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La violenza economica che riguarda tutti/e

Che volete saperne voi di una vita fatta di lavori precari. Oppure si, lo sapete talmente bene che oramai è diventata una cosa "normale".

Perdere un lavoro da precaria è un fatto temporaneo, ti dicono, una "formalità" perchè tanto il contratto te lo rinnovano. Così poggi su questo falso senso di sicurezza per anni e sprechi del tempo prezioso che potresti usare in modo diverso, andando all’estero per esempio, imparando delle lingue, prendendo altre specializzazioni. Invece diventi una burocrate della precarietà che si barcamena tra scadenze contrattuali, marketing di promozione di se stesse e la vita che nel frattempo se ne va a quel paese.

Devi sempre stare lì a dimostrare qualcosa, in costante atteggiamento fantozziano, in una dimensione che oramai ha frantumato ogni possibile legame umano. Non ci può essere solidarietà tra poveri diavoli e diavolesse costrette a competere tutto il giorno, a combattere contro il mobbing, la cattiveria, la distorsione di ogni cosa.


La precarietà
è una cosa fatta a scale. C’è una gerarchia per cui chi sta sopra di te non ha sufficiente autorità e nessuna autorevolezza. Piccoli/e e grandi kapo’ che a loro volta temono per la propria esistenza e per la scadenza del proprio contratto.

I veri capi non li vedi mai, sono irragiungibili o sono considerati alla stregua di santi. La canonizzazione del padrone è un procedimento avvenuto con grande calma, non pensate che sia cosa recente giacchè questa descrizione enfatica della "flessibilità" avviene dalla fine degli anni ottanta grazie a quella lungimiranza inciuciona che ha sempre distinto il partito di d’alema. E di una cosa sono sicura: Se dobbiamo qualcosa a qualcuno è proprio a lui e al suo entourage di amiconi della confindustria.

Il capo è un santo di cui tutti si contendono le grazie. Ti dicono che devi essere gentile, che ti ascolta e ti conforta, un po’ come il papa, e ti regala massime sul presente mentre lui cerca una lusinga e tu sei costretta a fargli pompini dalla mattina alla sera. E non è mica una possibilità che hanno tutte. Il privilegio è riservato solo a quelle che stanno ad un passo da dio. Le dirigenti delle dirigenti, anche quelle precarie, perchè l’unico contratto stabile in genere ce l’ha chi si occupa dell’amministrazione e se tu non ti occupi di salvargli il culo redigendo contratti di merda, buste paga ritoccate e dichiarazioni di bilancio creative allora non sei nessuno.

La precarietà è una cosa che negli ultimi trent’anni ha modificato le relazioni umane e il nostro modo di vivere e di percepire la realtà. Il marketing della precarietà ti fa entrare in testa che sei fortunata, che hai tante possibilità, che la stabilità è una cosa per gente incapace, poco dinamica, senza capacità di iniziativa. Nel frattempo campi alla giornata perchè non puoi permetterti niente. Dipendi ancora dai genitori anche se ti sono venute le rughe e sei lì a sentirti dire che la colpa è delle femministe che hanno voluto la parità. Senza parità noi saremmo ancora a sfornare figli e a farci mantenere e sai che culo a stare sottomesse allo stato, agli uomini, a tutto.

Mi capita di guardare negli occhi tante donne e uno dei tratti comuni che vedo spesso è quella falsa fierezza. Donne orgogliose, apparentemente forti, a schiena dritta mentre stanno all’università, un po’ più ricurve quando accedono al mondo del lavoro, sempre più piegate al decimo contratto precario, completamente spezzate quando si sentonio dire che sono troppo vecchie e che se non sono riuscite a "farsi stabilizzare" deve essere colpa loro.

Come fai ad essere fiera, orgogliosa, forte, a non farti ammazzare di botte dal primo venuto se ti tolgono la cosa che ti rende più sicura? Anche questo falso dibattito sulle donne del premier: L’unico argomento che in tanto filosofeggiare si è eluso è il tema della precarietà. Veline per necessità o per scelta. Dignitosamente escort. Papi-girls perchè ti hanno voluto così e continuano a volerti così. 

