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Sono padre, non sono violento e prepotente: perciò non sarei “abbastanza uomo”?

Mi
chiamo Matteo
e sono figlio di una coppia separata. Ho vissuto sotto lo stesso
tetto con mia madre e mio padre per dodici anni. Poi mia madre quasi stava per
morire per colpa di mio padre e allora lei ha deciso di separarsi e siamo
andati a vivere a casa dei miei nonni.

Io
adoro
mia madre e non ho nessuna stima di mio padre.


Ho
34 anni
e vivo con la mia compagna. Abbiamo un bambino di sei anni e non oserei
mai dire a mio figlio che non gli credo né oserei mai insegnargli che la
violenza contro le donne ha qualche giustificazione.


Nel
tempo
che ho trascorso in casa con mio padre ho visto di tutto. Non mi piace
pensarci ma da quando ho un figlio non sono più riuscito a rimuovere quei ricordi.


Mia
madre
è sempre stata una donna forte, figlia di contadini, ha sempre fatto
quello di cui c’era bisogno senza aspettarsi che qualcuno lo facesse per lei.
Ha una tempra e una allegria contagiosi. Dovreste sentire la sua risata. Bella,
piena, riuscirebbe a mettere di buon umore anche il depresso più grave.

La
mia famiglia
si reggeva tutta sulle sue spalle. Era lei che sistemava, che
faceva, organizzava, che toglieva dagli impicci quell’incapace di mio padre. E
non mi vergogno di giudicarlo perché se una persona non merita stima non gliela
devo concedere solo perché la biologia mi obbliga a chiamarlo “padre”.


L’ho
odiato
per molto tempo perché se cresci con un uomo che picchia tua madre
l’unica cosa che impari è la violenza.

Avevo
l’istinto
di proteggerla. Avrei voluto fermarlo e non potevo fare niente perché
ero solo un bambino.

Mi
chiedo
come facciano ora i padri violenti a pretendere dai figli l’amore e il
rispetto che non si sono guadagnati in nessun modo.

Mia
madre
ha amato quell’uomo. Almeno così lei dice. Poi ci fu quella sera in cui
ha rischiato di morire. Lui l’ha quasi ammazzata di botte.

Non
riesco
a descrivervi la scena perché non trovo le parole. Quello che posso
descrivervi sono i rumori, i colpi dei pugni di mio padre sulla testa di mia madre. C’era
uno strano rimbombo, come se il cranio stesse cedendo. Bastava poco perché si
rompesse.

Mio
padre
non badava alla forma e credo che nessun uomo violento lo faccia.
Picchiava mia madre a tutte le ore e anche davanti a me.

Quella
sera
ho avuto paura che mia madre morisse. Sono uscito fuori sul balcone a
chiamare aiuto. Ho urlato forte, fortissimo. Mio padre è venuto a prendermi, mi
ha strattonato e la sua mano mi ha afferrato tutta la faccia. Urlò e minacciò
perché dovevo fare silenzio che non erano fatti miei.

Dovevo
lasciargliela
ammazzare restando zitto, omertoso, complice e portandomi dietro
il senso di colpa per non avere fatto niente se lei fosse morta.

Avete
idea
di cosa sia doversi sentire responsabili della morte di una madre? Avete
idea di cosa significa restare in un posto di tortura a non fare niente?

Urlai
ancora più forte e lui mi schiaffeggiò. Subito dopo cominciò a bussare tutto il
vicinato.

Bisogna
dire
che i vicini di casa non sono meno complici di quello che succede nelle
case. Le urla si sentono da lontano e ciascuno si porta dietro il rimorso di
non aver fatto niente ogni volta che una donna muore.

E’
così
che mi spiego il fatto che per ogni notizia che riguarda una donna morta
per mano del marito puntualmente i vicini dicono che non sospettavano niente,
che non potevano prevedere, che in fondo era “una famiglia normale”. Di quale
normalità parlino lo sappiamo. Lo so io e lo sapete voi che ne scrivete tutti i
giorni.

