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#Egitto #Tahrir: rivoluzione, stupri e il governo dei militari

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Da Abbatto i Muri:

Difficile raccontare quel che ho capito dell’Egitto. Provo a condividere con voi il mio sapere indicandovi il percorso che ho seguito.

Probabilmente molti sanno quel che leggono sulle grosse testate nazionali con il solito carico di islamofobia e la vittimizzazione delle donne che mai, invece, vengono valorizzate o raccontate quando sono protagoniste di una lotta che coinvolge tutti. C’è tanta smemoratezza e un bel po’ di revisionismo in quello che si legge in giro mentre si fa intendere che l’esercito che prende il potere sia una buona cosa dimenticando che l’esercito dopo Mubarak si è macchiato di delitti e ha continuato a esercitare una forte repressione mantenendo il controllo sui territori fino adesso.

Vi indico una serie di fonti alternative che raccontano una storia abbastanza complessa o forse neppure poi tanto.

Mubarak aveva portato avanti un sistema liberista con supporto di vari stati occidentali e relativo pseudo/mantenimento di ordine sociale. La crisi economica colpisce l’Egitto come molti altri paesi. Poveri e disoccupati iniziano la propria rivoluzione in senso individuale. Gesti di vera e propria ribellione. Alcuni si danno fuoco e l’esasperazione diventa il motore di una rivolta che se anche avrà usato internet per cooptarsi, come l’occidente liberista ama dire, di fatto poi si realizza in concreto con la resistenza per le strade, con i corpi esposti alla repressione, con morti, torturati, arrestati, di ogni genere.

La povertà è il vero motore e non la richiesta di una concettuale “libertà” svuotata di senso, ché se non hai da mangiare non sei liber@ di fare niente. La polizia nelle giornate di manifestazioni del 2011 picchiava e calpestava chiunque, le armi usate sono sempre le stesse, ovvero quelle che vengono usate per reprimere le rivolte in ogni altra parte del mondo.

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Ricorderete a questo proposito l’immagine della ragazza dal reggiseno blu picchiata e spogliata da uomini dello Scaf nel dicembre del 2011. Qui potete leggere delle considerazioni fatte da compagne che giustamente parlavano dei loro corpi come campi di battaglia.

Dopo la caduta di Mubarak fu l’esercito a tenere il potere in senso transitorio fino a nuove elezioni e quello fu un periodo cruento in cui si parla di arresti e repressione in piazza perché, come qualche militante dice, pensavano che dopo Mubarak la gente dovesse smettere di rivendicare e tornare a casa, cosa che invece nessuno voleva fare.

Molte persone sono state arrestate e torturate e delle torture e di quel periodo si sa che alcune attiviste arrestate furono sottoposte, proprio dai militari, ai test di verginità.

Vi può essere utile a capire guardare e ascoltare l’intervista di Rasha Azab intervenuta a Roma in una iniziativa nel 2012.

Di molestie e stupri già si parlava fin dal 2011 come strategia utilizzata proprio da persone in divisa che tentavano di ricacciare a casa le donne che uscivano fuori per partecipare alla rivolta. Si parlò anche di tentativo di de-genderizzazione delle piazze. Poi quella rivoluzione si placò un attimo nella speranza che le elezioni fossero veicolo di cambiamenti, come spesso accade, nell’affidarsi ad un partito o ad un uomo, e le questioni di genere, le conquiste civili per le donne, non furono minimamente contemplate tra i diritti da esigere per quelle che pure avevano lottato assieme a tutti gli altri.

Anzi molestie e stupri divennero un fatto sistematico, c’è chi parla anche di emulazione, chi parla di modalità organizzata, con uomini che separano gruppi di donne, le circondano, una ad una, agli angoli di quella piazza Tahrir che tutti conoscono e poi le spogliano, le toccano, talvolta riescono a stuprarle e le feriscono gravemente. Un metodo intimidatorio che ha portato alcune persone a costituire gruppi autorganizzati e reti di sostegno, con telefoni di riferimento e cordoni autogestiti a protezione per consentire alle donne di continuare a partecipare alle manifestazioni.

Tra i militanti c’è indignazione ma le attiviste sono arrabbiate e denunciano il fatto che alla fine tanta indignazione per i crimini di Stato, la repressione, le torture e le intimidazioni subite per le strade non si traduce in una volontà politica precisa di cambiamento tant’è che nessun intervento è stato richiesto con forza per cambiare leggi che ancora tollerano i crimini d’”onore”, lo stupro, le molestie sessuali, la violenza domestica e le mutilazioni genitali femminili.