L’ultimo disegno di legge presentato dalle donne del pd parla di conciliazione con i tempi del lavoro Stessa identica cosa dice la ministra carfagna. Non è un caso: si tratta della promozione dello stesso sistema di vita. Eleggere la precarietà come unica "certezza", umanizzare i contratti concedendo giorni di malattia quando sei malata (che culo!) e giorni di maternità quando stai "sgravando" (che ri-culo!). Obbligare i datori di lavoro a considerarti un essere umano alla stessa cifra perchè un contratto a progetto è un contratto a progetto. Non esiste la possibilità che ti paghino durante le assenze. Possono solo sospendere il lavoro ma alla data di scadenza se non consegni il "progetto" sono cazzi tuoi.

Precarie e sfinite e ancora ragionano di farci conciliare il nulla per convincerci a fare figli, per dirci che "precarietà è bello" e che i datori di lavoro possono essere altro rispetto alle gran merde che solitamente sono.

Alle donne tolgono la possibilità di mantenere viva una eredità che hanno lasciato le madri, quelle si orgogliose e fiere, che hanno combattuto e che però, sticazzi!, avevano un contratto stabile. Agli uomini tolgono l’unico elemento di riscatto sociale sul quale contano per sentirsi persone. In una crisi che mette in discussione il modello patriarcale perchè non ci può essere "maschio" che sia in grado di dire "cara, non serve che lavori, penso a tutto io" e che amplifica la competizione dentro e fuori dal posto del lavoro. Le donne sono nemiche: carichi da mantenere se sono disoccupate, non casalinghe ma semplicemente disoccupate, il che rivela una aspirazione fallita, rivali che soffiano il posto di lavoro perchè "hanno la fica", incapaci di risparmiare come facevano le nonne che rinunciavano a tutto mettendo al primo posto delle spese familiari il marito e i figli. 

Chi sono queste donne che oggi vogliono esattamente quello che vorrebbero gli uomini, che sono state educate a essere consumatrici senza che siano mai state create le condizioni per farle diventare economicamente autonome. Sono donne che spendono di più? Donne che dipendono di più?

Tempo fa ebbi una discussione con una madre, modello di donna che si sacrifica e che è incattivita dentro, che delega la cattiveria ad altri, il marito innanzitutto, purchè lei sia sempre salva dalle critiche dei figli e dalla disapprovazione, cresciuta nel culto del "mamma, perchè non compri mai balocchi ma compri sempre profumi per te". Parlava di una sua vicina di casa e la definiva in vari modi, tutti esprimevano un certo livello di disprezzo perchè quella donna si vestiva decentemente, non con capi di abbigliamento di lusso, ma con gusto. Andava dal parrucchiere e si truccava per andare a fare la spesa. Un crimine in certi ambienti.

Prendi me che spendo quasi niente in cosmetici, che dal parrucchiere vado una volta all’anno, che indosso sempre le stesse cose e se cambio abito è per andare a fare colloqui di lavoro o per presenziare all’impiego temporaneo in cui ti vogliono precaria ma senza darlo a vedere, che gli unici soldi che spendo sono in libri, cultura, internet. E ce ne sono tante di consumatrici riuscite malissimo, fottute dalla vita, che non spendono più di quello che hanno, che stanno attente a non pesare all’umanità.

La precarietà mal si concilia con l’istruzione? Non lo so. Penso che chi è meno istruita sia più propensa a comprare tutto l’abc dei prodotti pubblicizzati in tivu’. Essere istruite significa qualche volta anche non farsi manipolare, non aderire ai modelli di consumo, perciò odiano noi "femministe" di questi anni, precarie e consapevoli o consapevolmente precarie. Perchè non consumiamo quanto vorrebbero, nonostante tutto. 

