Rivendicazioni di piazza, guerriglia si/no, violenza/nonviolenza, chi evoca la legge reale, chi invoca presenza di psicopolizie preventive, e i giornali secondo voi dove la rigirano? Sui movimenti? Anche. Ma non solo. Sulle donne, che se escono di casa diventano per forza di cose “cattive“. Ce ne accorgiamo tutte. Se ne accorge Fabio Faggi, indubbiamente un uomo, con la barba perdipiù, che dice: “Finalmente l’opinione pubblica ha mostrato la “Donna”. L’ha mostrata, come spesso accade in quest’epoca, ma senza capirla, senza interrogarsi sui perchè dei suoi movimenti all’interno del mondo, l’ha mostrata sostituendo il suo corpo nudo per vendere colle e siliconi col suo corpo vestito e sporco per vendere l’oppressione “Giusta”.”
E poi: “Si, perché il “Maschilista buono” si è trovato sorpreso dalla donna in lotta,”ma come, non sono a casa a fare la calzetta? Non siamo noi, e solo noi, a giocare alla guerra?”.”Ragionandoci un po’, e fingendo di avere un briciolo di sensibilità che si spinga più in alto della cinta dei pantaloni, forse potremmo capire che la crisi, qualsiasi tipo di crisi, tende a colpire in primis i soggetti meno rappresentati della società, è inutile negare che se manca lo stato sociale il culo a bambini e nonni tocca sempre più alle donne pulirlo, come è inutile negare che una gravidanza sempre troppo spesso corrisponde ad un mancato rinnovo di contratto di schiavitù per la madre, non per il papà… e come questi ci sarebbero altri mille esempi, altre mille recriminazioni, così ovvie da apparire banali, banali come mettere una donna in copertina ed “indignarsi” perchè non ha recitato il copione imposto, perché non da adito a nessuna mercificazione, perché una donna così non aspetta che il marito la porti fuori, non cucina i medaglioni minchius, quella donna da l’impressione di essersi fatta un panino e di aver detto al marito: ”Tu guardati porta a porta, che io vado a riprendermi la dignità di entrambi”. Ecco, quella donna ha la stessa carica passionale ed anche estetica del “Che” morto, ha la potenzialità del simbolo, è lei “L’altro mondo possibile” e non è un caso che sia così attaccata, derisa o sminuita, perché è lei l’incognita impazzita (…)” [per leggere il suo post per intero potete andare QUI]
Gli stessi giornali dai quali partono le crociate contro tutto quell’ambaradan fatto di premier e escort, con quella divisione tra donne perbene e donne per male, quando non trovano le sante e neppure le puttane se la prendono con le donne autodeterminate che non si mostrano piagnucolose, non aspettano che nessuno porti a casa una vittoria, non fanno la fila per chiedere tutela allo stato, non si fidano, non interessa, non hanno bisogno di essere “protette” dalla polizia in caso di aggressione o stupro perché quella stessa polizia le randella in piazza quando vanno a chiedere lavoro e reddito e casa e diritto allo studio e diritto di cittadinanza e diritto all’esistenza.
Non hanno bisogno di fare anticamera, di chiedere favori, di fare le vittime che dipendono dai maschi. Sono proprio tutta un’altra razza ed è quella che fa paura, quella che viene sempre messa in croce, che viene censurata e la censura parte da mondi indubbiamente di tipo patriarcale, quegli stessi mondi che mercificano il volto di una ragazzina per darlo in pasto ad un poliziotto che chissà magari prima stava tentando di prenderla a mazzate e per Repubblica diventa la passione di un attimo, un fotoromanzo insultante e vomitevole che svende il viso di quella ragazzina e lo piega verso obiettivi che sono della testata giornalistica, della polizia, di chi detiene il potere e si serve di chiunque per costruire immagine positiva attorno alla repressione.
Questa donna che non chiede niente a nessuno, che non dipende, che si industria per tirare a campare o che tenta di guadagnarsi il diritto all’università e se lo vede scippato da gente senza scrupoli, viene profondamente lesa da quelle che possiamo definire ne più e ne meno che le kapò a garanzia della femminilità di regime.
