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Le donne e la sindrome del lavaggio della mutanda

Tempo fa una lavandaia pentita l’aveva chiamata la “sindrome del lavaggio della mutanda“. E’ quella sindrome che ti prende quando vivi una relazione e improvvisamente ti scopri ad essere posseduta da tua nonna. Prepari porzioni più abbondanti per il tuo partner. Ti prendi le parti bruciacchiate dei cibi cotti. Fai levatacce al mattino per fargli trovare un dolce. Sei attrezzatissima a compiere un rapido lava/stira dell’indumento che lui si è macchiato. Prendi a considerare un dovere il prenderti cura finanche delle sue mutande, e gliele lavi, talvolta gliele stiri e fai tutto ricavandone quell’aria da gradassa che ti fa somigliare a tua nonna o a tua madre, donne d’altri tempi, che traevano forza dal fare le accentratrici e che avevano quella brutta modalità escludente poiché consideravano il marito un bambino da svezzare.

Spesso lo era, intendiamoci, ma oggi capita, assai più di frequente, di trovare uomini che sono abbastanza o totalmente autonomi, abituati a fare la loro parte, molte volte più inclini alla buona cucina o alle attività casalinghe di quanto non lo sia la loro compagna, e quando questo accade li vedi a tollerare con estrema comprensione l’atteggiamento assistenziale della donna che gioca a cambiare il pannolone all’impedito.

Come se immaginare gli uomini fermi all’età della pietra fosse in qualche modo conveniente perché per quanto ci si riconosca in modelli femminili più evoluti alla fine resta difficile rinnovare le modalità di seduzione. Perciò vedi alcuni campioni di tenerezza che attendono che la compagna acquisisca consapevolezza e per quanto li faccia ridere vederla atteggiarsi a mogliettina premurosa, in cucina, e fingersi sbalorditi per una buona pietanza, sapendo di poter fare perfino di meglio, restano a coltivare conoscenza perché è difficile dirlo con garbo e senza destabilizzare.

Prendi una donna incerta che per l’appunto non riesce a fare a meno di trattare il suo compagno come fosse perennemente malato, pastina e pastina, termometro e termometro, bacino sulla bua e bacino, ne vuoi ancora un po’?, ignorarlo se ti dice no e riempirgli il piatto, copiare quei brutti film anni ’50 in cui c’era sempre qualcuna che entrando nella casa di un single, che allora si chiamava “scapolo”, diceva cose tipo “si vede che qui non c’è il tocco di una donna” oppure “qui serve la presenza di una donna“, e tutt’attorno un brulicare di acari e superfici polverose, con ragnatele in bella vista, che ci si chiedeva davvero come facessero a sopravvivere quei pover’uomini, abituati poi a fare le vittime da soccorrere. Lui salvava lei in una bella guerra, dove c’era il sangue, e lei salvava lui dalla monnezza che altrimenti l’avrebbe sepolto vivo. A suo modo – dopo aver decorato le finestre con quelle inevitabili tende a fiori – era un’eroina pure lei salvo che traendo forza da quel ruolo finiva per realizzare dipendenze, per deresponsabilizzarlo, l’uomo, o per diseducarlo o per costringerlo a disimparare quel poco che aveva imparato.

Oggi se qualcuna entrasse in casa di un uomo che vive da solo e provasse a rimettere le cose a posto ci sta che lui le dia bacchettate sulle mani e farebbe pure bene, ché ciascuno ha diritto al suo ordine o al suo disordine e la pretesa di arrivare come delle panzer nella vita di qualcuno per “rimettergliela a posto” è di una presunzione senza eguali. Parliamo certo di una categoria maschile che parrebbe residuale ma che in realtà non lo è poi tanto nelle nuove generazioni e che spesso corrisponde a donne che non hanno alcuna voglia di rimettere a posto la vita di nessuno che già riescono malamente a tenere in piedi la propria.

Però resta che è difficile, a fronte di tante pressioni che arrivano anche dall’esterno, quella miriade di trasmissioni televisive pomeridiane e quegli spot pubblicitari che piazzano le donne in grembiulino e i maschietti a bere birra davanti alla partita, dover passare al vaglio della madre e della suocera, che anche quando non è particolarmente crocerossina inventa una maniera particolare per delegare alla nuora un compito di cura difficile da evadere e che comunque non facilita quel progresso di cui dicevamo.

