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Maledetta pedofilia – II^

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La prima parte di questo approfondimento la trovate QUI.

Le foto pubblicitarie che vedete sopra sono state utilizzate per un test da due psicologhe che hanno condotto una ricerca dal titolo: "L’erotizzazione dei bambini nella pubblicità". QUI potrete leggere i risultati del test su un campione misto di adulti. A fine 2008 nel web circolavano notizie dalla svezia a proposito di una seria battaglia contro le pubblicità e i giocattoli sessisti relativi il mondo dell’infanzia. In italia invece spopolano le agenzie casting – per bambini e bambine – che offrono ampi consigli sulla tipologia di bambino o bambina da proporre, sui modi per realizzare un book fotografico, su fotografi e persone alle quali rivolgersi. Basta fare un giro superficiale su internet per trovare cataloghi di bambini e bambine in offerta speciale. Foto di passerelle di moda kidswear per l’infanzia con bambine che imitano icone anoressiche dei giorni nostri (e poi ci si sorprende che l’anoressia sia un fenomeno in aumento). Gli stessi canali televisivi dei quali si nutre la maggioranza della popolazione italiana sono affollatissimi di pubblicità con bimbe truccate e vestite come madamadorè più o meno sexy tutte piazzate ad interpretare i ruoli sessisti (giusto per dare loro un imprinting familista) delle casalinghe di cinque anni piuttosto che di top model in erba per presentare il marchio di scarpe tal dei tali, i vestitini strip di tizio e caio e i giocattoli della tal o tal’altra azienda.

Del mondo dei casting e dello sfruttamento dei bambini e delle bambine nella pubblicità, in televisione o nel cinema ci ha parlato splendidamente Luchino Visconti nel film "Bellissima" con una grandiosa Anna Magnani. Oggi la questione è ovviamente peggiorata. Ci si è adeguati ai nostri tempi per cui bambini e bambine sono diventati/e merce di consumo. Corpi tra i corpi cui viene negato il diritto all’infanzia e viene invece imposto l’obbligo alla mercificazione. Soggetti che vengono sollecitati all’uso del cellulare con abbonamenti ai vari "ciao" e "tribù" che sono il naturale viatico per frequentazioni eventualmente "incontrollate" (le chat via web sono roba obsoleta, la carlucci sappia) e ingestibili se i ragazzini e le ragazzine non hanno ricevuto una sana informazione preventiva in materia di educazione sessuale e di alfabetizzazione all’uso dei mezzi di comunicazione (di ogni tipo, compresi i segnali di fumo, attraverso i quali chiunque potrà mettersi in contatto con loro).

Le aziende che commerciano in corpi infantili per vendere i propri prodotti ovviamente non sono oggetto di inchieste di nessun genere dato che rispettano le norme vigenti. Tutto regolare e conforme alla morale ipocrita che domina nel nostro paese e che preferisce abbandonare bambini e bambine in una ignoranza abissale in termini di sessualità dopo averli proiettati naturalmente verso una dimensione "a rischio". Scandalizzati anzi "sorpresi" verso mostruosità esplicite e conniventi con storture del mondo degli adulti e con oscenità implicite, proprie della cultura dominante che di queste mostruosità è responsabile. Propensi ad attuare strategie securitarie di controllo sociale invece che una seria attività di prevenzione e realizzazione di culture alternative non moraliste e censorie ma rispettose della identità delle persone nell’infanzia.

Vi mostro ora (grazie a Rho) un esempio di "pedopornografia" legale, molto d’uso negli stati uniti dai quali abbiamo tratto evidentemente gli insegnamenti peggiori.

Eccovi infine la prima parte del testo della ricerca della quale vi parlavo all’inizio (per i risultati del test guardate nel link originario) che vi copio e incollo come fossero appunti di un approfondimento che potrà avere un seguito. Buona lettura!

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Psicologia Contemporanea                           (gennaio febbraio 2008, n. 205)
 
Anna Oliverio Ferraris  – Jolanda Stevani
L’EROTIZZAZIONE DEI BAMBINI NELLA PUBBLICITA’

Quando sentiamo parlare di abuso infantile, il nostro pensiero e i nostri sentimenti vanno, in maniera quasi automatica, agli sventurati piccoli protagonisti di squallide storie, fatte di maltrattamenti fisici e sessuali ad opera di adulti.

