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G8 Genova: 24 capri espiatori e una assoluzione.

Dei 25 processati per devastazione e saccheggio, 24 sono stati
condannati con pene che vanno dai cinque mesi agli 11 anni. Solo un* è
stat* assolt*. Il primo commento che mi viene da fare a caldo è che con
questa vergognosa sentenza si è segnata la differenza tra le "giuste"
azioni della polizia e le "cattive" azioni dei manifestanti (oltre a
dividere gli stessi manifestanti in buoni e cattivi come dice il
comunicato di supporto legale).

Secondo commento a freddo: Supporto Legale non ha mai voluto una commissione parlamentare di inchiesta e i motivi li capisco e in qualche modo li condivido pure.
Diversamente io penso, senza pruriti giustizialisti e/o moralisti (che non è un conflitto con Supporto Legale che ha fatto e fa uno straordinario lavoro, ma giusto per segnare una piccola differenza di vedute), che
pretendere una commissione sia un atto politico utile a restituire alle parti sociali dignità e legittimità e possa essere utile a storicizzare ed attribuire le
responsabilità politiche riferite a quelle giornate del 2001. Certo non penso sia stato opportuno chiedere la istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta strumentalmente quando si è scesi in piazza per
difendere 25 processati che si sapeva già sarebbero stati i capri espiatori di
una potente vendetta.

La
memoria è qualcosa di prezioso che va custodita e difesa. E’ fatta di
narrazioni che non devono essere vanificate da una qualunque
mistificatoria sentenza. Ed è certamente necessario scrivere e narrarsi in ogni luogo possibile.

Ci sono molti modi per lottare
in favore della verità, tutti egualmente rispettabili, se perseguiti in
buona fede. C’e’ chi ritiene di non dovere mai smettere di pretendere
che si realizzi davvero una democrazia partecipata in cui il popolo
possa davvero essere sovrano. C’e’ chi compie piccole e grandi rivoluzioni con il lavoro certosino dietro alle centinaia di migliaia di carte di un processo. C’e’ chi vuole fare la rivoluzione e basta. C’e’ chi realizza le condizioni affinchè i cambiamenti siano accettati piuttosto che respinti. C’e’ chi ritiene che per realizzare
progetti per un futuro diverso e migliore si debba prima provare a
migliorare quello che già esiste. C’e’ chi persegue, promuove e induce cambiamenti culturali. C’e’ chi ha ragione di pretendere
che si possa istituire una commissione di inchiesta in cui sia
possibile riscrivere una verità vera. C’e’ chi invece ritiene che non
serva a nulla o possa servire solo a chi, come sempre, avrà modo di
utilizzare anche quello strumento per riscrivere le giornate del G8 di
Genova a proprio esclusivo beneficio. Ciascuno sceglie un ruolo e quando lo fa è bene che lo porti avanti senza tentennamenti. In ogni caso: sperare e
combattere è una cosa essenziale e accomuna tutt*.

In questo momento però questa opportunità sembra effettivamente più
che una utopia per molte ragioni e perciò forse vale la pena aspettare
un’altra – chissà quale – legislatura. Un altro quinquennio in cui speriamo di non
trovare Mastella e Amato, in cui magari non ci sia Di Gennaro promosso a capo di gabinetto al
Ministero dell’Interno, o Di Pietro e Gasparri uniti alla strenua difesa
della polizia e i parlamentari di "sinistra" “premiati” per aver preso le distanze e aver sezionato bene i manifestanti in bianchi e neri.

Come se, per esempio, per gli operai di Torino ora si usasse dividere
et imperare allisciando quelli che fanno proteste più morbide e punendo
in maniera esemplare quelli pieni di lacrime, dolore, amarezza, senso
di impotenza e rabbia che ad una eventuale carica della polizia
potrebbero rispondere con forza per legittima difesa o potrebbero
decidere di rompere simbolicamente un macchinario della sezione della
fabbrica in cui è esploso l’incendio che ha causato morti e feriti tra
i loro compagni. Questo vi sarebbe comprensibile, si? E sapete anche
che la fabbrica (i suoi titolari) – sempre per ipotesi – è più
probabile che chiederebbe risarcimento per il macchinario rotto
piuttosto che essere disponibile a risarcire gli operai e le loro
famiglie per le morti e le terribili ferite causate? Sapete, perchè lo
sapete, che quella stessa fabbrica tenderebbe a premiare, anche facendo
una distinzione tra chi merita i risarcimenti e chi no, gli operai che
prendono le distanze dalle azioni dei colleghi che hanno rotto la
macchina o hanno reagito alle cariche?

