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Buongiorno: sono una donna e di mestiere faccio la martire!

Con rabbia, con amore. La linea del martirio non ci aiuta. Sta diventando una abitudine. Anche nel “mondo” femminista. Da un po’ di tempo (forse più) per le donne, come fosse una cosa perpetuata e introiettata da una cultura vittimista, si impone il metodo del farsi martiri per sfuggire alle critiche. Perché il martirio, per cultura religiosa, serve a guadagnare e gestire “potere, perché è un metodo di dominio e dominare significa escludere e c’è gente che se non ti può usare o se si sente delegittimata da te allora ti vuole distruggere. Ma questa è un’altra storia.

Ma si parlava del martirio che poco c’entra con la denuncia sulla violenza sulle donne. Le parole sono importanti e quando la lotta contro un fenomeno sociale come la violenza sulle donne diventa una specie di mantra religioso svuotato di senso, indi per cui è facile spettacolarizzare e assolvere d’un colpo persone come la Polverini che da un lato firmano un appello opinabile e dall’altro ti tolgono i consultori pubblici e la possibilità di sottrarre i corpi delle persone all’autoritarismo di uno Stato che su quei corpi vuol metterci un marchio di fabbrica, quando accade che tutta l’Italia assume come plausibile la cifra dei delitti che scorre su un blog militante come Bollettino di Guerra, in assenza di un Osservatorio reale, a me capita di chiedermi a chi giova.

Giova alle donne la canonizzazione del femminile per cui una iniziativa provocatoria come quella che abbiamo lanciato su questo blog in occasione del 13 maggio, a proposito della #marciaperlavita, viene guardata da alcune con sospetto, pronte a dirti “pentiti scostumata” e “copriti sdisonorata!”? A me non giova affatto.

Giova alle donne il fatto che di una battaglia antisessista come quella che opera una critica nei confronti della mercificazione dei corpi si è fatto uno strumento di oppressione moralista nelle mani delle donne (e degli uomini) di centro/destra?

Parrebbe oggi che per essere femminista bisogna essere suore e martiri. Eppure io ricordavo che ci chiamavano streghe e quasi quasi mi fiondo dentro un bel rogo perché almeno i miei nemici mi considerano – forse – un pochino per quello che sono: una ribelle, una che rimette in discussione i canoni comuni, una che il femminismo lo considera come uno strumento liberatorio e non come una ulteriore costrizione, come un ulteriore strumento di moralizzazione dei costumi, pronto a dettare norme di comportamento finanche sulle campagne da realizzare in opposizione a chi celebra la sottomissione degli e delle umani/e al volere della chiesa.

Dunque mi serve ribadire che io sono e resto quella che vuole spogliarsi. Spogliarsi anche di ogni alibi. Voglio essere libera di farlo. Voglio essere anche libera di mostrare al mondo che le donne – quando fanno cose orribili – non sono affatto martiri, che non si può considerarle vittime anche se commettono delitti atroci e che va considerata la cultura alla quale ci opponiamo e che tentiamo di agire per tentare di operare un cambiamento, quella stessa cultura entro la quale sei costretta a muoverti, come fosse un dogma, altrimenti sei un’eretica, e di quella cultura siamo responsabili tutti e tutte, nessun@ esclus@.

La cultura che ci rende fragili rispetto ad un progresso è quella che ci tiene intrappolate a recitare la parte delle martiri, quelle che delegano la tutela ad altri, quelle che ripropongono lo stereotipo della donna angelicata e medioevale, giammai arrabbiata e senza che possa mai concedersi un vaffanculo. Donna angelica, mater dolorosa, vedova inconsolabile, figlia della patria, avvolte nella bandiera tricolore, tutti cliché che ho visto riproporre nella comunicazione del pseudo/femminismo bipartisan delle Snoq.

