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#OccupyMedia: Per una diversa comunicazione a proposito di violenza sulle donne

Le campagne, gli spot o le immagini a corredo degli articoli di cronaca gira e rigira mostrano la donna in due versioni: santa o puttana, strega o vittima bisognosa di tutele. Il massimo che spesso si riesce a fare è di rivolgere una critica generalizzata al “maschio” per demonizzare l’intero genere senza mai sfuggire veramente all’uso che delle donne fanno i media, lo Stato, la società tutta.

I media ci rappresentano male ed è per questo che stiamo lavorando (chi vuole collaborare scriva a fikasicula[at]grrlz.net) al progetto di una Guida per i/le giornalist* che si occupano di violenza sulle donne, ed è per questo che pensiamo sia necessario occupare le redazioni e i media e il web (vedi il Feminist Blog Camp) per fare emergere una realtà diversa da quella che i media mainstream danno di noi.

Parlando di immagini e campagne, per esempio: ci stanno strette le scelte sensazionalistiche. Pensiamo più ad azioni in cui le donne hanno un ruolo attivo, di chi agisce, si ribella, a testa alta, senza piangere, senza pietire tutele, sottraendosi al ruolo unico che in italia ci viene affibbiato attraverso il quale siamo intrappolate nella logica dello Stato, marito, poliziotto, padrone, giudice, tutore dei nostri corpi, che ci piglia e ci rilascia, ci coccola o ci reprime. Tutori e/o aguzzini. Non se ne esce.

Provate a mettere assieme le immagini di donne così come i media ce le mostrano: con lividi, schiena curva, passive, sofferenti, in attesa di un tutore che le salvi e le protegga, e poi le immagini delle donne che alzano la testa e a schiena dritta invece vanno in piazza a lottare per i propri diritti e le vedi ritratte con il sangue in bocca, a mani tese, i manganelli verso di loro e poi i titoli che le descrivono come cattive, terroriste, black bloc, streghe. Se non accetti quel genere di tutela e fai da sola e ti ribelli, se esci da quel circolo vizioso semplicemente non esisti. Questa è la realtà dei ruoli che ci vengono imposti e questo è quello che appare in ogni immagine che voi vedete.

Perciò restare intrappolate in questa logica quando si tratta di parlare di violenza sulle donne mostrando una donna ferita significa finire sempre per apparire vittima bisognosa di tutele. Se c’è una cosa che va rideclinata è invece proprio l’immagine delle donne che subiscono violenza. Innanzitutto che si veda che sono intere, orgogliose, perfette, meravigliose, grintose, intelligenti, lucide, ironiche che si rimboccano le maniche e ricostruiscono le proprie vite dopo che qualcuno le distrugge. Altro che protezione civile dopo un terremoto.

Immagino uno spot. Passa un uomo violento e simbolicamente distrugge tutto, casa, mobili, qualunque cosa. Puoi rappresentarla con le costruzioni, i Lego. Poi una donna, pazientemente, assieme ad altre donne, ma anche uomini, mattone su mattone, ricostruiscono, sorridono ai bambini che hanno attorno, raccontano di grandi magie e di cose belle, di futuro e sogni. E sono queste le donne che noi conosciamo e non vittimiste piangenti che vogliono indignare il mondo con le proprie ferite. Le donne denunciano le violenze subite e mostrano con orgoglio anche le ferite ma c’è differenza tra mostrarle per suscitare pietà ed esigere protezione e mostrarle invece per dire che le donne si possono rompere, certo, ma esigono strumenti attraverso i quali potranno riorganizzare le loro vite e non tutele. Esigono mattoni, quel necessario passaggio di mattoni attraverso i quali potranno ricostruire tutto quanto. Ed è lì che lo spot si completa. Lei si rialza, si guarda attorno, fa un bilancio dei livelli di distruzione, un bilancio rapido come sono brave a fare le donne, e poi compila una lista di necessità, ciò che le serve per ricostruire e comincia con ciò che ha, ricicla anche ciò che è distrutto, si mette a incollare i pezzi, lo fa con l’aiuto dei bambini, diventa un gioco, ridono, e si avvicinano via via prima una poi un’altra donna e poi un uomo e ancora uno e tutt* le porgono un mattone, un pezzo mancante, quello che le sarà utile. Ma è lei che costruisce, è lei che compie la più grande opera di autodifesa nei propri confronti e nei confronti dei propri figli. E’ lei che vive, rinasce, pensa, realizza, ce la fa. Ce la fa sempre o quasi e potrebbe farcela ancora di più se invece che “tutele” repressive avesse la possibilità di usufruire di strutture e servizi, di luoghi attraversi i quali poter accedere a reddito e casa, informazioni corrette, nessuna forma di umiliazione e vilipendio, totale controllo sulla propria vita e sul proprio corpo.

Le donne che subiscono violenza vengono considerate inferiori, non viene data loro mai voce, vengono considerate superflue nei dibattiti perchè le si giudica traumatizzate, addirittura c’è chi dice che odiano tutti gli uomini e perciò non sarebbero obiettive. E invece sopravvivono a guerre terribili e con dignità fanno più che sopravvivere: esse vivono.

