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Corpi a rendere

Una nostra cara amica ci manda una mail che contiene la sua esperienza in fatto di aborto e autodeterminazione. Perché ogni donna ha una sua storia ed è giusto che quella storia sia raccontata senza filtri e generalizzazioni. A partire da sé, come sempre. Buona lettura!

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Amiche mie,

Leggere le testimonianze delle pessime esperienze di aborto e contraccezione d’emergenza sul blog Lipperatura mi ha riacceso una lampadina mai del tutto spenta, ed ho pensato di voler nuovamente contribuire alla discussione portando le mie riflessioni su questo argomento.

Sono passati già quasi due anni da quando raccontai per la prima volta pubblicamente la mia esperienza di aborto sulle vostre pagine. Nel tempo trascorso da quel primo emotivissimo tentativo di narrazione ho continuato a riflettere su quella vicenda con un occhio ancora più distaccato e, spero, più consapevole.

Le cose per le donne nel frattempo sono assai peggiorate. Gli attacchi al nostro diritto non già – o meglio non solo – di abortire, ma di essere padrone del nostro corpo e della nostra vita sono state, e sono tuttora, messe a dura prova.

Il mio caso è un caso limite: io infatti ho scelto di abortire sotto la pressione (in particolare, ma non esclusivamente) di una persona, mia madre. E’ perciò, ne sono consapevole, un caso anomalo, poiché io sono una donna, oggi fortunatamente e fieramente femminista, che ha abortito ma non dicendo “sto benissimo”. A me è stato tolto il diritto di scegliere approfittando della mia fragilità, e questa è stata la violenza più grande da me subita in tutta la vita (e per spazzare subito via ogni dubbio, la violenza non è stato l’aborto in sé, ma l’avermi tolto la libera scelta allo stesso modo di ciò che i pro-life vorrebbero fare alle donne che desiderano interrompere la gravidanza. Poiché la scelta che avrei preso allora con tutta probabilità, visto il momento particolare della mia vita, sarebbe stata la medesima).

Quello che credo di aver capito da quell’esperienza, a prescindere dal fatto che ciò che io ho vissuto non mi ha mai fatto dubitare nemmeno per un solo secondo della necessità di una legge seria che garantisca il diritto di aborto a chiunque ne senta la necessità, è che il nodo più stringente e problematico rimane sempre uno, e cioè: chi decide della mia vita di essere autonomo, adulto, consapevole e indipendente?
Sia chiaro, mia madre si professa cattolica ed è praticante, va in Chiesa tutte le Domeniche e credo confessi con contrizione i propri peccati con cadenza regolare. E forse proprio grazie a questa superficiale ideologia cattolica e perbenista che a quel tempo lei ha giudicato un eventuale figli* come cosa non adatta nel caso di una ragazza ancora universitaria e non sposata. E che in fondo – come spesso fanno i cattolici peraltro – si poteva fare una personalissima eccezione alla norma di madre chiesa. E magari si è anche confessata ed è stata perdonata, poiché la chiesa perdona ai suoi fedeli tutto, tranne il pensiero autonomo e il libero arbitrio.

E lei, ben imbevuta di mille contraddittorie credenze, a me non l’ha mai chiesto, cosa volessi veramente, ma solo di corrispondere silenziosamente al suo modello. Io di questo non l’ho perdonata, e non credo lo farò mai. Quello che non le ho perdonato non è il fatto di avermi fatto pressione per abortire o meno: mia madre si è fatto il braccio violento della legge, una legge che – scritta o meno, urlata o più spesso taciuta ma evidente – si appropria dei corpi delle donne, manipolandoli come strumenti ogni volta per un fine diverso, privandoli del diritto alla propria autonomia, del diritto a vivere prive di continui sensi di colpa, con qualcun* sempre pronto ad indicare la retta via.
Pensavo stamattina ai paradossi applicati ai corpi di donne: donne premiate per il numero di figli, come facevano i fascisti; donne sterilizzate contro la propria volontà, come in Cina; donne in coma usate come incubatori, lenzuola insanguinate alla finestra come prova di ‘illibatezza’, cadaveri di donna vestite da sposa anche quando è stato il fidanzato ad ammazzarle.