1000848_487486278006749_1804219247_nI Fratelli Musulmani vincono le elezioni alla maniera della nostra Dc di un tempo. Pare abbiano coinvolto sacche popolari analfabete dei paesini alle quali portavano pacchi di zucchero per comprare un voto. Divisi in varie correnti, prescindendo dal nome che portano, in realtà non soddisfano neppure le richieste di correnti islamiche integraliste ed escludono dal loro percorso politico, forti del 51% preso alle elezioni, tutte le altre componenti sociali. Non sono però in grado di fare fronte alla crisi economica, si vede la gente in coda per un pezzo di pane, i prezzi sono aumentati molto, la gente è impoverita e la repressione sotto il loro seppur breve governo continua a essere durissima. [Due interviste radiofoniche che possono aiutare la lettura su questo: QUI, ascoltate una compagna su Radio Onda Rossa e QUI, un docente italiano racconta a Radio Radicale]

Alla gente non importa nulla di chi governi o meno. Il punto è, come spiega un comunicato dei compagni di Tahrir, che il liberismo resta tale a prescindere dal fatto che si presenti in versione occidentale o che si agganci alle tradizioni locali, islamiche o meno. Che poi è il motivo della disaffezione di tanti elettori dalla Lega Nord in Italia, se ci pensate bene, perché alla fine che destra o sinistra dicano che vogliono risolvere i problemi economici della gente in senso europeista o facendo i secessionisti con coloriture destrorse poco importa. Se non si vedono risultati non puoi tenere gli elettori a lungo fedeli alla linea istigando divisioni sociali e mettendo in atto la strategia della paura.

resize_imageLa rivoluzione in Egitto continua (non parlo dell’Italia ovviamente dove si continua a voler affidarsi ad un uomo o ad un partito…) e le persone se ne fregano del fatto che al Governo ci sia chi dice di essere stato democraticamente eletto. Quel che i più avveduti avevano già previsto era il fatto che le forze conservatrici che esigevano il ripristino del regime di Mubarak e che volevano spodestare i Fratelli Musulmani attendevano questo momento e hanno lasciato che si compissero gli scontri e la repressione mentre l’esercito già si preparava a quel che è successo ora.

E quando un esercito toglie alla gente la possibilità di decidere del proprio destino, autoassegnandosi il potere di governare una nazione, in genere non è mai un buon segno. Anzi.

Però moltissime persone anche ieri, mentre l’esercito faceva il suo colpo di stato, occupava tutte le televisioni e arrestava i leader dei Fratelli Musulmani, erano in piazza, le donne incordonate per impedire stupri, governo armato e machista transitorio e paternalismo in piazza ché altrimenti le donne non possono neppure protestare.

Non so a voi ma a me tutto ciò non sembra un gran progresso, tenendo comunque conto dei compagni che dicono che la rivoluzione non sia ancora finita e che si tratterebbe di un processo di democraticizzazione che va per fasi transitorie. Devo dire che la transitorietà di un esercito al potere non riesco a farmela piacere in ogni caso.

Ecco. Magari ditemi se ho scritto castronerie o ricostruzioni superficiali e indicatemi, se ne avete voglia, fonti e notizie per capire un po’ di più.

Posted in AntiAutoritarismi, otro mundo, Precarietà, R-esistenze.

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One Response

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  1. Emmanuela says

    Sono d’accordo praticamente su tutto; solo, penso che fasi spiacevoli come quella in cui l’esercito fa il bello e il cattivo tempo (che non è una cosa nuova in Egitto, è così da ben prima del 2011) siano purtroppo logiche conseguenze del fatto che gli egiziani, come i libici o i tunisini, hanno secondo me fatto qualcosa di enorme, hanno acquisito e stanno acquistando sempre più consapevolezza.
    Non si fanno le rivoluzioni pretendendo di avere risultati buoni già dopo due anni, e molti di loro lo sanno: anche ieri, in piazza a Milano, festeggiando insieme perchè Morsi era andato via, mi dicevano “Sì, stasera festeggiamo, ma da domani c’è subito da ricominciare a lavorare, e sarà un lavoro lungo”.
    Penso insomma che gli egiziani debbano fare il proprio percorso, e dopo decenni di dittatura non è facile.