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Le femministe professioniste e il colonialismo delle rivendicazioni

8/24, sono i numeri degli articoli in cui si parla rispettivamente di ridare fiato alle banche con la scusa dell’assestamento del sistema creditizio. Significa fare finta che il passivo delle banche non sia un passivo e lasciarle operare come cavolo vogliono. Il 24 parla di pensioni e lì si sono sbizzarriti perché ce n’è per tutti i gusti. Sostanzialmente potremo crepare lavorando, quelli che un lavoro ce l’hanno, per quelli che non ce l’hanno invece zero. E a proposito di pensioni e dei problemi delle donne anziane vi suggerisco di leggere la serie di storie che sta pubblicando in questi giorni Loredana Lipperini.

Poi c’è il 27 in cui si parla di immobili “pubblici” da dare via. E si sente odore di speculazione e di privatizzazione lontano un miglio. E un’altra parte interessante sta al numero 34, capitolo sulle liberalizzazioni, dove si liberalizza di tutto. Poi c’è la parte che riguarda le imprese e pure quella è da leggere.

All’articolo 41 ci sono le opere di interesse strategico nazionale, uguale a come l’aveva immaginato il governo Berlusconi, il che significa che la Tav, per esempio, non può essere contestata e che quelle zone saranno militarizzate. Significa anche tanti bei miliardi per le infrastrutture e per le solite imprese di sempre.

Non abbiamo trovato la patrimoniale, un accenno alla riduzione delle spese militari, qualche privilegio in meno alla chiesa cattolica. Proprio no. A pagare siamo sempre e solo noi. I poveri, le povere, per mantenere banche e ricchi.

Cioè, noi il provvedimento ce lo siamo letto. Tutto. Financo le virgole e i punti esclamativi. Vorremmo sapere se le femministe professioniste che hanno applaudito l’entrata in scena della signora Fornero hanno fatto lo stesso. Se non l’avete fatto potete leggerlo adesso. Lo trovate QUI.

Pensioni, articolo 18, più flessibilità, come diceva ieri sera la Fornero a Ballarò. E non piangeva, eravamo noi a piangere mentre la guardavamo a dire che anzi ci vorrebbe “più flessibilità” e aveva di fronte la Gelmini che è tanto apprezzata da Monti che nel frattempo faceva il suo show da Vespa, e da Ballarò poi c’era la Finocchiaro che difendeva la manovra e diceva che la voterà, lei e tutto il Pd, e c’era Maroni che fingeva un cicinino di opposizione ed era una gran tristezza perché si vedeva lontano un miglio che in Italia l’unica opposizione plausibile non sta in parlamento e che l’unica parte che avrebbe diritto di parola adesso è quella zona precaria che invade le strade e si prende le manganellate.

In tutto ciò vorrei segnare qui a futura memoria un paio di considerazioni su un articolo scritto da Lidia Ravera su Il Fatto Quotidiano del 6 dicembre. Segno queste considerazioni perché la prossima volta che sentirò parlare di lei voglio ricordarmi perché io e lei non avremo mai niente da dirci.

Fa parte di quella generazione di cosiddette femministe professioniste un po’ scadute, integrate al sistema, che vengono invitate nei salotti buoni dell’intellighenzia femministeggiante, dal tg3 della Berlinguer a Parla con Me della Dandini. Sono quelle femministe o pseudotali, stipendiate, economicamente al sicuro, intente a difendere la proprietà, che poi si arrogano il diritto di parlare in nome e per conto di tutte le donne. Dimenticando che le donne, in questo momento, sono precarissime e la precarietà è un fattore dirimente specie se le donne precarie hanno coscienza di classe e non accettano più di essere rappresentate da ricche borghesi intente a coccolarsi reciprocamente.

Come interpretare il pezzo della Ravera se non in quest’ottica? Una che si permette di definire “antipolitica” l’opposizione ad una ministra che si fa tramite mediatico per rendere accettabile una manovra che renderà noi ancora più precarie. Ma quanto sei snob, Ravera? E dove le hai viste le derivate anarco populistiche? Ché se ti riferisci a quelle come noi, bhé, anarco, forse, populiste manco per niente. Populiste sono quelle come te che si intruppano sulla base del sentimento di indignazione popolare indotto contro un solo uomo e le donne di contorno, ovvero quelle che chiamavate “zoccole” o in forma politically correct “escort”.