Non sto dicendo che è “colpa” delle donne perché di colpe io non sto parlando, dico semplicemente che se pretendiamo autonomia dagli uomini dovremmo imparare altre forme di seduzione che siano lontane dalla “cura”. Il prendersi cura, l’un@ dell’altr@, è o dovrebbe essere un fatto reciproco e dunque se è materia seduttiva dovrebbe esserlo da entrambe le parti. Fare sentire l’altro una specie di deficiente non è una cosa mai utile. Non lo è escluderlo dalle questioni casalinghe, dalla genitorialità, dalle responsabilità. Non sono più loro a chiederlo, non è la cultura a esigerlo, perciò dipende in gran parte da noi. Bisogna imparare a condividere, a non sentirsi utili dell’inutilità altrui, ad affidare, delegare, ad avere fiducia del lavoro dell’altr@. E in realtà molte lo fanno, le vedo, le conosco, so per certo che è così, e personalmente non trovo alcun fascino in una donna che sta lì a compiacere un uomo senza tenere ferma la spina dorsale sulla propria vita, sui propri tempi, i propri impegni e le proprie convinzioni.

Vedo uomini, quelli che disertano i ruoli attribuiti dalla cultura patriarcale, che si sentirebbero offesi ad essere trattati come idioti non in grado di badare a se stessi. Si sentirebbero offesi esattamente come si sente offeso qualunque ragazzo o ragazza il cui genitore non si fida e se l@ lascia sol@ in casa immagina la catastrofe, un incendio o comunque la distruzione dell’immobile.

E’ vero che tutto è contro di noi, che ci ricacciano a casa e ci educano ad essere schiave di giorno e di notte. Che ci obbligano a restare relegate alla cura e alla riproduzione. Che ci tolgono il lavoro e per necessità di welfare ci costringono a sostituire servizi che svolgiamo in modo gratuito, ma la rivoluzione comincia a partire dalla propria casa. Responsabilizzare e condividere è un fatto che cambia la sostanza delle relazioni. Perché il punto non sta più nella teoria ma proprio nella pratica dei rapporti.

Ripensarli, inventando per noi nuovi ruoli, ché so bene quanto sia faticoso e quanto sia più facile ricalcare quelli vecchi. Ma se chiediamo agli uomini di fare questo sforzo dobbiamo chiederlo innanzitutto a noi stesse. Ed è ovvio che questa non intende essere una giustificazione, un alibi per quei soliti quattro deficienti maschilisti che diranno “vedi? è tutta colpa tua… è colpa delle madri che ci hanno educato male… è colpa delle donne” e in quanto a loro lasciateli delirare perché di discussioni complesse e costruttive non sanno farne neppure una. Loro sono proprio quelli che vogliono essere compiaciuti e in quei casi pretendono che si copi l’atteggiamento di quelle madri che per tenere buono il marito violento, doveva destreggiarsi in fellatio pratiche e concettuali intendendo che qualunque sfogo d’ira sarebbe stato comunque colpa sua, di lei.

Ci vuole equilibrio nelle cose e quell’equilibrio nasce dalla voglia di vedere le cose per intero, seppur nella nostra parzialità, perché se non vediamo l’altr@ non riusciremo mai a trovare una soluzione di rapporto che ci corrisponda. A meno che, certo, non ci piaccia restare soli/e…

Posted in Anti-Fem/Machism, Disertori, Pensatoio, Personale/Politico, R-esistenze.


2 Responses

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  1. marta says

    Io la chiamo sindrome di Candy Candy l’infermierina del kazzo!

    Kill your Candy!

  2. HCE says

    dialettica servo padrone. l’hai capita giusta.

    la relazione classica uomo-donna, cioè almeno quella che raccontano le favole (e massimo fini): l’uomo procura il denaro, è titolare esclusivo dei rapporti con l’esterno e con le istituzioni; la donna gestisce la casa e attende alle sue necessità materiali: alloggio, cibo, cura, sesso.

    divisione del lavoro. ciascuno è dipendente dall’altro per parte delle proprie necessità, si creano le condizioni perché nessuno dei due sia una persona autonoma. è una relazione incrociata di dominio/dipendenza.

    in ciascuna relazione di dominio, la parte forte diventa dipendente quanto quella debole. lui perché non sa cuocersi un uovo. lei perché la sua identità dipende dall’essere quella che cucina per un’altra persona.

    e conviene ad entrambi uscirne.