Come dicevamo l’affido condiviso viene attribuito ad entrambi i genitori nonostante vi siano situazioni di grave conflitto tra i genitori. Nonostante vi siano denunce per violenza nei confronti del "padre", nonostante vi siano denunce per stalking, per maltrattamenti, etc perchè secondo alcune sentenze essere un cattivo marito non significa essere un cattivo genitore. Ecco dunque che viene permesso a uomini violenti di avere accesso alla casa e alla vita della donna alla quale vogliono fare del male con possibile grave compromissione anche della salute fisica e psichica del figlio o della figlia.
Ecco alcuni esempi di sentenze favorevoli a "padri separati", sentenze che trascurano completamente di fare attenzione affinchè un marito o un genitore molesto non sia messo in grado di fare del male alla ex moglie e ai figli.
Non sempre è reato usare la forza per vedere un figlio [1]:
"Può essere assolto dalle accuse di violenza privata il
padre che, per riuscire a parlare con il figlio che la
madre gli tiene lontano, usa la forza. E’ quanto si evince da
una sentenza depositata dalla terza sezione penale della Corte
di cassazione il 18 dicembre 2009, in particolare il Collegio di
legittimità ha accolto con rinvio il ricorso di un uomo che
chiedeva gli venisse applicata la scriminante in relazione al
reato di violenza privata ( i capi di accusa contemplavano anche
i maltrattamenti in famiglia e la violenza sessuale legata ad
altri episodi), perchè questo, in un impeto d’ira, aveva fermato
l’automobile dove viaggiavano madre e figlio per cercare di
parlare. Aveva sostenuto, con il bambino. La donna gli aveva
impedito “illegalmente” di incontrarlo per tutto il mese di luglio."
Siamo quindi di fronte ad un uomo che sta subendo un processo per maltrattamenti e violenza sessuale, che viene accusato anche per violenza privata nel momento in cui la ex moglie, dati i precedenti, tenta di non avere alcun contatto con lui. La difesa chiede l’applicazione della scriminante, ovvero separa i primi due capi d’accusa dall’ultimo e lo motiva con la necessità impellente di parlare con il figlio. Il giudice, noncurante delle accuse che ancora pendono sul capo dell’imputato e del rischio che potrebbe correre la donna dovendo assolvere all’obbligo di farlo accedere alla sua vita e a quella di suo figlio, lo assolve perchè ritiene quella violenza in qualche modo motivata. Non c’è nulla di meglio per legittimare la violenza maschile che una sentenza del genere.
In una sentenza della cassazione del 4/2/2009 [1] si dice che:
"La Corte di Cassazione, recependo un orientamento ormai consolidatosi nella giurisprudenza di merito, ha sostenuto che, in tema di separazione personale dei coniugi, alla regola dell’affidamento condiviso dei figli possa derogarsi solo ove la sua applicazione risulti "pregiudizievole per l’interesse del minore", con la duplice conseguenza che l’eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovra’ essere sorretta da una motivazione non solo piu’ in positivo sulla idoneita’ del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneita’ educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore, e che l’affidamento condiviso non puo’ ragionevolmente ritenersi precluso dalla mera conflittualita’ esistente tra i coniugi, poiche’ avrebbe altrimenti una applicazione solo residuale, finendo di fatto con il coincidere con il vecchio affidamento congiunto."
Ovvero, del conflitto tra ex marito e ex moglie non interessa a nessuno neanche nel caso in cui questo conflitto potrebbe causare gravi problemi alla donna. Quanto il conflitto tra genitori possa essere "idoneo" all’educazione dei figli lo sa il giudice che ha sentenziato e i padri separati che auspicano simili soluzioni.
La sentenza 16593 depositata lo scorso 18 giugno stabilisce sostanzialmente questa cosa e spiega che se due genitori litigano comunque l’affido condiviso deve essere la regola e non l’eccezione.
Una sentenza del tribunale di Bari dice che:
TRIBUNALE DI BARI; sezione I civile; decreto 10 marzo 2009.
«In tema di affidamento dei figli, l’attitudine del genitore ad essere un buon educatore ed a perseguire, primariamente, il corretto sviluppo psicologico del figlio si misura alla luce della sua capacità di non allontanare quest’ultimo dall’altra figura genitoriale (quali che siano state le ragioni del fallimento del matrimonio), garantendo il più possibile le frequentazioni del coniuge con la prole minorenne» (1)
(1) Nell’ambito dei criteri di scelta del genitore collocatario della prole, un posto fondamentale deve essere attribuito alla capacità del genitore di mettere da parte le rivendicazioni nei confronti dell’altro e di conservarne l’immagine positiva agli occhi e nel cuore del minore, garantendo il più possibile le frequentazioni tra i due, quale attitudine del genitore a prendersi cura dei figli in modo responsabile.