Se
dicessero
il contrario praticamente dichiarerebbero di essere complici, non
solo di quello che avviene nelle case altrui ma principalmente di quello che
avviene nelle proprie. E’ il loro interruttore ad essere spento. Sono addestrati a non vedere, non parlare
e non sentire e quando una donna muore rifiutano di mettere assieme dettagli
che potrebbero farli stare male. Hanno paura e si proteggono dalla
responsabilità che non si assumono.

Quella
sera
però arrivarono. Erano tanti. I due figli della vicina e amica di mia
madre presero una scala e salirono fino al primo piano. Mia madre fu portata in
ospedale, mio padre lo mandarono via (ma non lo denunciarono) e io fui
accompagnato da mia nonna.

Mia
madre
ha perso l’uso di un occhio e di un orecchio. Ha frequenti mal di testa e
due vertebre incrinate. Ancora un altro pugno e rischiava di restare
tetraplegica o di morire.

Fu
lei
a denunciare mio padre quando riprese conoscenza in ospedale.

Non
so
com’è adesso ma vent’anni fa quella violenza non veniva classificata come
“tentato omicidio”. Erano considerate solo percosse e per quelle la legge
prevedeva solo una specie di rimprovero. Non esisteva altro.

Se
mia madre
fosse stata aggredita da un estraneo allora forse avrebbe avuto un
minimo di giustizia. Invece essere aggredita e quasi uccisa da un marito veniva
considerata una specie di effetto collaterale al matrimonio.

Mia
madre
si separò da mio padre, tornando a dipendere per un pò dalla sua famiglia, per
salvare se stessa e per salvare me da quelle scene. Era lei che doveva salvarsi
e salvarmi. Era lei la madre, l’adulta. Non ero di certo io che dovevo maturare
l’istinto, per quanto normale, di difenderla.

Con
il senno
di poi dico che tutti i bambini sottoposti a quel genere di violenza
quotidiana dovrebbero restare lontanissimi dai padri violenti e che anzi
dovrebbero essere aiutati, assieme alle altre vittime di questi episodi, le
madri, a recuperare fiducia nel prossimo.

Quando
ci trasferimmo in casa dei miei nonni alcune volte mio padre venne a sbattere i
pugni sulla porta perché voleva quello che riteneva suo. Di me ha chiesto un
paio di volte, non di più, solo per fare un dispetto a mia madre.

Urlava
per strada che lei gli aveva rubato l’amore di suo figlio e quando ebbi
vent’anni fui io che gli scrissi una lunga lettera che sicuramente lui neppure capì.
Per dirgli che mi aveva perso l’attimo stesso in cui aveva messo le mani
addosso a mia madre. Mi aveva perduto perché non gli importava niente di me.
Non gli importava di ferirmi, di togliermi la madre, MIA madre. Non gli
importava di nessuno a parte che di se stesso. Voleva farmi credere che mia
madre meritava le botte, meritava perfino di morire, che quello che accadeva
tra lui e lei non riguardava me e invece mi riguardava eccome perché a me
nessuno aveva chiesto se mi faceva piacere restare orfano di madre.

Rabbrividisco
a leggere quello che la legge oggi permette. Se la stessa legge fosse esistita allora
io avrei dovuto vedere mio padre per forza altrimenti mi avrebbero prelevato le
forze dell’ordine e portato via da mia madre per rinchiudermi in una casa
famiglia. Tutto ciò è pura follia!

Rabbrividisco
quando sento che un bambino violentato negli affetti non viene creduto e si
pensa che sia la madre a condizionarlo. Mio figlio ha solo sei anni ed è perfettamente in grado di capire da solo tutto quello che è importante per lui.