A proposito di culture prevalenti mi è capitata sottomano la notizia di una ragazza che ha cercato di uccidere l’amante del padre per una questione d’onore. E’ successo in Sicilia, dove mi dicono, perché io non posso parlare di quello che succede a Bolzano, saremmo fermi a vent’anni fa (circa). Non so se questo sia vero o no ma fatto sta che questa ragazza ha perpetuato una logica e una cultura che ci opprime, noi per prime, quella dell’onore, della proprietà dei corpi, quelli delle donne, quelli degli uomini, e se la donna contro cui si è scagliata fosse morta avremmo certamente dovuto chiamarlo femminicidio.

Ho sottoposto la questione alla nostra mailing list di discussione e ne è scaturito un bel dibattito. Per quasi tutti/e  questo delitto sarebbe stato un femminicidio e c’era poco da discutere e non vederlo in quanto tale significherebbe molte cose. In primo luogo che la lotta alla violenza sulle donne viene vissuta come una ideologia, quella che talvolta rimproveriamo ad altri, in nome della quale tutto si giustifica e tutto si mistifica, e significa anche che Bollettino di Guerra deve sommare anche questo genere di violenze per determinare una lettura dei delitti di genere.

Poi leggo, assieme alle ultime due vittime che porterebbero a #60 il conto dei delitti contro le donne, che una tizia ha torturato e ucciso il marito del quale era gelosa.

Qualcuno mi aveva detto che a fronte di questo genere di notizie, per le quali non ci può essere alcuna giustificazione, le reazioni non sarebbero state di altrettant@ stupore, indignazione, rabbia, scoramento. Nessuna petizione pubblica, appello, nessun inno alla fine di questi delitti. Ma non solo: la vittima sarebbe stata derisa, pubblicamente sfottuta o si sarebbe immaginato per lui uno scenario fatto di colpe anche se invisibili e di vendette anche se orribili.

Una delle nostre amiche che gestisce la pagina facebook di sostegno al nostro blog/collettivo ha postato questa notizia e ha dovuto censurare commenti di donne che auguravano ad altri la stessa fine o castrazioni o che immaginavano questa vicenda come “educativa” per gli altri uomini e che, infine, sostenevano che doveva esserci stato un motivo, un altro motivo, qualcosa che comunque lasciasse pensare che la vera vittima fosse lei.

Considerando quello che abbiamo sempre detto, ovvero che esiste una sorta di pensiero diffuso – sbagliato – per cui si pensa che tutte le donne siano unite di fronte alla violenza subita, donne di sinistra e di destra, per cui ti trovi a leggere di pena di morte e di castrazioni e di linciaggi, parlo di donne coi forconi che all’occorrenza brucerebbero anche le streghe e ne godrebbero intimamente e in pubblico, considerando anche che facebook è una merda e che quando si scatenano i due minuti di odio, certa gente non la ferma più nessuno, ché se dici che sta dicendo una sciocchezza ti rispondono “pensavo di essere in una pagina che dà solidarietà alle donne” e non si aspettano che tu dica “la pagina non giustifica le tue cazzate solo perché sei donna”, considerando tutto questo e senza voler dare alla questione un peso enorme, però mi chiedo se facciamo bene a non osservare queste cose con la dovuta attenzione.

Perché alla fine, come ha scritto Mara in un commento, la faccenda che viene in mente, con rammarico, è il fatto che per esempio per lo stupro di Pizzoli, quello in cui una ragazza è stata seviziata con uno strumento di metallo lungo 40 cm che le ha procurato enormi ferite anche all’intestino, ferite che se lasciata sola, lei, le potevano costare la morte così come è stato per quest’uomo, in quel caso la stampa ha parlato di “pratica sessuale estrema” mettendo alla gogna la vittima.

Mi chiedo: se alcune donne, che vestono l’eterno abito delle martiri, rispondono con giustificazioni e con lo stesso atteggiamento ai delitti commessi contro gli uomini, come possiamo aspettarci che altri facciano diversamente?

Leggi anche:

OccupyMedia: per una diversa comunicazione sulla violenza sulle donne [vedi video]

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Posted in Corpi/Poteri, Critica femminista, Omicidi sociali, Pensatoio.


4 Responses

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  1. diana says

    “p.s. “Sviano” sta per Roberto Saviano

  2. diana says

    Su molte cose non sono d’accordo, per niente. E nelle pagine di questo sito mi capita quasi sempre.