Come
fosse possibile ridurre sempre il dissenso e l’espressione delle
proprie idee anche di tipo teorico ad una “ordinata” e “controllata”
gita didattica con la maestra alla guida e tutti dietro in fila per
due. Di Genova io non ho capito grandi cose e ancora mi misuro con le
mie sensazioni e i miei disagi. Da femminista laica mi sono
riconosciuta più nel pink block, rosa, colorato, danzante, non
machista, non militarmente organizzato, che in altre modalità. Non mi
sono piaciute tante cose rispetto alla gestione della piazza ma quella
è una discussione politica che non può essere infangata da vendette
giustizialiste e da moralismi ruffiani in cerca di consenso moderato.
Una discussione politica per ripensare Genova che non sarà mai
possibile fare proprio perchè c’e’ chi impedisce la crescita sociale
interferendo con punizioni, vendette e torture gratuite a copertura
della non assunzione di responsabilità dei potenti e dei governi per lo
scempio che essi fanno su tutta la terra contro tutti gli esseri umani
che la abitano. La soluzione per i conflitti sociali non può essere
addossata alle parti deboli se quelle forti non si assumono
responsabilità di nessun genere e si dotano soltanto di eserciti per
tenere a freno quelli che si lamentano e si incazzano per le cattive condizioni
in cui tutt* viviamo. 

Quello che ci impongono è un dissenso controllato a fronte della “dissimulazione onesta”
(Cossiga e Andreotti docet: è propria della cultura cattolica che
insegna che ci sono persone che non meritano di conoscere la verità e
in quel caso per chi possiede le notizie è più che lecito dire bugie)
che ci propinano dalle postazioni del potere. Stiamo parlando di un
processo in cui i pm hanno provato ad assegnare a tutti gli imputati
aggravanti ispirati al concorso morale (Se trovi un amico trovi un reato associativo,
appunto. Cioè se conosci qualcuno che è indagato per terrorismo di
conseguenza è giustificato il fatto che ti perquisiscano fino alle
mutande anche se tu di questi teoremi strampalati non sai proprio
niente. Così come è messa in discussione la libertà di pensiero perchè
vengono criminalizzate anche le opinioni critiche che non condannano
talune azioni politiche o di chi attua modalità e pratiche differenti
senza però condannare quelle non direttamente realizzate. Ovvero – in
relazione a Genova – se sei nelle vicinanze di qualcuno che per la legge
è reo di qualcosa e continui a farti i cazzi tuoi e non intervieni per
dissuaderlo o fermarlo – della serie: diventiamo tutti sbirri e
delatori, che bel déjà vu, eh? – allora i pm tirano fuori la
“compartecipazione psichica” per puntartela addosso e dirti che pure tu
sei stato cattivo cattivo. Dividi et impera, again, of course.).

Quello stesso concorso morale
che viene osteggiato in ogni aula di giustizia – e nei talk show
guidati dal vespa o dal ferrara pensiero – affinché non sia attribuito
a personaggi come Andreotti o comunque ai politici accusati – poi
assolti – di essere in associazione con i mafiosi. Con i processi ad
Andreotti e ad altri della sua corrente di pensiero si è infatti
dimostrato che baciare in bocca o frequentare un mafioso non vuol dire
di per se’ essere parte della cupola di cosa nostra o essere
responsabile e/o mandante di omicidi di stampo mafioso. Lo stesso
dicasi per quelli che partecipano ad uno stupro di gruppo che non
vengono incriminati se non hanno consumato il “pasto”.

Nel caso di Genova non ci sono mafiosi, uomini innominabili o
stupratori. A Genova c’erano persone che ora sanno bene che tenere le
mani alzate in segno di resa non è sufficiente a non prendere le
botte e a non essere portati a Bolzaneto. C’erano persone che non si
sono fatte mettere sotto dai defender lanciati in velocità e hanno
reagito a quel massacro organizzato. C’erano persone meno ingenue che –
memori dei gloriosi anni settanta – sapevano bene che in quella
situazione era meglio difendersi e scappare perchè non interessava
proprio a nessuno sentire lamentosi "ma io non ho fatto niente di
male… perchè mi state facendo questo?".  C’erano persone alle quali è
stato più semplice dare la colpa a generici "violenti" senza che questi
corrispondessero mai alle forze dell’ordine.