Davvero
qualcuno pensa che io potessi essere condizionato a vedere qualcosa di irreale
mentre mia madre stava distesa a terra con il sangue che le colava dall’occhio
e dall’orecchio?

Chi
sostiene
una cosa del genere parla a nome di chi picchia, violenta e fa del
male alle donne e ai bambini.

Non
c’è mai
una versione comprensibile della violenza. Non c’è niente da spiegare.
Non ci sono ragioni e se io fossi cresciuto con quell’uomo ho il terrore di
immaginare cosa sarei potuto diventare. Nessun bambino merita di frequentare un
uomo che è in grado di fare cose così orribili.

Mia
madre
ha continuato a ridere e scherzare nonostante la sua faccia non fosse più
quella di un tempo. L’ho vista resistere e abbracciare la vita, gioiosa e
forte. Mi ha amato come non avrei potuto sperare e ancora oggi è il mio unico
grande punto di riferimento.

Senza
di lei
io sarei nessuno. Senza di lei non sarei riuscito a vivere, recuperare
serenità, stabilità e certezze, continuare a studiare, trovarmi una
professione, una compagna che amo e che mi ama e avere un figlio.

A
mia madre
devo tutto. Le devo la vita. Io la devo a lei. Sembra buffo dirlo ma
è così. Con mio padre una vita non avrei potuto averla. Tutto il mondo sembrava
dovesse ruotare attorno a lui, ai suoi bisogni, ai motivi per cui diceva di
sentirsi offeso. Era un continuo IO IO IO IO IO senza fine.

A
mia madre
devo il mio passato, il mio presente e il mio futuro. Non avrei potuto sperare di
essere amato più di quanto non mi abbia amato lei.

E’
una donna
normale, non è una santa, non fa la vittima. Lei si arrabbia, lotta e
ride.

A
mia madre
devo anche il fatto di essere stato in grado di lavorare e provare a
costruire un futuro. Ed è proprio sul posto di lavoro che un mio collega ha
visto il vostro blog. Vi prendeva in giro dicendo che eravate le solite
“vetero” e che parlare di lotta alla violenza contro le donne è una cosa fuori
tempo perché oggi le donne avrebbero la parità. Di quale parità parla solo lui
lo sa. Però lo devo ringraziare perché se non fosse stato per lui non avrei
saputo della vostra esistenza. E non mi interessa che legga (ne dubito!) e che capisca che a raccontarvi questa storia sono io perchè almeno saprà quello che per anni non sono stato in grado di raccontare a nessuno tranne alla mia compagna.

Forse anche questo è un problema tra gli uomini. Dovrebbero imparare a raccontarsi l’un l’altro la verità, quella vera, fatta di tutti i ricordi che hanno rimosso, di tutte le volte che hanno visto le madri umiliate, mortificate, picchiate mentre il padre insegnava loro che quello che stavano vedendo in realtà non lo stavano vedendo e invece lo vedevano eccome e ce l’hanno impresso nella mente, rinchiuso in qualche piccolo angolo della memoria.

Io
vi ringrazio
a nome mio, di mia madre, della mia compagna e di mio figlio. Vi ringrazio perchè mi avete dato modo di raccontarvi la mia storia che rivendico e della quale mi avete fatto sentire orgoglioso. Perchè non c’è quasi nessuno che nella società faccia sentire ad un uomo l’orgoglio di avere fatto la scelta di non essere un maschio prepotente, violento e arrogante come tanti altri. Piuttosto alcuni potrebbero insultarmi dicendomi che non sono "abbastanza uomo" e sono quelli che misurano la loro mascolinità sul numero di violenze e prevaricazioni che riescono a infliggere alle donne e alle persone in generale. Se
domani qualcosa cambierà sarà anche grazie a voi.

Avete
tutto
il mio sostegno e state sicure che io nel mio piccolo provo a difendere
gli stessi principi che difendete voi.