Sarebbe meraviglioso si vedesse questo nei giornali, nelle tv, ovunque. Cosa c’è di più shoccante in questa Italia così sessista che mostrare il volto di una donna che NON ha bisogno di tutele e che abbraccia tante donne e uomini ed è lei che indica la via della ricostruzione della sua stessa vita e di quella di altre come lei?

Ancora un altro spunto preso da qui: http://www.fondfranceschi.it/cogito-ergo-sum/uomini-che-odiano-le-donne . All’inizio del pezzo dice: “Omicidi, stupri in strada, abusi in famiglia, stalking. Si parla molto di “difendere le donne”. Ma chi le difende? Gli uomini, ovviamente Così l´uomo aggressore scompare e si vede solo l´uomo protettore: soldati in città, ronde, voglia di linciaggio. Tutte risposte maschili, in quella logica proprietaria che è la radice della misoginia violenta.

Una delle cose analizzate quando si parla delle immagini a corredo degli articoli che parlano di violenza sulle donne è il fatto che quelle immagini raffigurano quasi sempre macchine della polizia, carabinieri, poliziotti, forze dell’ordine, scientifica. Uomini. Sempre uomini. Non c’è mai indicato il 1522, mai un centro antiviolenza, mai qualcosa di diverso che non sia l’uomo che “tutela” e interviene dopo (è importante il dopo) che una donna “vittima” è stata ammazzata. E questo diventa puro marketing istituzionale giocato sulla pelle delle donne, uomini che si riaccreditano presso l’opinione pubblica, istituzioni tutelari che fanno marketing per accreditarsi sulla nostra pelle. Le stesse istituzioni che poi in piazza ci massacrano se chiediamo istruzione pubblica, garanzia di assistenza sanitaria, più lavoro, no precarietà, nessuna interferenza con la sovranità territoriale, no fascismo o razzismo e qualunque altro genere di discriminazione. Ti picchiano se alzi la testa e dicono di tutelarti quando la tua testa non esiste più. Quando sei morta, offesa, stuprata, martoriata e non hai più neppure il diritto di dire la tua opinione perché il tuo dolore viene medicalizzato e tu diventi solo oggetto di bla bla bla tra psichiatri e psicologi ai quali sorprenderebbe molto sapere che la maggior parte delle volte le uniche persone ad avere un trauma sono loro: il trauma che deriverebbe dalla consapevolezza che le donne sopravvissute hanno voce e sanno autorappresentarsi bene e meglio di chiunque altr@. Piegata, distorta, mistificata, condannata al silenzio e l’unico spazio di autorappresentazione concesso è quello vittimista di chi piange e chiede tutela.

http://www.youtube.com/watch?v=aU0tVZlS-8Q

In tutto ciò spariscono le donne. Le soluzioni delle donne. Delle stesse vittime. Dove siamo noi? Perennemente distese sotto un lenzuolo rosso sangue, dentro una sacca nera da obitorio, ovvero nei titoli, nelle parole di chi scrive che certifica che le donne hanno sempre torto, anche da morte hanno colpa. Ed è lo stigma della colpa che legittima la violenza. Possiamo noi pensare di eliminare lo stigma della colpa mostrando le ferite? Se chi ci giudica sparge costantemente la voce sul fatto che noi saremmo distruttrici di relazioni, matrimoni, vite di uomini, mariti, fidanzati e figli, basta mostrare una ferita? Se non sono sufficienti i cadaveri, i punti di sutura di una ragazzina stuprata e dicono sempre che te la sei cercata, non sarebbe dunque il caso di ribaltare tutto? Uscire dalla logica tutelare e mostrare ciò che siamo, per davvero. Costruttive, eccezionali, meravigliose, per nulla arrabbiate con gli uomini, con nessuna necessità di vendicarci ché piuttosto pensiamo a ricostruire, giammai a distruggere, perché noi sopravviviamo e poi viviamo nonostante tutto, alla faccia di chi ci vuole male e di chi ci priva del diritto di parola, di opinione e di decisione perfino negli ambiti che ci riguardano.

Solo alcuni spunti ma che possono diventare nuove forme di comunicazione per una diffusione di una cultura differente se ne parliamo e se ci lavoriamo un po’ su. Intanto grazie per aver letto fin qui e se vi vengono delle idee scrivete tra i commenti e al nostro indirizzo mail collettivo fikasicula[at]grrlz.net.

Da vedere (se vuoi)

video: troppo amate, troppo usate

Posted in Comunicazione, Corpi, Critica femminista, Fem/Activism, Pensatoio, R-esistenze.


3 Responses

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  1. sabbry says

    ciao fikasicula,
    le donne che ho conosciuto io che hanno subito violenza , le ho viste cercando di rimuovere l’esperienza vissuta, buttandola in un angolo remoto della mente, sino alla fine negare di aver mai subito nulla.
    Ne ho conosciute altre con i propri cocci in mano, cercando di ricomporre la propria vita, smarrite ,perse e sole terribilmente sole.
    Quelle di cui parli tu , mi sembrano una °nicchia° cioè poche e fortunate. Mi sbaglio?

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