Voci, tante voci diverse, che si arrogano il diritto di sapere cosa sia giusto non chiedendolo mai alle dirette interessate. A quelle voci, da donna e femminista, voglio dire questo: il mio utero, le mie ovaie, non fanno di me, di noi le vostre mute fattrici. E’ evidente che c’è tutta una tradizione in merito, che passa ad esempio dalla appropriazione dei corpi di coloro che sono considerat* più indifesi e inferiori (le balie reclutate tra i domestici ad esempio, o gli animali da fattoria trattati non come esseri viventi ma come macchine da produzione di carne – i loro stessi figli e figlie – e latte a loro destinato).

L’appropriazione dei corpi è storia antichissima che ha solo cambiato forma, e il desiderio di possedere altri corpi, altre vite, è sempre fortissima e onnipresente. Ma a me non interessa andare a psicanalizzare le motivazioni di chi considera lecito appropriarsi della nostra vita per adattarla al proprio disegno violento e malato.

La mia storia, come la storia di tante, se non tutte, le donne, al di là delle proprie specificità ha delle caratteristiche comuni: come donna mi è stato detto fin dall’inizio quale fosse il mio ruolo, e cioè compiacere gli altrui desideri. Non esistere per me stessa, per diventare persona forte, autonoma, positiva, indipendente: a parole, certo che sì, ma nella pratica in realtà è stato applicato il più bieco conformismo. Perché le donne a questo mondo non nascono per sé stesse, ma per essere lo specchio dei desideri altrui. Indirizzate quasi sempre da subito verso i giochi ‘da femmine’ (piccole mamme crescono); ad essere gentili, beneducate, a pulire la casa; a temere la sessualità, cosa peccaminosa, pericolosa, da evitare per non diventare donne per male; a sposarsi con l’uomo giusto, e solo dopo essersi sposate ed essere passate di proprietà di poter avere figli, quelli giusti, legittimi; di favorire e preferire la casa e l’accudimento (di chiunque, figli*/mariti/genitori anziani) alla vita vissuta nel mondo (anche quando, magari negli anni dell’università, si è state spinte a dare il massimo per eccellere).

Potrei continuare così all’infinito, davvero. E ognuna di noi ha sperimentato qualcuno o forse tutti di questi condizionamenti, di questi desideri “altri” imposti con la forza.

A me quell’aborto ha fatto bene. Non al mio corpo sul momento, né al mio spirito. Ma mi ha fatto comprendere fino a che punto ero stata resa schiava, e quanto desiderassi liberarmi. Ho cominciato un percorso che non è ancora finito, il percorso che mi ha messo finalmente e consapevolmente come donna di fronte alle mille catene che ci imprigionano (noi donne, ma non solo).

Sono diventata una femminista senza se e senza ma. Perché il mondo che voglio io per le bambine, le ragazze e le donne di domani, non è questo schifo, perché E’ UNO SCHIFO DAVVERO. Voglio un mondo nel quale ognuna possa scegliere in modo autonomo e indipendente: se e con chi fare sesso, se sposarsi e avere o meno figli, se dedicarsi a tutt’altro con la stessa dignità. Voglio che la sessualità sia vissuta gioiosamente, così come la corporeità. Non voglio più gabbie intorno ai corpi, siano esse visibili o invisibili. Voglio una educazione sessuale precoce, seria e libera, perché i bambini si toccano ed esplorano già in tenera età, che lo si voglia ammettere o meno, e criminalizzare questo comportamento naturale è tra le azioni più bieche che si possano compiere. Voglio che alle ragazze non sia predicato che il sesso è peccato, ma che è un crimine se il tuo partner ti vuole forzare ad un rapporto sessuale, e puoi e devi rifiutarlo, mentre se sei tu a volerlo assieme a lui le uniche due cose a cui devi fare attenzione sono l’uso dei metodi contraccettivi adeguati (preservativo anche meglio della pillola per quanto riguarda le malattie sessualmente trasmissibili) e di godertela il più possibile, perché il sesso è bello e fa stare bene. Voglio l’aborto libero, certo che sì: perché anche nel migliore dei mondi possibili un profilattico può sempre rompersi o una pillola non funzionare, e, in ogni caso, la sicurezza al 100% nella vita non esiste in nessun campo (e per lo stesso motivo non è nemmeno corretto chiedere a chi desidera una interruzione il motivo della gravidanza, che è insito nell’imprevedibilità della vita).