La 27ora scrive: “No, quello che non ci aspettavamo è che, tra quei blocchi di felpe nere che avanzavano a falange, sotto quei cappucci che coprivano i volti, sotto i caschi integrali, spuntassero code di cavallo, mani affusolate, corpi inequivocabilmente giovani e femminili” e magari non t’aspetteresti neppure che sotto l’identità di una donna si nasconde anche un bel dildo colorato, una attività sessuale non riproduttiva, una dimensione personale che rifugge ruoli imposti.
Ne parlavamo già in un altro post e se ne è parlato molto anche nella nostra mailing list dove questo articolo viene giudicato offensivo, lesivo del diritto delle donne di essere come vogliono, sessista perché esprime categorie che non sono generalizzabili. Sta dicendo che gli uomini sono votati alla guerra e le donne invece no. Come avesse detto che gli uomini sono fatti per andare a cacciare selvaggina e le donne invece per fare taglio e cucito nella caverna.
Altra questione è poi la criminalizzazione di queste ragazze, come se fossero sfuggite al controllo, e in altri tempi sarebbero state rinchiuse in manicomio, sedate, massacrate, ridotte in forma vegetale perché di donne che reagiscono all’orrore, che si piantano a fermare i blindati che tentano di andare loro addosso e di schiacciarle, che tirano fuori coraggio e grinta per fare resistenza per le ragioni che loro credono opportune ovvio che non ce ne devono essere in questa Italia di merda in cui alle donne è solo consentito mostrare il culo o piangere, culo e pianto sono le uniche nostre scelte. Altra questione attiene a quelle che ragionano dell’eventualità di riprodurre modelli machisti o di non riconoscersi in una estetica delle rioters, ma sono scelte personali e non è una critica nel merito e nel metodo. Ciascuna fa quello che vuole e in quanto libera di compiere qualunque azione comunque le va riconosciuto il diritto ad essere riconosciuta come eguale, paritaria.
Badate bene che qui non si discute di scelta di piazza o non piazza, si parla in generale del modo in cui le donne vengono redarguite e massacrate ogni giorno se solo appaiono reattive, perché reattive e indipendenti bisogna che non si vedano mai.
Di una donna che subisce violenza da parte di un uomo non si dirà mai che ha resistito e che ha avuto una forza enorme nel difendersi e sopravvivere, da sola, senza l’aiuto di nessuno. Si dirà soltanto che è morta, se è morta, possibilmente si sputerà veleno sul suo cadavere mentre si rincorrerà l’immagine di un eroe negativo o positivo per l’assassino, o si dirà che è viva e allora apriti cielo, il suo violentatore di lei dirà che se è stata troppo reattiva merita la galera e figuratevi che in una sentenza di cassazione è stato quasi così. Lui è stato assolto perché la reazione di lei alla violenza che stava subendo è stata decisa, determinata, e dunque lei non è stata riconosciuta in quanto vittima e lo Stato ti riconosce il diritto a sentirti violata solo se ti soccorre il militare o se tu vai a piagnucolare in televisione, possibilmente ripresa di spalle, invece che fiera, orgogliosa, con lo sguardo dritto ad accusare chi ti ha quasi ammazzata. Ed è in quei casi che diventi funzionale ad un sistema che comunque ti vuole subordinata, dipendente, un anello che deve essere utile all’erezione delle componenti maschie e virili della storia.
Le donne in piazza le abbiamo viste in marocco, in iran con le pietre in mano, in tunisia, in egitto che guidavano le rivolte, perché le donne sono dotate di indipendenza e di capacità di resistenza, perché la rivoluzione sarà femminista o non sarà, perché le donne fanno la guerra da sempre, in casa, con i padri i fratelli i mariti i fidanzati i datori di lavoro i molestatori estranei e familiari, con tutti e contro tutti e la guerra delle donne è decisa perché riescono comunque a sopravvivere, partigiane del loro tempo, e hanno chiaro più di tutti, forse, che la precarietà è una condanna e che condannarle a restare in casa significa piegarle ancora alla schiavitù dalla quale tentano di fuggire. Perciò si incazzano. Perciò le donne in piazza sono vive, determinate e questo va riconosciuto a prescindere dal fatto che noi condividiamo o meno il loro metodo di lotta.