Era necessario formare milioni di donne e spingerle verso una nuova forma di analfabetismo, quello culturale, commerciale, economico. Tante donne che vogliono diventare piccole e grandi noemi perchè glielo dice retequattro, italia uno, canale cinque. Reti private fatte apposta per addomesticare la gente all’acquisto, che sublimano se stesse creando termini appositi. "Consigli per gli acquisti" e non "imposizione di modelli commerciali, economici e culturali".

Quando hai compiuto lo scempio e hai addomesticato la gente ad acquistare poi puoi vendergli tutto e il contrario di tutto, presidente del consiglio incluso. E questa cosa va capita fino in fondo perchè altrimenti si rischia di perdere tempo opponendosi a persone invece che ad un intero modello culturale ed economico.

Persino le donne devono avere il coraggio di dire a se stesse che se c’è qualcuno che ti educa a spendere di più è chiaro che hai bisogno di soldi e che in una situazione di precarietà assoluta, qual è quella in cui viviamo, sei più disposta a dare il culo.

Non è mica un giudizio morale. Moralisti sono quelli che impongono leggi che favoriscono la precarietà e un sistema economico che ci riduce in poltiglia e poi si radunano nei talk show per dire che in fondo è l’indole donnesca a mostrare la propria "naturale" inclinazione alla puttanaggine.

A me non importa come le donne si guadagnano da vivere e sono ben consapevole che in un modo o nell’altro tutte le donne prendono marchette a prescindere dal numero di "clienti/padroni" che decidono di avere. La prostituzione resta infatti l’unico lavoro in cui la questione è evidente e in cui c’è una transizione economica che non può giocare al ribasso perchè molte donne sono datrici di lavoro di se stesse. Non tutte, certo, tante altre sono sfruttate ma non c’è una sola proposta di legge che combatta lo sfruttamento, ce ne sono tante invece che criminalizzano le prostitute nella loro autonomia.

Le ragazze di questo tempo hanno la precarietà negli occhi prima ancora di mettere piede nel mondo del lavoro. Stanno togliendo loro persino la certezza della possibilità dello studio. Non resta più futuro. Non resta più niente a parte la rabbia.

Quello che resta sono tante madri precarie esattamente come le figlie. Tanti uomini arrabbiati perchè sentono su di se’ il peso ingiusto di una economia che loro non sono in grado di sostenere. Uomini incerti in relazioni incerte nelle quali le tensioni vengono acuite perchè nessuno dei soggetti coinvolti ha la minima certezza del presente e del futuro.

Quello che resta siamo noi consapevoli che senza un reddito minimo non andiamo da nessuna parte, consapevoli che la nostra lotta deve andare in una direzione che non può chiacchierare di "violenza contro le donne" senza parlare di violenza istituzionale, di violenza economica inflitta da istituzioni e imprese. 

Quello che resta siamo noi che ci svegliamo ogni mattina, sempre più stanche, a combattere contro chi ci dice che quando si stava peggio si stava meglio, a tenere la testa alta mentre tua madre o tuo padre ti passa qualche euro per pagare una bolletta, a rinunciare a pezzi di indipendenza sempre più grandi perchè se non hai certezze torni ad essere bisognosa di tutori, quasi sempre maschi.

Restiamo noi, spezzate, mentre la lobbies dei padri separati ci fa la guerra per accedere a risorse e finanziamenti parlando di maschi ridotti in povertà per colpa di femmine infingarde. Maschilisti che pensano a se stessi prima che ai loro figli, che pretendono dalle istituzioni case per uomini precari sostenendo che sono le donne ad averli ridotti in quello stato. Misogini che non hanno una dimensione collettiva del proprio problema e che lavorano strenuamente per escludere dalla società le donne così come i razzisti a subordinare e discriminare gli stranieri in una pretesa illiceità delle pari opportunità che a dir loro avrebbero superato limiti accettabili (???).

Cacciate dalla vita, dal tempio, dalla prospettiva dei diritti. Cacciate da tutti ci resta la possibilità di raccontare cosa siamo o di organizzarci per trovare una soluzione.