Tale attitudine si misura non a parole, ma in termini concreti; conseguentemente, il genitore che, non essendo autorizzato dal giudice né avendo ottenuto il previo consenso dell’altro genitore, trasferisca la residenza del figlio minore in un’altra regione d’Italia, per un verso, viola i principi basilari dell’affidamento condiviso […].
"
"Quali che siano state le ragioni del fallimento del matrimonio" può voler dire qualunque cosa. Significa anche che se il matrimonio è finito perchè il marito picchiava la moglie in ogni caso la moglie già oppressa e che tenta di sfuggire ad una situazione di violenza per dimostrarsi idonea ad essere una buona figura genitoriale deve "garantire" la frequentazione tra padre e figlio e non può allontanarsi per nessuna ragione al mondo.
Ancora una sentenza [che viene sempre da catania]:
TRIBUNALE DI CATANIA; ordinanza 4 aprile 2008.
"«Nell’ambito del giudizio di separazione personale dei coniugi, il figlio minore, in quanto parte sostanziale di tale procedimento e destinatario finale degli effetti della sentenza, va ricompreso nel novero dei soggetti incapaci a testimoniare, ai sensi dell’art. 246 cod. proc. civ.»(1)
(1) Nella specie, il Tribunale di Catania, in applicazione del riferito principio di diritto, ha dichiarato l’incapacità a testimoniare dei due figli minori della coppia – rispettivamente, di 14 e 11 anni – sui fatti dedotti dalla madre a fondamento della domanda di addebito avanzata in danno del marito […].
A fondamento della pronuncia, il Giudice del merito ha valorizzato, per un verso, il dato oggettivo della immanente «partecipazione al processo» del minore (quale parte destinataria sostanziale finale degli effetti della sentenza che verrà emessa all’esito del giudizio), e, per altro verso, i principi costituzionali in materia di famiglia, che impongono di evitare al fanciullo di testimoniare contro uno dei genitori, perché ciò determinerebbe una compromissione del suo diritto alla bigenitorialità ed un possibile grave vulnus alla sua sana crescita psicologica ed al suo sentimento familiare.
"
Non era il caso in questione ma lo stesso varrebbe se "il figlio minore" dovesse testimoniare circa un addebito su questioni di violenza coniugale o subite dallo stesso minore? Vale a dire che il minore, di cui si sbandiera la difesa dei diritti, in realtà in questi processi non è "importante". Fondamentale risulta essere invece la soddisfazione del "diritto alla bigenitorialità" dell’ex marito a prescindere dal fatto che egli sia più o meno lesivo della serenità, dell’equilibrio e della salute fisica e mentale dei componenti della sua attuale o ex famiglia. Di fatto invece sussisterebbe l’obbligo da parte del giudice di ascoltare il minore.
Altri esempi del percorso ad ostacoli che deve compiere la madre grazie alla legge sull’affido condiviso potete leggerli QUI.
In una dissertazione sulle possibilità di esclusione ad un genitore in regime di affido condiviso si dice anche che:
"Quanto all’affido cd. esclusivo, taluni, in dottrina, ritengono che, perché sussista la contrarietà all’interesse del minore – giustificativo dell’affido esclusivo – non sia sufficiente la sola intollerabilità reciproca tra i genitori, ma qualcosa di più profondo, essendo evidente che se bastasse invocare l’esistenza di un contrasto tra i genitori verrebbe totalmente frustrata la volontà della legge, certo essendo che non esiste, in pratica, separazione personale dei coniugi non accompagnata da dissapori reciproci tra loro. Deve dunque sussistere, secondo tale dottrina, una situazione di fatto che per la sua oggettiva gravità sconsigli l’affidamento condiviso, ancorché non sia necessario il sussistere delle condizioni per l’adozione di provvedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c. Si sostiene, inoltre, che l’esclusione dall’affidamento condiviso possa avvenire solo per carenze di un genitore e non per una esasperata litigiosità fra i genitori, dato che altrimenti sarebbe fin troppo facile pervenire all’affidamento monogenitoriale.
L’assunto è stato di recente difeso dal Supremo Consesso. Nell’arresto n. 16593 del 19 giugno scorso, la Cassazione ha affermato, infatti, che l’affidamento "condiviso" (comportante l’esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi ed una condivisione delle decisioni di maggior importanza attinenti alla sfera personale e patrimoniale del minore) si pone non più (come nel precedente sistema) come evenienza residuale, bensì come regola, rispetto alla quale costituisce, invece, ora eccezione la soluzione dell’affidamento esclusivo, al quale si ricorre solo ove l’affidamento condiviso risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore”. Non avendo, per altro, il legislatore ritenuto di tipizzare le circostanze ostative all’affidamento condiviso, “la loro individuazione resta rimessa alla decisione del Giudice nel caso concreto da adottarsi con "provvedimento motivato", con riferimento alla peculiarità della fattispecie che giustifichi, in via di eccezione, l’affidamento esclusivo”. L’affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi comunque precluso, di per sé, dalla mera conflittualità esistente fra i coniugi, poiché avrebbe altrimenti una applicazione, evidentemente, solo residuale, finendo di fatto con il coincidere con il vecchio affidamento congiunto. “Occorre viceversa, perché possa derogarsi alla regola dell’affidamento condiviso, che risulti, nei confronti di uno dei genitori, una sua condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale appunto da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore (come, nel caso, ad esempio, di una sua anomala condizione di vita, di insanabile contrasto con il figlio, di obiettiva lontananza …)”.