Pietre o non pietre, riot o meno, quelle donne stanno lottando proprio come noi e noi a loro chiediamo di discutere, di parlarci, di ragionare su cosa è meglio o peggio, su cosa è futuro e cosa fallimento. Chiediamo di discutere dei motivi che stanno alla base delle nostre reciproche resistenze perché le ragioni, sono certa, sono le stesse e mai chiederemmo loro di aderire a modelli più “femminili” perché noi non siamo femminili, non siamo nate per compiacere ed essere decorative, sputiamo in faccia al mondo e di fare pompini al potere non abbiamo mai avuto voglia.
Quelle ragazze sono uno sputo in faccia a tutto quello che viene imposto alle donne. Incluso il fatto di “piacere”, ché non vogliono essere “piacevoli” e “gradevoli” per nessuno. Sono la vera dimostrazione di un disagio forte. Altro che l’indignazione ipocrita e bigotta contro le escort. Sono lì le donne reali, quelle che ogni giorno si fanno il culo per studiare e lavorare, quelle che guardano davanti a se’ e vedono il nulla. Sono quelle che quando pensano alle puttane non le vedono come nemiche perché le nemiche, invece, sono quelle altre, appunto, quelle che le chiamano “cattive“.
Passo per caso di qui..
ho trovato questo Blog..è sicuramente ben fatto, ma non condivido una parola di quello che dici, perchè ce un grossolano errore di fondo , in questa lotta siete strumenti come noi uomini, a loro volta controllati da altri uomini e donne, le campagne pubblicitarie sono fatte da persone che hanno studiato marketing e sono uomini e donne, che creano un prodotto che mercifica la donna (sotto lauta compensa e senza nessuno che gli punti una pistola alla testa)..la storia ci ha regalato mille esempi di donne e uomini in piazza, che combattevano per i loro ideali, .. la rivoluzione francese, i moti anti-comunisti…e potrei citarne altre, soprusi, prevaricazioni, omicidi sociali e repressioni..esistono dalla notte dei tempi
Tutte le grandi rivoluzioni portano morte e distruzione, ingiustizie se non volete accettarlo,non accettate il senso della rivoluzione in se,allora
State a casa.
Io ho visto la guerra della Bosnia Erzegovina, le donne si sono battute , in silenzio di fianco agli uomini e sono morte, e sono morti è il prezzo da pagare. loro sapevano che c’era un prezzo da pagare..e non avevano un blog su cui dirlo , ma campi con croci di legno.
Avete voluto la lotta, be sappiate che in guerra si combatte, si muore, in piazza si muore, e li siamo tutti uguali , non uomini , non donne ma essere umani.
e personalmente non mi interessa minimamente appoggiarvi.
In bocca al lupo per le vostre battaglie e i vostri ideali
Non esiste guerra, o rivoluzione, a ragion di storia che non contempli” vittime.”sociali, umane..etc.. non ce sesso in questo maschile o femminile è intrinseco nel significato di queste parole..
Luca
Luca.
Condivido molte delle emozioni che descrivi. La rabbia indurisce le parole, l’agire, l’aria. Tra le donne – come tra gli uomini – c’è però molta diversità e molta diversa sapienza politica nelle risposte da dare alla rabbia. Vogliamo solo resistere? sentirci ‘libere’ perchè abbiamo imparato il piacere di tirare un sanpietrino? incontriamoci e parliamone.
Ciao a tutte. Mi permetto di lasciarvi un link. http://mfla.noblogs.org/post/2011/10/18/riflessioni-femministe-sul-15-ottobre/ – Sono Valeria del Martedì Autogestito da Femministe e Lesbiche e proprio ieri, tra compagne, abbiamo provato a scardinare gli stereotipi tirati fuori dalla 27° ora e da altri giornali. E’ stata una trasmissione corale in cui abbiamo parlato un pò del 15 ottobre, ma soprattutto abbiamo parlato della violenza (come femministe qualcosa da dire ce l’avremmo, no? visto che riflettiamo su questo da sempre) e delle “donne violente”. Pensate che a microfoni spenti scherzavamo su un’improbabile intervista a una blecca blocca ma la realtà a volte supera la fantasia e Repubblica, questa mattina j’aveva già dato. A proposito, un ot a fikasicula che stamattina sul cartaceo è stata anche nominata.