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#61 – La fragilità dell’assassino

Ovvero, della rappresentazione dei media rispetto al fenomeno della violenza sulle donne.

L’assassino è un uomo fragile. E’ “geloso”. In preda ai suoi istinti. Ha una sessualità proprietaria, una modalità di relazione dipendente. Non può fare a meno dell’altra. Non può vivere senza di lei. E di tutte queste cose sono infarcite le canzoni, le poesie, eleggendo un metodo d’essere amanti che è fatto di possesso, di sentimenti talvolta morbosi, di chi è incline a restituire nobiltà a modalità ossessive.

“Io la voglio, la amo troppo”. E lei di questo dovrebbe essere felice. “Perché se non c’è la gelosia vorrebbe dire che non mi ama…” e nei talk show, quelli in cui parlando di relazioni e corna, si dice ridacchiando che “un po’ di gelosia ci sta sempre bene… è il sale del rapporto”.

Di questa cultura è fatta l’Italia, che scorre giù giù fino alla mia terra, luogo che si dice in ritardo rispetto al resto della nazione ma chissà come poi nessuno spiega come mai è proprio da qui che partì la spinta di quella Franca Viola che mise fine al matrimonio riparatore ed è ancora dal sud che partì la rivolta contro il delitto d’onore perché di onore nell’ammazzare mogli, fidanzate e figli non ce n’è nessuno.

Di contro c’è l’Italia che pare remare in senso opposto per continuare a promuovere il modello sociale dell’assassino fragile, geloso, possessivo, condizionato da quel “diritto di natura” che vorrebbe legiferarti anche dentro le mutande (rubo da Valerio!) e che ti spara un colpo in testa e poi va a pregare prima di mettere fine anche alla sua vita. L’ennesimo femminicidio, ancora uno, e siamo a #61 vittime incluse vittime trasversali, uomini e bimbi/e, a Paternò, provincia di Catania, in un paese in cui c’è l’antimafia, c’è gente che si batte contro il pizzo, uomini e donne coraggiosi/e che rischiano la vita per denunciare una verità, per una idea, perché in quei mondi ci vuol coraggio anche ad esistere talvolta, e dunque in quel paese, in mezzo ad un mondo dove pure di battaglie se ne fanno si perde l’occasione di gridare forte che oltre la mafia, oltre l’estorsione, oltre quei tanti crimini che impediscono la vita un po’ a chiunque, c’è il femminicidio che tocca ogni contesto e che richiede coraggio, pure quello, per battersi contro e per creare un’antiviolenza che sia caparbia, tenace, seria perché di quella violenza muoiono in tante e si tratta di una questione che non riguarda solo le donne.

Enza, così si chiama l’ultima vittima di femminicidio, aveva due figli, grandi, che sapranno ora cosa vuole dire ciò di cui parliamo e speriamo abbiano una vita bella e dignitosa e che non debbano mai sentirsi dire nulla di brutto sulla loro madre.

A Enza secondo voi interessa che lui sia andato in chiesa a pregare? Però i quotidiani ne parlano e tentano di sollecitare empatia nei suoi confronti.

Ce li consegnano così, questi assassini, queste figure maschili prive di forza e qualità morali, quasi che si volessero responsabilizzare tutte le donne, inibendo le nostre libere scelte e dettando un monito diretto ad ogni donna affinché noi si sappia che lasciare un uomo in balia di se stesso significa morire.

E’ lui il debole. Noi siamo forti. E ogni giorno non si fa che ribadire questa posizione assurda sulla “superiorità della donna” che pare essere una riparazione ai torti fatti nei confronti del genere femminile e invece è un inutile atteggiamento di rivalsa, sessista e senza scopo se non quello di prestare il fianco o creare una mistificazione.

Le donne sono più e gli uomini sono meno. Noi siamo più questo e più quello e gli uomini hanno meno quello e meno questo. Noi siamo tutto e loro sono niente e quel niente, accidenti, spara e quando spara quel proiettile è più che un niente. Ti fa il sangue tutto attorno e tu che pure pensavi di essere tanta e infinita ed eterna alla fine muori.

Sarà che ne ho piene le scatole di questa sempiterna tesi della donna angelica, vittima, come dice fikasicula, martire canonizzata, medioevale, ché siamo ferme a Petrarca e non ci fa gioco questo eterno mostrarci da vittime mai in grado di risollevarci, perché è questo il modo in cui ci ritengono superiori, quasi non umane, inclini alla santità, responsabilizzate, obbligate a prenderci cura di questi uomini così fragili e dipendenti, per cui ogni forma di reazione, anche nelle rappresentazioni visive, sembrerebbe un’anomalia, ché ci rappresenterebbe in forma quasi diabolica. Da vittime siamo superiori e da soggetti reattivi siamo figlie di satana. E l’ la nostra “superiorità” assume quel che di devastante dal quale alcuni uomini immaginano di doversi difendere.

Invece loro finiscono per essere rappresentati come deboli e l’unico gesto ribelle, per la stampa, sembrerebbe quello di uno sparo, una coltellata, quasi si celebrasse il delitto a rinsaldare la stima che certi uomini perdono in se stessi.

Ci sono tanti esempi positivi che degli uomini si possono fare, nella loro difficile ricerca di identità perduta, senza che si agevoli o istighi la tentazione di rifugiarsi nei vecchi valori, ché è una cosa che fa comodo solo a entità piuttosto reazionarie, così come ci sono tante cose che delle donne si possono dire senza ritenere che loro siano più pazienti, più materne, più meravigliose, più tutto, perché noi siamo solo noi. Siamo persone né più e né meno che quegli uomini che ci ammazzano e poi vanno a pregare prima di spararsi colpi in testa. Siamo persone, che si incazzano e bestemmiano per le quali qualunque gesto di reazione è inibito.

Ne abbiamo un’altra, Enza, morta per la sua libertà. Di lui si sa che era un santo. Di lei che era una cattiva donna che lo voleva allontanare. Così si celebra l’ennesimo delitto di questa Italia muta e consenziente che quando parla lo fa spettacolarizzando inutilmente e quando agisce lo fa solo per ottenere qualcosa sulla pelle delle donne. La nostra pelle.

—>>>I centri antiviolenza italiani: http://www.women.it/centriantiviolenza/

—>>>Bollettino di Guerra: http://bollettino-di-guerra.noblogs.org

Leggi anche:

OccupyMedia: per una diversa comunicazione sulla violenza sulle donne [vedi video]

Posted in Comunicazione, Omicidi sociali, Pensatoio.


3 Responses

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  1. cloro says

    Messaggio da lui a lei: “Vorrei scrivere il tuo nome su una pietra e poi lanciartela in faccia, per farti capire quanto fa male la tua assenza”

    (da “uomini col mestruo” sito letterario di facebook sulle abitudini maschili in fatto di relazioni ehm… affettive con le donne. Posso consigliarvene l’iscrizione? C’è bisogno di piu’ umorismo in questo sito, anche se i tempi non incoraggiano) ciao

  2. Paolo84 says

    infatti non è la gelosia il problema, ma un modo sbagliato di intenderla e di intendere il rapporto di coppia.
    poi che gli uomini che uccidono le donne che dicevano di amare siano “deboli” (psicologicamente, non fisicamente, ovviamente) mi pare ovvi..ovviamente è un tipo particolare di debolezza, una debolezza “cattiva” ma questo non assolve loro nè colpevolizza le donne

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