La premessa, sebbene dica con chiarezza che la "eccessiva litigiosità" (ovvero tutti i motivi che mettono le donne in condizione di subire violenze dagli ex mariti) dei genitori non sia motivo per rimettere in discussione l’affido condiviso, sebbene dica che il legislatore ha lasciato ai giudici la discrezionalità sul tema non definendo le questioni ostative all’applicazione della legge, vale comunque a giustificare l’esclusione all’affido condiviso e la decisione di affido monogenitoriale presa nel tribunale di catanzaro nel caso in cui il genitore è "inidoneo" ad educare il figlio perchè esplicitamente razzista con tossicodipendenti, omosessuali, etc.
Si dice infatti che:
"Peraltro, la legge 54/2006 non deve essere frustrata negli intenti con interpretazioni “buoniste”: l’affidamento monogenitoriale è “obbligato” dove l’interesse del figlio sia anche solo “potenzialmente” messo a repentaglio, soprattutto laddove taluni “dubbi” potevano essere risolti agevolmente da una diversa condotta processuale (in molti giudizi, dinnanzi ad accuse di etilismo e simili, il genitore “accusato” di sua spontanea volontà introduce nel procedimento proprie analisi atte a dimostrare l’infondatezza).
Il principale legame tra gentore e figlio è quello educativo: l’educazione consente la formazione del minore, la sua crescita orientata verso taluni valori e non altri. Orbene, se è del tutto lecito ed incensurabile somministrare alcune scelte di vita anziché altre, il limite a siffatta discrezionalità è rappresentato dall’”oggettivamente diseducativo”, dal trasmettere, cioè, insegnamenti univocamente contrari a precetti fondanti la comunità sociale, addirittura idoneii a far sorgere condotte anche penalmente rilevanti.
Viene qui in rilievo una chiara inidoneità educativa.
E la Cassazione, al riguardo, precisa, infatti, come ben si possa derogare alla regola dell’affidamento condiviso, laddove risulti, nei confronti di uno dei genitori, una sua condizione di manifesta carenza o “inidoneità educativa” o comunque tale appunto da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore (come, nel caso, ad esempio, di una sua anomala condizione di vita, di insanabile contrasto con il figlio, di obiettiva lontananza …).
Come l’ipotesi – pur tenuta in considerazione dal tribunale – ove il genitore manifesti l’intenzione di trasmettere una educazione orientata verso la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale ed il razzismo.
In una società multiculturale come quella odierna, somministrarre al minore una educazione siffatta (astio verso “drogati”, “omosessuali”, “diversi”) costituisce motivo di per sé sufficiente per “rimandare” l’affido condiviso ad altra data.
Non sono sempre solo i minori ad avere bisogno di crescita.
A volte è il turno dei genitori.
"
Vale a dire che si può considerare inidoneo ad educare un figlio colui il quale non lo prepara a vivere in armonia con una società multiculturale ma si considera "idoneo" un genitore sessista, misogino, che insegna al figlio ad odiare le donne, a discriminarle con astio e a trattarle come oggetti sessuali e relazionali.
La questione è molto complessa. Tuttavia è chiarissimo che il legislatore non ha fino ad ora "scelto" di tutelare le donne e i bambini in presenza di gravi conflitti (la litigiosità cui si accenna) che derivano dal carattere violento del coniuge di sesso maschile.
La penseremmo allo stesso modo se ad esercitare violenza fosse la madre. Il/la coniuge e i bambini devono essere tenuti lontani dall’ex coniuge/genitore che ha precedenti per violenza in famiglia, per violenza alla moglie, che ha a suo carico denunce per violenza, che ha un processo in corso per violenze, stalking, maltrattamenti, stupro, pedofilia.
Questo va esplicitato nella legge perchè non deve essere consentito che un genitore molesto e violento possa, per usare il linguaggio caro a chi abusa impropriamente speculando su questi concetti, fornire una cattiva educazione al figlio nel momento in cui è messo in condizione di ammazzargli la madre.
Un genitore violento, un marito violento, un uomo che tratta male la ex moglie, che la ricatta, la odia, la maltratta, la perseguita, è INIDONEO a fornire qualunque forma di educazione ad un figlio o ad una figlia che deve essere preparato a vivere in un mondo in cui esistono, che ai padri separati piaccia o no, tanti sessi, incluso quello femminile.
Per approfondire vi invitiamo ancora una volta a leggere anche:
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