progetti di vita, certo aveva altri importanti legami affettivi da coltivare: come i due figli di 6 e 16 anni che vivono in Ucraina. Qualcuno sussurra che Frezzati fosse geloso. La cosa certa è che di fronte alla prospettiva di perdere Ludmilla, Giuliano Frezzati non ha ragionato più. Nella camera da letto ha lasciato due biglietti in cui spiega e chiede scusa.

E qui si capisce che non è poi detto che i due avessero una storia. Per quello che ne sappiamo lui poteva aver cercato di mantenere un impiego a Ludmila per non farla allontanare. Gli stendeva i panni, perciò: la teneva come donna delle pulizie? Poteva permettersela con la sua pensione? E forse, giacché tutti si spingono a fare ipotesi, lo facciamo anche noi, dato che non aveva i soldi per pagare i suoi servizi nell’illusione di una relazione che non c’era, aveva tentato di trovarle un lavoro nelle vicinanze senza trovarlo e dato che lei osava avere “altri progetti” a lui viene abbuonata la gelosia come lasciapassare per risolvere il suo personalissimo dilemma.

Dunque il punto resta uno: di queste vite massacrate, di queste migranti completamente alle mercé di uomini irrisolti, che hanno vite sfinite e che quando trovano una donna straniera immaginano di potersi riciclare nascondendo i propri fallimenti, non si occupa nessuno ma queste vittime sono vittime per responsabilità di chi ha deciso che le donne devono restare prigioniere a compiere lavori di cura, dipendenti delle economie familiari, a badare ai vecchi e ad avere a che fare con i figli di quei vecchi, e le badanti uccise, anche quest’anno, dagli stessi anziani assistiti, uomini, o dai loro figli, sono troppe, così come sono tante le prostitute straniere uccise, di cui non sappiamo tutto, perché potrebbero essercene molte di più sepolte chissà dove, scomparse senza che nessuno sappia nulla, con i corpi fatti a pezzi così come la cronaca ci ha abituato a sapere.

Donne straniere, vite mutilate e ricattate tra lager (i Cie) e i flussi di “lavoro” che ne autorizzano l’ingresso in Europa in questa moderna tratta delle schiave (e degli schiavi, come quelli morti senza nome sotto le macerie dei luoghi di lavoro insicuri in Emilia) non sono che la versione moderna di una svendita di corpi in uso presso famiglie e strade e padri padroni che di queste donne fanno ciò che vogliono. Giacché è noto che gli uomini in Italia poi godranno di grande comprensione e invece queste donne proprio no.

Le vittime di violenza maschile sono vittime anche per questioni di “razza” e di “classe”. Se non diciamo questo non si capisce poi perché la lotta contro la violenza sulle donne non c’entra nulla con la spettacolarizzazione bipartisan di chi (le Snoq) mette assieme le Polverini, i Buffon e le altre.

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Posted in Comunicazione, Critica femminista, Omicidi sociali, Pensatoio.


3 Responses

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  1. subcomandante says

    Ci sono varie considerazioni da fare: in 2 di questi omicidi compare sé un’arma da fuoco. Questo dato è “interessante” in quanto i detentori di armi da fuoco in Italia sono relativamente pochi, almeno per quel che riguarda le pistole (molto più facili da trasportare del fucile da caccia, molto più diffuso) e le leggi sono abbastanza severe (mai quanto basta cmq). La distinzione pistola fucile è importante perché la pistola è l’arma di fascinazione del maschio frustrato, è lo strumento di potere trasportabile, il prolungamento del pene e la sua continuazione fuori dall’ambito sessuale nell’ambito pubblico (il soggiogamento che avviene fisicamente nella società tra uomo e donna attraverso il pene- nascosto ma presente-, si perpetua nelle relazioni sociali uomo-uomo, in cui la pistola viene tirata fuori -e quindi passa da nascosta a visibile- azzerando il punto di partenza (fisico, intellettuale etc) e dando la sensazione di onnipotenza al soggetto armato nei confronti del disarmato). Tutto questo per dire che si potrebbe proporre un disegno di legge per disarmare gli stalker: visto che le FFOO si guardano bene dal fare il loro lavoro etc, si potrebbe proporre di: a) negare il porto d’armi ai denunciati per stalking. b) ritirare il permesso e l’arma ai denunciati (in maniera temporanea alla prima denuncia e definitiva alla seconda per esempio). Non è un gran che rispetto ai bisogni, ma meglio di niente. Che ne pensate?

  2. maria says

    sono già 8 vittime in più dell’anno scorso di questi stessi tempi (erano 60 a inizio giugno)… Ma quanto cavolo ci metterà lo stato a dichiarare il femminicidio emergenza sociale, quando ne verranno ammazzate 4 al giorno?