Il pezzo che ha scritto la Ravera è così stucchevole da sembrare una parodia. Sincerità, competenza, talento, ma quanto amore profuso a piene mani per la nuova ministra. Il cui unico merito, in definitiva, parrebbe essere quello di non essere esteticamente troppo vistosa e decorativa, come se la decoratività delle donne si misurasse sull’aspetto e non sui contenuti dei quali esse si fanno portatrici. Gli stessi contenuti di cui si fa portatrice chi come la Ravera ignora, evidentemente, che esiste tutto un modo attorno che è fatto di donne poverissime, che presto o tardi, purtroppo, si ritroveranno candidate al ruolo di badanti delle vecchie femministe stipendiate e che dovranno pure sorbirsi, con rammarico, i racconti dei bei tempi andati, quelli in cui queste sessantottine istituzionalizzate cominciavano la scalata progressiva all’appropriazione di tutti gli spazi di comunicazione e quelli logistici, delle risorse attraverso le quali diventavano egemoniche e censorie rispetto a tutte le altre che sarebbero arrivate dopo.

La qual cosa, in particolare, non ci riguarda perché esiste il web e le donne prendono parola senza chiedere il permesso a nessuno e se non fosse per il web non potremmo certo leggere di donne che soffrono di crisi di panico per la precarietà, perché non hanno casa né lavoro a quarant’anni, perché non avranno mai una pensione, perché sono già in mezzo alla strada, costrette a fare lavori tremendi e faticosissimi per sopravvivere. Tutto troppo lontano dalla vista di queste pseudo/femministe in carriera che proprio non ce la fanno a capire che la maggior parte delle donne, quelle che hanno dai 45/50 anni in giù, ha dei problemi gravissimi e parlano proprio un’altra lingua, che è radicale, sa di lotta, di scardinamento del sistema, senza mediazioni, perché non c’è niente da mediare se non hai il pane e un tetto e se non sai cosa dare da mangiare a tuo figlio.

Dovrebbe essere obbligatorio per ciascuna, nel momento in cui decide di parlare a nome delle altre, in assemblee, nei talkshow, nei salotti televisivi, sulle testate giornalistiche, nelle piazze, dire di cosa vive, come vive, quanti bei soldi ha. Perché se tu hai una condizione economica fatta di certezze e privilegi non puoi parlare a mio nome. E’ una questione di giustizia sociale. Tu non sei legittimata a parlare di economia quando le manovre economiche sono fatte per decapitare la mia testa e non la tua. Tu non sei legittimata a chiedere consenso in nome e per conto di una qualunque ministra che rappresenterà la tua categoria ricco/borghese e non la mia di precaria a cui manca l’ossigeno per esistere.

Siamo stanche, davvero, di dover ricordare che gli spazi di agibilità politica ci vengono sottratti in primo luogo da quelle che dettano l’agenda politica e le parole d’ordine e lo fanno sulla base di argomenti che non ci riguardano. A noi dell’aspetto sobrio della ministra non ce ne può fregare di meno. Quando dobbiamo pagare l’affitto, o il mutuo o la bolletta, non portiamo in cassa l’aspetto sobrio della Fornero. Quando piangiamo di disperazione perché noi siamo precarie e i nostri figli sono precari e i nostri amici sono precari e i nostri genitori non sanno più dove sbattere la testa e i nostri nonni non sanno come campare, di tutte le cose scritte dalla Ravera non ce ne facciamo niente.

In Italia c’è un problema e si chiama differenza di classe. I ricchi parlano a nome di tutti. Le ricche parlano a nome di tutte. Ebbene, non andrà sempre così, potete scordarvelo. Potete tenere stretti i vostri mezzi di comunicazione, scambiarvi favori le une con le altre per regalarvi reciprocamente visibilità, non già per la stima riposta, ché l’onestà intellettuale è cosa rara oramai, ma per quello che potrete ricavarne, potete seguire la corrente quanto volete ma non per questo avete ragione. Siete delle privilegiate e non avete nulla a che fare con noi.

Non basta essere donne per poter parlare di donne. Non è un problema di ordine biologico. E se tale lo considerate, povere voi.

Le donne sono diverse, le une dalle altre, e questo colonialismo dei desideri e delle rivendicazioni deve finire. Ciascuna parli per se’.

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Posted in Critica femminista, Pensatoio, Precarietà, R-esistenze.


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  1. Sono precaria: le Snoq, mi rappresentano o sono di un ceto differente al mio? « Malafemmina linked to this post on Dicembre 28, 2011

    […] me la sento sorella una che dice cose che non mi rappresentano e come sta scritto in questo post (http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2011/12/07/le-femministe-professioniste-e-il-colonialismo-d…) che linko e condivido, io odio essere invisibilizzata da un movimento (Snoq) che pretende di […]