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Caso Dsk e Repubblica: come sdoganare pressioni e intimidazioni nei confronti di una (presunta) vittima di stupro!

In un bell’articolo di Rebecca Solnit, pubblicato su L’Internazionale, si scrive, a proposito del caso Dsk: “Come faccio a raccontare una storia che conosciamo già fin troppo bene? Lei si chiamava Africa. Lui Francia. Lui l’ha colonizzata, sfruttata, messa a tacere…” ed è così che tutta la faccenda e il modo in cui viene trattata viene ricondotta alla stessa modalità del fondo monetario internazionale di consumare, colonizzare e sfruttare i paesi poveri.

La Francia, forse, e con lei l’Italia, non si è mai liberata dal pregiudizio nei confronti dei paesi che ha colonizzato e il piglio da colonizzatore e stupratore di quella che nei titoli oramai, in senso dispregiativo viene soltanto chiamata come “la cameriera”, è presente in tutta la difesa di un personaggio che mette sulla bilancia il proprio potere in cambio dell’impunità in un processo di stupro.

Ed è così che misura la sua difesa sostenendo che il suo ruolo, il suo prestigio, molto di più direbbero che il passato di una “cameriera”.

Interessante è la connivenza, in termini culturali, come abbiamo già rilevato, di quelle testate giornalistiche che a parole sarebbero schierate dalla parte delle donne che subiscono violenze.

Non vuole essere accanimento ma Repubblica insiste con la pubblicazione di articoli che avremmo immaginato possibili in riviste di quarta categoria. Invece stanno lì e pronunciano un verdetto.

Lucha in mailing list, mentre commenta l’articolo, dice:

ecco qui, messo nero su bianco, la teorizzazione della difesa maschilista nel caso di stupri: attaccare la vittima, instillare dubbi sulla sua “reputazione”, indagando (ma e’ legale?) nella sua vita privata. Anais Ginori definisce la cosa “a tratti crudele”, ma lo dice con una pacca sulla spalla.
era scontato che succedesse, secondo me un po’ meno che venisse scritto nero su bianco. del resto perche’ vergognarsene?

E nel frattempo Repubblica sdogana un po’ di pettegolezzi sulla presunta vittima. La descrive come una donna lontana dalla “famiglia” a fronte del fatto che invece Dsk è circondato di soldi e di “affetti” che incarnano il ruolo pubblico un po’ ipoctita e vago delle first lady. La immagina addirittura in fuga da una parente e per ogni trasloco (traslocare per gli avvocati di Dsk sarebbe cosa sospetta e un punto oscuro sul quale indagare, come se l’affidabilità venisse da una residenza lussuosa guadagnata con un direttorio all’Fmi) alimenta dubbi, lancia illazioni, indaga sui lavori precedenti, compie una radiografia della vita di questa donna perchè è chiaro che se una donna denuncia di essere stata stuprata è lei l’accusata e non colui che è stato denunciato.

Lei subisce un processo, in tribunale attraverso una puntuale operazione di discredito, e nei quotidiani complici di alimentare misoginia e di radicare nell’opinione pubblica tutti i pregiudizi che indeboliscono la credibilità delle donne per lasciare agli uomini violenti piena licenza di stupro.

Repubblica ci chiarisce ancora come per la difesa di Dsk la presenza della moglie sia decisiva sicchè si possa dare “l’immagine di un uomo fragile sessualmente ma non per questo violento“. Come dire che sarebbe un po’ malato (figurati se non veniva fuori la sindrome della fragilità sessuale per giustificare una violenza) e perciò da compatire. La cameriera invece che denunciarlo avrebbe dunque dovuto soccorrerlo?

E ancora altri particolari che dicono come giocano (anche in Italia) gli avvocati con la comunicazione, una propaganda costruita ad arte che decide perfino quale sarà l’immagine della donna da dare in pasto al pubblico per realizzare il favore della giuria, per “fare pressione” sull’accusatrice, intimidirla, per – così scrive Repubblica – “convincerla a ritrattare o negoziare, evitando così un processo in cui non le verrà risparmiato nulla.

E detta così sembrerebbe una minaccia, un avvertimento veicolato tramite conferenza stampa, un modo per dire alla donna “guarda che se continui sarà peggio per te…” e nella perfetta logica dei processi americani mi chiedo se nel frattempo qualcuno – prima di ricorrere a queste illazioni e a queste intimidazioni pubbliche – abbia tentato di comprare il silenzio della donna per proteggere la reputazione dell’uomo.

Non so voi ma più va avanti questa faccenda e più provo una immediata stima e una incondizionata solidarietà nei confronti di questa donna che è l’esempio vivente di quello che subisce ogni altra sua simile nel momento in cui decide di denunciare uno stupro.

Perchè le donne in realtà non denunciano o denunciano in percentuale bassissima e non avrebbero alcun interesse a farlo se non fosse per il coraggio e la necessità di stabilire una dimensione di giustizia rispetto ad una gravissima prevaricazione subita.

Lo dico ai negazionisti, quei misogini neomaschilisti che collaborano e giustificano ogni processato per reati di violenza contro le donne e ne sono certa: voi non avreste il coraggio di sfidare tutto questo e di tenere la schiena dritta e gli occhi determinati e fieri dopo aver subito una violenza, con la consapevolezza che potreste perdere tutto, che ve la faranno pagare, che si vendicheranno, che il pugno del potere maschile si abbatterà su di voi senza risparmiarvi nulla.

Voi non ne avreste il coraggio, perchè in fondo, voi, si voi, sapete solo infierire per piegare chi ha più dignità e forza e questo vi qualifica. Fatevi il test e guardate di capire di che negazionismo siete fatti. Poi, magari, andate a curarvi le varie false sindromi delle quali vi servite per giustificare i vostri comportamenti.

Per Repubblica: da quando è consentito per un quotidiano fare da megafono alle intimidazioni pubbliche nei confronti di una donna che ha denunciato di aver subito uno stupro?

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Posted in Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio, R-esistenze.


3 Responses

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  1. Imma says

    E quelle minacce non sono solo verso quella donna, ma verso tutte.
    “Vedete cosa facciamo a chi denuncia? Per cui buone e zitte”
    Intanto da repubblica si rifiutano di rispondere alle email di critica.

  2. Giulio says

    Infondo, per La Repubblica, “Il bikini è l’anima del commercio”.
    http://www.repubblica.it/persone/2011/06/08/foto/il_bikini_l_anima_del_commercio-17371325/1/?ref=HRESS-10
    Figurarsi le cameriere “facili”.

  3. Lorenzo Gasparrini says

    La solita vecchia storia di Cassandra: una donna si oppone al potere, allo stupro da parte di un potente, ed è condannata a non essere mai creduta. Ma quante ne sapevano, ‘sti Greci.