La violenza all’infanzia è una realtà con la quale le cronache ci costringono a fare i conti. Esistono tuttavia manifestazioni più mascherate e subdole di violazione dell’infanzia, ossia tutte quelle forme di sfruttamento che il mondo adulto mette in atto nei confronti dell’universo infantile e che, con un’unica espressione, potremmo definire “furto dell’infanzia”.

Nella nostra società l’infanzia è spesso al centro di un processo schizofrenico: da un lato la protezione del bambino è riconosciuta, come mai nel passato, un valore primario e inderogabile dalla collettività; dall’altro appare invece diffusa la tendenza a perseguire forme sempre più pervasive di “adultizzazione” dei bambini, che violano questa età della vita proprio nel suo principio costitutivo, cioè il “diritto ad essere un bambino”, di crescere cioè seguendo tempi e tappe fisiologiche.

La forma di adultizzazione precoce di cui ci occupiamo qui è l’erotizzazione dei bambini, in particolar modo quella che viene veicolata da alcuni messaggi pubblicitari.

 

Bambini erotizzati

Innanzitutto è necessario chiarire che cosa si intende per erotizzazione. Secondo la definizione dall’American Psychological Association, il concetto comprende quattro fattori, ciascuno dei quali, preso singolarmente, può essere indice di erotizzazione, tant’è che non è necessaria la compresenza di tutti e quattro i fattori per determinare il fenomeno che, è bene sottolinearlo, non ha niente a che vedere con una sana sessualità. Si può parlare di erotizzazione quando:

– il valore di una persona è ricondotto esclusivamente al suo sex appeal o al suo comportamento sessuale;

– una persona è tenuta a conformarsi ad un modo di pensare che equipara l’attrattiva fisica con l’essere sexy;

– una persona è considerata un oggetto sessuale, vale a dire destinata ad essere usata da altri come tale, piuttosto che essere stimata per la sua autonomia e capacità decisionale;

– la sessualità è imposta ad una persona in modo inappropriato.

 

Per l’argomento che stiamo trattando, tra i fattori sopraccitati quello che qui interessa è soprattutto l’ultimo. Freud ci ha insegnato che  i bambini hanno una loro sessualità, la sessualità infantile però è diversa per molti aspetti rilevanti dalla sessualità degli adolescenti e degli adulti. Inculcare perciò nei bambini modelli di comportamento o atteggiamenti sessuali tipici degli adulti è una forma di pressione che assomiglia a una violenza.  

In termini generali, possiamo dire che il fenomeno rappresenta purtroppo una tendenza di questi anni, in particolare dei media. Oltre alle immagini pubblicitarie argomento della nostra indagine, ci sono le riviste destinate alle lettrici più giovani, le quali proliferano di messaggi che rimarcano l’importanza di presentarsi sessualmente attraenti per stuzzicare l’interesse dei maschi.  Internet, poi, è una miniera di materiali che propongono soggetti in tenera età rappresentati in maniera erotizzata. Stilisti alla moda seguono questa tendenza. Da ricerche recenti emerge che, mentre in passato l’approccio dei più piccoli a tematiche di tipo sessuale si realizzava in modo prevalentemente indiretto, nel senso che si basava soprattutto sull’esposizione a rappresentazioni erotizzate di adolescenti e adulti, oggi per i più piccoli l’iniziazione a queste tematiche è diventata più diretta ed immediata.  Sui media e in alcune pubblicità i bambini vengono oggi  proposti in pose e abbigliamenti che, in maniera più o meno esplicita, veicolano messaggi di tipo erotico (vedi le figure A e B).

 

Bambini accelerati

Nel 1991, l’esperto di comunicazione Neil Postman denunciava la scomparsa dell’infanzia, fenomeno già denunciato da altri studiosi, come Vance Pakard, nel corso degli anni Sessanta e Settanta. Secondo Postman la società odierna, consumistica per eccellenza, tende ad opacizzare le differenze tra adulti e bambini, ponendoli sotto il comune denominatore di consumatori e, come tali, sempre meno facilmente distinguibili, non solo nel linguaggio, ma anche negli atteggiamenti e nelle aspirazioni, persino nei comportamenti relativi alla sessualità.