Voglio che una donna possa vivere da sola, perché ha uno stipendio che glielo permette, un lavoro non precario e malpagato per cui dipendere sempre da un uomo o dai genitori, e farlo a testa alta senza essere considerata una indesiderabile (poiché ci sono donne che scelgono e non subiscono lo status di single, ma vengono sempre categorizzate come brutte o dispotiche o in qualche segreto modo indegne di attenzione maschile). E che se vive da sola e vuole un figli*, possa beneficiare del supporto di uno stato che invece chiuderla in casa offre servizi di cura garantiti per bambini ed anziani, perché le donne non nascono né balie, né badanti. Voglio un parto libero dal dolore (che debilita e non nobilita!); voglio consultori, voglio tempi decenti per ottenere una IVG, voglio che gli obbiettori stiano fuori dai reparti di ginecologia (se non potete garantire per qualsiasi motivo tutti i servizi che per legge devono essere offerti alle donne, fuori dalle ovaie!) Voglio altresì che gli uomini si prendano le loro responsabilità, quelle vere: che invece di dire alle donne come vivere la propria vita, diventino quello che oggi spesso non sono, e cioè uomini non ossessionati dal potere e dal controllo; uomini capaci di stare al fianco di una donna, senza prevaricarla; capaci di essere compagni e padri e prendersi le stesse responsabilità genitoriali e di cura delle donne; che imparino a svolgere autonomamente i lavori domestici e li sappiano svolgere insieme alla partner senza dipendere dalle cure di mogli o madri per lavarsi le mutande o mettere un piatto in una lavastoviglie, che si curino dei figli e delle figlie con amore, che rivendichino il diritto a passare del tempo coi propri neonati. Che si sincerino del desiderio di una donna di fare sesso con loro, e che, in caso positivo, si preoccupino allo stesso modo della donna delle conseguenze di una gravidanza indesiderata e usino per primi metodi contraccettivi (perché se una donna è incinta, un uomo se ne è fregato di dove i suoi spermatozoi fossero diretti, ma questo non viene mai detto apertamente), perché un aborto è scelta di una donna ma anche responsabilità di un uomo (e questo lo dico ai portatori di testicoli che gridano alle assassine!).

Non si possono sostenere i presunti diritti di un grumo di cellule quando ogni giorno in questo e in molti altri paesi vengono prevaricati i diritti di individui autonomi e consapevoli (peraltro, non solo umani) che esprimono le proprie volontà e i propri desideri… non siamo corpi a perdere, ma esseri autonomi, non infallibili ma ognuno sul proprio personale cammino di consapevolezza.

Basta de rosarios en nuestros ovarios!

Posted in Anticlero/Antifa, Corpi, Critica femminista, Narrazioni: Assaggi, Pensatoio, Personale/Politico, R-esistenze.


5 Responses

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  1. lelio says

    grido basta anch’io, stufo dei falsi perbenismi e della moralità cattolico-fascista.
    Viva l’autodeterminismo e la piena libertà dei sessi, ognuno possa godere la propria felicità con chi vuole, anche (perché no) da solo

  2. Hope1986 says

    Bellissimo post! Condivido al 1000% ogni singola parola…..

  3. lello says

    Su questo tema il monologo
    di questa suora sui generis

    http://www.youtube.com/watch?v=mcpibtPhBSg

  4. Paolo84 says

    ti auguro sinceramente di incontrare qualcuno con cui condividere la tua vita e i tuoi ideali

  5. frapa says

    Gridiamo tutte BASTA!!!!!!!
    Anche io voglio donne libere autonome con il POTERE di decidere della nostra vita del nostro corpo, dei nostri aborti.