Reddito minimo, case di donne (e uomini) precari*, luoghi concreti per esigenze concrete, esperimenti di occupazione che normalmente finiscono in sgomberi violenti, con una repressione che si spiega solo se la inserisci in una gestione dell’economia nazionale che non ammette disagi autorganizzati, risposte sociali autogestite, ammortizzatori sociali autonomi in una costante, impossibile da ignorare, perennemente criminalizzata, richiesta di soluzioni a problemi reali quali la mancanza di casa, reddito, lavoro. E in questo senso la dimensione di lotta del "nuovo femminismo" non può essere lontana da quella in difesa di altre marginalità. Il mondo o si costruisce insieme o non si costruisce affatto e non può esistere un separatismo della precarietà.

Esiste una specificità di genere perchè gli uomini non partoriscono, non sono mestruati e non restano incinti, ma la precarietà di oggi, la nostra, la loro, il sistema economico che domina noi e loro, ci manipola tutti e a ciascuno attribuisce un ruolo preciso, schiavi nella stessa misura, noi schiave fuori e dentro casa perchè siamo subordinate all’economia e agli uomini a prescindere dalle razze, dalle religioni, dalle condizioni economiche di ciascuno, ma la nostra violenza, quella che noi subiamo quotidianamente, non è diversa da quella che subiscono in tanti per ragioni diverse.


Siamo
nel 2009 e ancora restiamo intrappolati/e in un sistema economico che crea disparità, discriminizioni, diseguaglianze. Ed è per questo che sempre più spesso mi capita di capire poco le donne che precarie non sono mai state o non sono più e di capire molto di più altre precarietà, di altri generi, precari nel corpo, nella vita, nel lavoro.


Quello
che mi divide dalle donne borghesi che non capiscono niente circa il mio stato di precarietà e che insistono nel suggerire un modello economico che ha bisogno delle badanti per permettere loro di continuare a fare le professioniste di ogni tipo è molto di più di quello che mi divide da un compagno di lotta, di piazza e spesso di sconfitta, di sesso opposto al mio, ma altrettanto precario, altrettanto nudo rispetto al presente, altrettanto disorientato circa la propria vita. E questo è un fatto che "non scelgo". Sta nelle cose. Non può essere diverso da così. Qualunque altra adesione a femminismi di "ceto" diverso dal mio sarebbe una forzatura. Sarebbe dogmatico. Ma il femminismo non è una chiesa. E’ solo uno strumento di lettura radicale della realtà. E’ "solo" un motivo di lotta che si compone di pratiche e metodi diversi. Non appartiene alle donne perchè tanti uomini possono essere e sono molto più femministi di quanto non siano spesso le donne.

Non posso ragionare sul mio futuro in questa società senza comprendere altre forme di precarietà. O tutti/e o nessuno. E questa è un’idea tutt’altro che precaria. 

Posted in Anticlero/Antifa, Corpi, Misoginie, Omicidi sociali, Pensatoio.


One Response

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  1. mancina says

    “Il mondo o si costruisce insieme o non si costruisce affatto e non può esistere un separatismo della precarietà” condivido!
    leggendo questo post, che ripeto, condivido, io mi sono commossa, per la verità struggente, per l’analisi lucida, per il senso reale di come deve essere il senso civico del bene comune. ringrazio questo blog e tutte coloro, compresi i pochi uomini, che lo frequentano, vi ringrazio per l’opportunità che mi date di “vedere” di “capire” di “sapere” di “informarmi” spesso anche di “educarmi” ad essere donna, a guardare oltre stereotipi e borghesismi 🙂 con voi miglioro anche nell’ ortografia( sono veramente ignorante) e con voi ho imparato ad usare meglio internet e addirittura ad avere un blog mio, niente di che, ma ho imparato da sola, e questo mi rende orgogliosa di me, altrimenti sarei una piccola donna affaccendata tra lavoro- casa, stanca e petulante, invece mi sento viva, forte combattente. grazie amiche.