—>>> Noi ringraziamo Matteo e ricordiamo che ancora oggi le percosse che riducono le
donne in stato di invalidità grave e permanente non vengono mai considerate “tentato
omicidio”. Tutto ciò accade anche grazie alla teoria che copre le
responsabilità dei maschi violenti e assassini sostenendo sempre la tesi del
raptus o altre attenuanti del genere. Per assurdo se una donna viene aggredita
fuori casa e ferita in malo modo allora è più probabile che sia giudicato “tentato
omicidio”.

Se una donna viene ripetutamente, con furia omicida e con chiara
intenzionalità, colpita dal marito, quelle aggressioni "volontarie" invece vengono ancora classificate come
semplici percosse. Per le percosse gli uomini non beccano quasi mai neppure un
richiamino tant’è vero che in varie occasioni gli uomini vengono sottoposti ad
arresto (ai domiciliari dai quali scappano per completare l’opera) solo con l’attuale
reato di stalking anche quando hanno tentato di ammazzare la ex moglie. La
banalizzazione delle violenze maschili sulle donne è talmente evidente che
possiamo dire che lo Stato è sicuramente complice di ogni delitto commesso.

Ricordiamo inoltre che agli uomini violenti che violentano, feriscono, picchiano e ammazzano le mogli non viene sottratto nulla, anzi possono godere dei beni di famiglia e di pensioni di reversibilità ottenute grazie al lavoro delle mogli uccise. Da loro non si pretende nessun risarcimento. Anzi: grazie alla legge sull’affido condiviso, voluta (nel 2006) e peggiorata con ulteriori proposte di modifica di lega e pdl, i bambini diventano assegnatari dei beni comuni. I bambini vengono mercificati, i beni familiari vengono espropriati a priori alle ex mogli (quelle che si sono separate possibilmente perchè picchiate, violentate e quasi uccise) e i padri fingono di agire nell’interesse dei figli mentre vogliono solo avere la possibilità di vedersi assegnato il pacchetto premio casa+figlio+vendetta/sulla/ex/moglie. Bello vero?

—>>>immagine da qui

Posted in Disertori, Fem/Activism, Misoginie, Omicidi sociali, Storie violente.


10 Responses

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  1. ddddddd says

    Le stessa lettera, la potrebbero scrivere i miei figli. Grazie Matteo.

  2. arianna says

    Grazie a Matteo per le sue parole e grazie a tutt* coloro che rifiutano la violenza, la prevaricazione, la prepotenza e l’egocentrismo, siete il miracolo che ci fa andare avanti nella vita, il raggio di speranza che ci salva.

  3. Nadia says

    Grazie Matteo.
    Ho avuto una storia analoga alla tua, non così ripetuta, ma il terrore è sempre stato qualcosa che ha abitato con noi, i miei genitori ed io. Le botte non erano cosa abituale, pur se accadevano saltuariamente, ma i maltrattamenti verbali, psicologici, affettivi, le vessazioni anche economiche ci sono state e sono state tante. C’è stato anche un tentativo di uxoricidio, non portato a termine, me presente. Reazione concreta? Nessuna. Tutto sotto il tappeto, che nessuno sapesse. Che si continuasse a vivere (?) nello stesso modo di sempre, a suon di insulti e parolacce. Non conto le volte in cui ho detto a mia madre di andare via, di ribellarsi, di andarcene insieme. A parte un mare di liti e provocazioni continue (da entrambe le parti, purtroppo, non hanno mai comunicato in modo diverso a meno che non ci fosse da spettegolare con malignità dietro qualche collega di lavoro di entrambi), le cose sono proseguite così per decenni. Vivono ancora insieme. Dopo anni di paura, sono arrivata alla conclusione amarissima di dover pensare che almeno, per fortuna, mio padre si è disfatto delle sue armi da fuoco per sopraggiunti problemi di salute anche mentale, è una possibilità in meno di dare sfogo alle sue demenze di una vita. Perchè anche con quelle ha minacciato.

