Recinzione con doppio filo spinato, casottini fatiscenti, rifiuti tossici, il tutto in una pianura assolata in un territorio paludoso. Un lager in mezzo alle campagne pisane. E descrivere il luogo preposto dal governo in toscana per accogliere parte dei migranti approdati a Lampedusa come un lager non è un’esagerazione. Questo luogo un campo di reclusione lo è stato davvero, nel 1945 gestito dall’esercito americano ed utilizzato come carcere per i soldati della R.S.I. La preoccupazione è capire quante persone dovrebbe ospitare un luogo tanto inospitale e non attrezzato, che trattamento riceveranno i migranti rinchiusi qua dentro, per quanto tempo verranno privati della loro libertà prima che venga accolta la domanda di rifugiati politici. Ci saranno donne e bambini? Sarà permesso alle associazioni che vogliono aiutare a iniziare a lavorare sull’integrazione con queste persone di interagire ed entrare nella struttura?
Sono tante le domande che frenetiche si stanno accavallando in queste ore. Nessun* vuole che questo diventi un CIE o un luogo di sofferenze e violazione dei diritti umani. Vogliamo che ci venga permesso di poter vedere e filmare quello che succede, che ci venga data l’opportunità di dare una mano, di ascoltare e saper dare una risposta alle esigenze di queste persone prese e rinchiuse tra reti di filo spinato. Al momento sappiamo che saranno almeno 500, probabilmente tunisini e che i vigili del fuoco predisporranno delle tende, mentre la gestione sanitaria sarà affidata alla croce rossa. Arriveranno forse domani o dopodomani.
Negli ultimi giorni in televisione e sui giornali non si è fatto altro che parlare di “emergenza”, di “crisi”, di navi della speranza. Di grandi sforzi di fronte ad una catastrofe incontenibile, al rischio di epidemie, di rapine e saccheggi. La realtà è che Lampedusa è stata abbandonata a se stessa, e la gestione e la sopravvivenza delle persone sbarcate è stata lasciata al buon senso e al cuore dei lampedusani e dei volontari accorsi a dare una mano. Ci hanno bombardato di messaggi violenti, esasperanti, svuotando questa vicenda di ogni briciolo di umanità ed empatia. Politici che delineano il far-west, presidi deserti di neo-fascisti, accorsi a piantare la bandierina del razzismo prima che lo facciano gli altri, e ancora migranti da “rispedire al mittente”, “fora di ball“, “rimpatri forzati“. E subito dopo proteste, presidi e interviste di preoccupazione e sciagura ai cittadini dei luoghi preposti a tendopoli.
Colpisce il totale disinteresse per i volti, le parole e le storie di questi giovani, giovanissimi, per lo più uomini, che sono arrivati in italia. La totale disumanizzazione, non sono più persone, sono trattati come pacchi da imballare e rispedire. Peggio. Dalle parole e dalle smorfie che passano in televisione si capisce che dovremmo considerarli ancora peggio, sono l’immondizia che non vogliamo nelle discariche dietro casa, sono le scorie tossiche che inquinerebbero la nostra sicurezza e le nostre città modello.
Mi sento presa in giro, usata, manipolata. Vogliono fare di me, di noi, persone pronte ad odiare, o temere, a comando, allo scattare del codice rosso dell’emergenza nazionale. Mi sono rifiutata di indignarmi come donna a comando per il bene della nazione il 13 febbraio e mi rifiuterò di essere usata per giustificare la violazione di diritti umani in corso oggi. Anch’io non voglio C.I.E., lager, campi profughi, ma non perché se ne dovrebbe occupare qualcun’altro o perché ho paura che queste persone siano una minaccia. Non li voglio perché ho visto la doppia rete di filo spinato dentro cui verranno rinchiusi, e perché so che il caldo che sta arrivando e l’umido della campagna pisana creeranno nugoli di zanzare che riempiranno le tende dove dormiranno ammassati per chissà quanto tempo questi ragazzi. So che nelle carceri e nei C.I.E le persone denunciano abusi e violenze e non oso immaginare cosa possa succedere in un lager del genere a cui a breve, molto probabilmente, non potremmo neanche più avvicinarci.
Io davvero mi auguro che gli abitanti di Pisa, come quelli di Lampedusa, non si facciano ingannare dalla campagna mediatica che li vorrebbe armati di fiaccole o forconi. Che osservino quello schifo di filo spinato e si immaginino anche solo per un attimo cosa vuol dire toccarne il ferro arrugginito immaginando l’incognita del proprio futuro. Che provino a creare ed immaginare un’altra soluzione a questa vicenda, un’alternativa all’accettazione passiva di un campo di concentramento dietro casa o alla lotta perché si faccia ma non “a casa mia”. Se il governo non è stato o non ha voluto essere all’altezza di gestire con umanità e solidarietà questa situazione, come società e come individui abbiamo la possibilità di dimostrare che siamo invece capaci di farlo. Di non giocare al ribasso, lasciandoci intrappolare nelle manipolazioni mediatiche di chi vorrebbe più soldi per costruire C.I.E. o di chi sull’intolleranza verso i migranti ha costruito la sua politica.
Dobbiamo accogliere queste persone, capirne la paura, la disperazione e il disagio. Evitare che si ripeta l’incubo che hanno vissuto sui barconi e a lampedusa e fornirgli servizi e diritti. Dobbiamo impegnare le nostre lotte, le nostre energie, le nostre preoccupazioni affinché nessuno venga maltrattato o privato ingiustamente della libertà. Non stiamo parlando di folle oceaniche o esodi biblici. Sono poche migliaia di giovani in fuga da paesi violentati dalla guerra e da regimi dittatoriali. I nostri paesi europei sono responsabili politicamente di quanto loro stanno vivendo oggi; trattare queste persone come criminali, come animali o come scorie è violarne i diritti e raddoppiare il carico di violenze di cui sono già vittime.
Consapevoli che sarà difficile e faticoso aiutare queste persone non barrichiamoci dietro emergenze costruite solo per impaurirci e trovare in noi dei complici per attuare scelte politiche disumane.
Tutto questo mi riguarda: oggi abbiamo, nostro malgrado, la possibilità di valutare qual è il grado di civiltà e umanità del nostro paese, prendendo come punto di riferimento il trattamento che viene riservato alle persone più “deboli” presenti sul nostro territorio. I migranti sbarcati a Lampedusa sono senza documenti, senza soldi, senza protezione. Quello che sarà di loro e quello che vivranno nei prossimi giorni è responsabilità nostra. Se i loro diritti di esseri umani saranno barbaramente violati vuol dire che nella nostra società ciò è ammesso e tollerato e il nostro silenzio di fronte a questo sarà solo complicità.
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