Così, sempre più spesso si vedono piccoli assumere gli atteggiamenti, pose e movenze degli adulti. L’influenza del consumismo ha trovato terreno fertile nell’evoluzione delle relazioni familiari successiva agli anni Sessanta, sintetizzabile nel passaggio da una struttura familiare di tipo verticale, ad un assetto basato su legami di tipo orizzontale, ossia relazioni genitori-figli di tipo paritario, fondate su una equiparazione di diritti all’interno della famiglia, che di fatto cancella i confini generazionali e indebolisce la scansione delle tappe evolutive.

C’è la tendenza ad accelerare la crescita dei bambini (hurried child syndrome) in nome di una precocità che dovrebbe renderli vincenti nell’arena sociale, quando invece soltanto una crescita che rispetta i tempi dello sviluppo può garantire la formazione di una personalità matura e autonoma.  Tale tendenza è oggi sfruttata dal mercato che nei bambini accelerati vede una grossa fonte di investimenti e di guadagni: se sono dei cloni degli adulti, sia pure in miniatura, ad essi e ai loro genitori si può proporre una gamma di prodotti molto più ampia e articolata di un tempo.

 

Consumatori e oggetto di consumo

Per quanto concerne il mercato pubblicitario, i bambini costituiscono una succulenta fetta della popolazione dei consumatori: non a caso oggi si parla tanto di nag factor, un termine con cui si intende il “tormento” (richieste insistenti, capricci, paragoni con gli altri bambini…) che un bambino ben condizionato dalla pubblicità dà ai suoi genitori, nonni, zii ecc. affinché acquistino per lui un determinato prodotto, gli consentano di vestire seguendo i dettami della moda, di mangiare determinati alimenti. Che i bambini abbiano una posizione rilevante tra i consumatori è confermato dai cliché di matrice commerciale appiccicati ai giovanissimi utenti. Un esempio sono le cosiddette tweens o tweenager, ossia la fascia che sta tra due età e che comprende bambine tra i sei e i dodici anni. Un altro esempio è l’acronimo KGOY (Kids Growing Older Younger) che bene illustra l’immagine di una infanzia compressa e accelerata.

L’erotizzazione del corpo infantile rispecchia una tendenza diffusa tra gli operatori della pubblicità, secondo cui il sesso può essere utilizzato per vendere qualsiasi cosa. In questo caso si tratta di prodotti per bambini che vengono acquistati dagli adulti, anche  se spesso su richiesta degli stessi bambini. Lo stimolo erotico quindi è pensato per raggiungere gli adulti, il che rende particolarmente ambiguo e inquietante questo genere di operazioni commerciali.

Nel 2006, due ricercatori dell’Australian Institute  Emma Rush e  Andrea La Nauze hanno pubblicato due resoconti, intitolati rispettivamente “Corporate Paedophilia” e “Letting Children Be Children” in cui sono illustrati i risultati di ricerche svolte sugli annunci pubblicitari rivolti ai bambini e ai loro genitori. Da questi studi è emerso che le immagini erotizzate dei bambini, per lo più femmine, sono diventate sempre più comuni nella pubblicità. Il termine “Corporate Paedophilia” è una metafora utilizzata dai due ricercatori per descrivere la tendenza a vendere prodotti ai bambini prima che essi siano in grado di comprendere il significato dei messaggi pubblicitari: essa sottolinea come una strumentalizzazione di questo genere possa essere assimilata ad un vero e proprio abuso, traducendosi in uno sfruttamento del bambino da parte dell’adulto al fine di trarne vantaggi economici.