  4. Silvia D. says

    A tutte le persone che desiderano un futuro diverso per i bambini che hanno (o avranno, o vorrebbero), senza la violenza che hanno subito, o testimoniato, che ritengono sbagliata, vorrei sottolineare il progetto Non Togliermi il Sorriso http://www.nontogliermiilsorriso.org , dove traduciamo e pubblichiamo articoli della bravissima (e purtroppo appena scomparsa) Alice Miller, Jan Hunt, Michel Odent, John Holt, e tanti altri ed abbiamo uno spazio dove scambiarsi esperienze e riflessioni in materia. La mia massima stima a tutti voi.

  5. luigi says

    matteo,
    anch’io sono orgoglioso di fare parte della schiera di disertori dal fronte dei violenti.
    e in quanto alla legge dell’affido condiviso bisogna dire chiaramente che c’è un grosso numero di obiettori che non vogliono neanche sentirne parlare.
    grazie!

  6. Lorenza Garbolino says

    La mia vita è stata segnata purtroppo proprio da un padre violento. Sono stata tolta dalla mia famiglia e data in affido a mia zia quando avevo solo 3 mesi. I miei fratelli hanno visto tutto. Io ho sopportato tutta la loro sofferenza pur essendo lontata da loro e per così dire avendo avuto più fortuna a non dover essere presente al massacro. Mia madre aveva denunciato mio padre per le botte ricevute, i carabinieri si sono limitati a rimproverarlo e ad ammonirlo a non rifarlo più. La cosa che ancor oggi, a 30 anni, mi fa mandare in bestia è che questo uomo spregevole, di cui purtroppo condivido il DNA, aveva solo riguardo per il suo appagamento e divertimento. Peccato che questo era tutto a spese di sua moglie e di noi figli.

  7. Olly says

    Grazie di cuore!!!

    Leggere storie di uomini che hanno capito quanto sia grave la violenza sulle donne mi rincuora in continuazione, perché mi insegnate ad avere ancora fiducia negli uomini.. cosa che sinceramente non ho molto.

    Un abbraccio forte a te, tua madre, la tua compagna e tuo figlio!!!!!

  8. viviana says

    mi viene da piangere… ma mi tratterò, se no non riesco a scrivere neanche una parola. Leggerti matteo è stato liberatorio, sentire da un ex bambino ciò che poi, alla fine, vivono tutti i/le bambin* che crescono in un contesto violento è stato come dire “non sono pazza, succede dapprtutto e le modalità sono sempre le stesse”. La violenza che spesso i/le bambin* vedono e subiscono, sia fisica che psicologica, non può essere cancellata, è troppo radicata, ma può essere considerata o riletta per quello che è “violenza bruta, che non ha nessuna spiegazione” e quindi in tal senso ci si può diseducare dalla violenza e da quel meccanismo infame che è la colpa (ti ho abbuffato di schiaffi perchè te lo meriti). Credo che davvero tutti e tutte noi, ex bambin*, dovremmo parlarci e con sincerità dirci tutto quello che abbiamo visto o subito in prima persona, per poi capire che non sono solo i nostri padri ad essere bruti, ma un’intera schiera di padripadroni e che bisogna davvero fare qualcosa per fermarli, sia gli uni che gli altri. Le violenze psicologiche sono quelle che conosco meglio, perchè sono il forte di alcune famiglie dette perbene come la mia (ma schiaffi, calci, oggetti lanciati e qualcosa di più non sono mancati)… quelle fisiche le ho viste, ma non così forti e il solo immaginarle mi fà paura. Quindi non posso non dire che tua mamma è stata una grande donna e da quello che leggo ha cresciuto una bellissima persona… grazie davvero di cuore per averci raccontato la tua storia.

    Viviana

  9. Natla says

    Grazie. Di cuore 🙂

  10. Lorenzo Gasparrini says

    Dàje.