    Ma sulla mistica del martirio, che solleva la donna, qualsiasi donna, da ogni responsabilità (nella peggiore delle ipotesi è una compagna che sbaglia o una vittima del sistema, o – nel caso degli infanticidi – una depressa/malata che è stata lasciata sola, ecc.), hai fatto un centro grosso così.

    A proposito della ragazza siciliana, ricordo anche la madre di Rita Atria, Giovanna Cannova – bel tipino. E che i “mafiosi” maschi non vengono da Marte ma crescono attaccati al seno delle “mamme” mafiose. (Vedi gli studi sulla mente e la famiglia mafiosa, di Girolamo Lo Verso). Lo stesso Sviano ha fato dei bei ritratti di fidanzate e mogli di camorristi, nel suo libro e nel bel ciclo di radio3, Damasco, a suo tempo.

    E’ la prima volta che leggo cose come queste su un sito femminista. Per questo faccio i complimenti all’autrice. Mi sembra di capire – e ricordare – che ti sei documentata anche nei siti sulla questione maschile, provando ad ascoltare, prima di giudicare. Lì, forse, avrai trovato, tra le altre, l’informazione che il 66% degli sfruttatori della prostituzione sono donne, a capo di veri e propri imperi schiavisti, e spietate.

    Un doppio brava, quindi, per lo sforzo che fai, che mi sembra quello di essere onesti prima di tutto con se stessi. Se poi dispiacerà al “movimento” – questo o qualunque altro – pazienza. Onestà e assunzione di responsabilità mi sembrano punti di partenza irrinunciabili per qualsiasi “battaglia” – individuale o collettiva. Diana

  3. Giovanni says

    Ci sono state davvero delle martiri e voi non ne parlate, donne non solo costrette a prostituirsi ma marchiate a fuoco neanche fossero vacche, intese come l’animale quadrupede, http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2012/05/15/Prostituzione-marchiate-messe-palio-11-arresti-Roma_6870788.html e voi filosofeggiate, io che questa notizia ha provocato profonda tristezza e rabbia nei confronti di quegli uomini e di quelle donne schiaviste (dove tra l’altro in questi casi la figura femminile non è vittima ma carnefice, può essere che era vittima e poi divenuta carnefice ma solo il tempo c’è l’ho dirà)
    Ma non c’è l’ho solo con essi, ma pure con uno stato che non le tutela dove sulla carta siamo laici ma in verità tutto quel che fa il vaticano lo stato ubbidisce, sennò si riaprirebbero immediatamente le case chiuse ponendo fine a questi orrori

  4. Jo says

    Condivido molto questo post. Da una parte c’è l’aver travisato completamente il femminismo come un maschilismo al contrario e dall’altra facebook che tira fuori tutta la maleducazione della gente, due cose di cui proprio ne se ne può più.
    Il periodo scorso molte ragazzine aprivano pagine facebook sessiste tipo “le donne sono meglio degli uomini” e robe così, purtroppo da molte femministe ricevo sempre risposte vaghe sulla questione, fanno spallucce, alcune mi dicono “sono giovani, dovresti aiutarle invece di criticarle”. Purtroppo il mio cristianesimo è ridotto al lumicino quindi appena mi arrivano richieste di adesioni a queste boiate banno o mi incazzo, anche se mi rendo conto che è ben poca cosa il giustizialismo da tastiera rispetto a ciò che accade nella vita reale o rispetto agli idioti misogini che si accompagnano felicemente a delinquenti clonatori di siti e blog. Mi convinco sempre più che l’unico antidoto possibile a questo stato di cose sia la lettura di testi femministi, mi rendo sempre più conto che l’adesione a collettivi in nome di un non precisato “femminismo” (e lo stesso dicasi dell’anarchismo o di qualunque altro ideale) senza testi, senza storia, non abbia senso. E leggere testi disparati, differenti, altrimenti non si capisce su cosa dissentire e su cosa no. Nell’era della comunicazione e della cultura a basso costo la voglia di conoscere e farsi mettere in discussione da un testo sta decisamente cedendo il passo all’arroganza e alla prepotenza.