Negli Stati Uniti, sulla questione della erotizzazione del corpo infantile c’è stata una vera e propria mobilitazione di giornalisti, associazioni per la tutela dell’infanzia, genitori e psicologi, che ha portato alla costituzione di una task force in seno all’American Psychological Association. Nel 2007 Eileen L. Zurbriggen e coll. hanno pubblicato un rapporto dal titolo Task Force on the Sexualisation of the Girls da cui emerge che alla erotizzazione del corpo delle  bambine, non concorrono soltanto pubblicità e mass media ma anche molti genitori, insegnanti e coetanei. Ciò che si verifica è una sorta di circolo vizioso: attraverso ricerche di mercato  i pubblicitari cercano di individuare delle tendenze; attraverso i potenti mezzi di cui dispongono (televisioni, giornali, cartelloni stradali…) le pubblicità diffondo, rilanciano e potenziano quelle tendenze che i pubblicitari pensano di avere individuato (generalmente su fasce particolari della popolazione); questa diffusione su vasta scala ha l’effetto di modificare i gusti e la mentalità di ampie fette della popolazione generando, a volte, effetti collaterali non previsti e dando inizio ad una escalation in una determinata direzione.

 

Le conseguenze

Ma quali possono essere le conseguenze di una erotizzazione così precoce delle bambine? Le conseguenze possono riguardare diversi aspetti della personalità. Dal punto di vista cognitivo, è stato evidenziato che il concentrarsi eccessivamente sul corpo e sul look in tenera età può generare una negligenza nei confronti di altri aspetti fondamentali dello sviluppo come il calcolo matematico, il ragionamento, le attività artistico-espressive. Per quanto riguarda invece la sfera emotiva, una preoccupazione costante per l’aspetto fisico può creare, in chi si scopre “inadeguato”, tensioni interne, insoddisfazioni o vergogna quando invece i bambini dovrebbero concentrarsi su altri aspetti dell’esistenza e  vivere il proprio corpo in modo spensierato.

Lo sviluppo di una sana immagine corporea e di una solida autostima può essere ostacolato dallo sforzo di avere le stesse fattezze e gli stessi gusti dei modelli proposti dalla moda e una conseguenza di tale insensata tensione è la possibilità di cadere nella trappola dei disturbi alimentari. Infine, quando la preoccupazione per il proprio aspetto fisico e il giudizio degli altri diventa un’ossessione, le bambine preferiscono evitare di cimentarsi negli sport come in altre attività fisiche.

L’erotizzazione precoce ha tra i suoi effetti anche quello di incoraggiare le bambine ad impegnarsi in atteggiamenti seduttivi che attirano l’attenzione dei maschi prima di essere in grado di comprenderne le potenziali conseguenze sul piano fisico e psicologico. L’oggettivazione del corpo e l’identificazione con un modelli adulti conducono facilmente ad una rappresentazione del sesso di tipo strumentale, nel senso che la sessualità può essere concepita e vissuta alla stregua di una merce di scambio, a completo discapito della componente relazionale e affettiva. Il fatto che, per imitazione e omologazione, una bambina assuma atteggiamenti da lolita, seduttivi nei confronti dell’altro sesso, non fa che rafforzare questa tendenza.

A livello sociale questo fenomeno comporta insidie evidenti: questi piccoli che sono sempre meno piccoli e sempre più prototipi di un’adultità che li oggettivizza e li deruba del loro diritto di essere bambini, rappresentano un allettante vivaio che soddisfa le brame voyeuristiche e normalizza gli appetiti dei pedofili. Trasformata in oggetto di consumo, la bambina che per la gioia dello sponsor (e della mamma…) assume pose seduttive e  occhieggia allusiva dai cartelloni pubblicitari, lancia un chiaro messaggio di disponibilità; il che ha l’effetto, nella realtà, di rendere le sue coetanee più esposte e vulnerabili.

 

Gli adulti

Di fronte a forme di pubblicità deresponsabilizzate e aggressive e a dei media che sfruttano ogni occasione per spettacolarizzare la realtà, scioccare gli spettatori e dare una immagine morbosa dell’infanzia, genitori, insegnanti e  tutti coloro che vogliono il bene dei bambini si trovano oggi a dover contrastare una tendenza diffusa e pericolosa. Inutile dire che questo compito sarebbe notevolmente facilitato se gli organismi di controllo (garanti, comitati, disciplina pubblicitaria…) svolgessero un’azione più incisiva e meno formale di quella che invece sembrano svolgere attualmente.  Si tratta però anche di prendere coscienza di come i propri atteggiamenti possano incoraggiare questa tendenza invece di ridurne l’impatto.   

Lo studio condotto dalla “task force” dell’ American Psychological Association, ha evidenziato il ruolo non trascurabile di genitori e altri adulti che vivono in stretto contatto con i bambini nell’erotizzazione del loro mondo e nel fiancheggiare coloro che, per fini commerciali,  cercano di trasformare i bambini in piccoli adulti. Evidentemente molti genitori si adeguano, senza troppe riflessioni, alle mode del momento quanto invece serve riappropriarsi del proprio ruolo educativo.  Serve anche ribadire che, nonostante il forte impatto che hanno i media e le pubblicità, genitori e insegnanti continuano ad essere dei modelli “forti” per i bambini, assai più di quanto non lo siano per gli adolescenti che, per le esigenze di emancipazione legate all’età, tendono a prendere le distanze dagli adulti e ad entrare in polemica con loro. 

 

PS: messaggio per i genitori —> rispetto alla possibilità di far fare le pubblicità ai figli, il punto non è la cosa in se’ ma il modo e quel modo lì di cui si parla nel post ha che fare con la costruzione di una cultura della pedofilia…

Tutto quello che resta nella dimensione del gioco è una cosa buona. Le stesse bambine amano travestirsi con gli abiti delle loro mamme, pastrucchiano con i loro cosmetici ma questo è un gioco, il loro gioco. Diverso è se su questo si costruisce un business…

I bambini (come le donne etc) non sono una categoria assoluta e nessuno può sapere con certezza, lontani da letture proiettive, quello di cui hanno bisogno. Non si vuole dunque agevolare una linea di ragionamento che favorirebbe l’intrusione – in termini di veti istituzionali – nel rapporto tra figli e genitori. Pensate a quello che è successo con il testamento biologico…

E’ storia complessa e non facciamo generalizzazioni moraliste. Si tratta esclusivamente di tentativi di ragionamento articolati… 

 

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6 Responses

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  1. la Meringa says

    Il discorso è che siamo tutti/e imbevuti di questa cultura americana della competizione, che nella nostra società si è fusa con quella tipica italiana della sopraffazione. Per cui, vedendo almeno le compagnie di mia figlia alla materna, le bambine spesso cominciano già da quell’età ad emarginare o essere emarginate. Ma un conto è questa “sana” competizione e un altro conto è farne un business come fanno in America, ma anche la kinder, per esempio, non lontano da casa nostra…
    Complimenti per l’articolato post!

  2. lisa2007 says

    interessante post, davvero.
    Nulla è regolamentato.
    Se non ci svegliamo noi e non agiamo, nulla cambierà.

  3. extramamma says

    Ciao, Piattini mi ha segnalato il tuo blog, leggendo il mio ultimo post, sono mesi/anni che scrivo su questa tendenza.
    Facciamo qualcosa!!!

  4. g(ilda) says

    io per parte mia sto dando mano a un libriccino con disegnini per bambine, lo intitolerò “bambine selvatiche”. è così che ho sempre chiamato le bambine sane che incontro nella scuola materna dove fo la custode, per fortuna ce ne sono ancora parecchie,contente di vivere, di sporcarsi, di ridere, di fare cose strambe…sarà un incoraggiamento a conservarsi nel tempo così libere, intelligenti e appassionate. quando è pronto ve lo mando.

  5. Lameduck says

    Questi esempi sono senz’altro deleteri. Però, mi chiedo, la mania di mettere sempre le gonnelline cortissime alle bambine appartiene anche alla mia generazione e ci esponeva ugualmente a qualche pensiero pedolubrico, per non dire di peggio.

    Mi è venuto in mente questo mio vecchio pezzo http://ilblogdilameduck.blogspot.com/…unita.html dove si racconta del caso tragico di una di quelle bambine/Barbie viventi del filmato.
    Un abbraccio.

  6. Rosa says

    Quel video mi ha fatto venire i brividi 🙁
    sembrano donne con il viso di 20 anni nel corpo di una bambina!
    Quest eimmagin isono estremamente pericolose xke rendono le piccole disponibili ai piaceri dei peggiori depravati
    Epoi la gente si stupisce dei paesi islamici dove le bimbe vengono date in spose a 9 anni!
    Hai pienamente ragione e appoggio la tua battaglia contro la pedofilia!