C’erano madri, padri, sorelle, fratelli, figlie e figli, compagne e
compagni e tutt* ugualmente arrabbiati perchè quelle giornate si sono
trasformate in un incubo senza fine. Tutt* noi dovremmo chiedere a
politici e forze dell’ordine quanto hanno psichicamente compartecipato
per massacrarci e rendere la nostra vita un vero inferno. Tutt* noi
dovremmo fare causa al ministero, al governo, alle forze di polizia per
chiedere risarcimento per i danni morali, materiali, fisici, psichici,
biologici che ci sono stati inflitti. Tutt* dovremmo farlo e di sicuro
nessuno pagherebbe mai perchè in Italia si sa, i poveri e i deboli sono
chiamati a pagare debiti alla società mentre i ricchi e potenti quegli
stessi debiti li fanno saldare al posto loro ai governi dei quali diventano presidenti
del consiglio. I soliti due pesi e le solite due misure!

Tornando alla sentenza: Senza giudicare il contesto i giudici hanno
attribuito la devastazione e il saccheggio. Un reato non riconosciuto
sin dai tempi della guerra. Cioè in un tempo in cui c’erano i bombardamenti e c’era chi saccheggiava le case nel bel mezzo del caos. Paradossalmente invece i giudici hanno
riconosciuto lo stato di guerra ma ne hanno assegnato tutte le colpe ai
manifestanti invece che a coloro che lo avevano causato, ordito,
progettato, provocato e gestito. A Genova non c’erano bombardamenti ne’ saccheggi. Non c’erano sciacalli e delinquenti. C’erano persone che agivano secondo la espressione del proprio pensiero politico e in tribunale hanno stabilito che c’e’ un modo consono e uno meno consono di manifestare. 

Heidi Giuliani dice che una vetrina rotta vale più della vita di una
persona (chi rompe le cose viene giudicato pesantemente mentre chi spezza vite umane proprio per niente). Lo sapevamo da prima ma ora indubbiamente tutto ci è molto più
chiaro. Il messaggio che viene fuori è il seguente: se volete fare e
uccidere che o chi vi pare basta che indossiate una divisa è l’impunità
è garantita. A Genova nel 2001, per chi sta riscrivendo senza ritegno
una storia falsa, quelli pericolosi sono stati i manifestanti. Quegli
stessi manifestanti che hanno resistito e si sono difesi da aggressioni
indiscriminate, da attacchi portati avanti con una violenza inaudita,
che hanno resistito alle botte, ai lacrimogeni urticanti, ai tonfa, ai
defender lanciati verso le persone che sfilavano per dire no al potere
arrogante e fascista. Tutto il resto invece, per i pm e revisionisti di
ogni specie, era oro e odorava di pulito… Tra qualche anno ci diranno
persino che abbiamo fatto solo un brutto sogno!

Quindi è proprio vero che dobbiamo continuare a diffondere
narrazioni perché si tramandino a dispetto delle bugie che ad altr* fa
comodo raccontare. Le nostre narrazioni non saranno spente da una
sentenza. Chi era a Genova in quei giorni conosce la verità. Una verità
che ci portiamo ancora addosso ed è fatta di lividi sul corpo, sulla
testa e sul cuore. E’ fatta di centinaia di migliaia di omicidi delle
idee e dei desideri. Della negazione di sogni e bisogni. Continueremo a
narrarci con i nostri pink block, colorando di rosa il parlamento e le
strade, regalando pacchettini sicurezza natalizi come faranno questa
domenica le Vagine Volanti. Non smetteremo e in ogni caso nessun
rimorso!
 

Ecco la sintesi dell’udienza con sentenza su Supporto Legale.


SINTESI UDIENZA SENTENZA PROCESSO AI 25

Il tribunale composto da Devoto, Gatti e Realini ha emesso oggi la
sentenza per il processo contro 25 manifestanti per i fatti del g8.

Di 25 manifestanti, una sola è l’assoluzione.
14 manifestanti
sono stati condannati per danneggiamento per i fatti di via tolemaide:
le pene partono da 5 mesi e arrivano a 2 anni e 6 mesi (solo uno è
stato condannato a 5 anni per lesioni all’autista del defender Filippo
Cavataio). Per loro il reato di devastazione e saccheggio è stato
derubricato, e la resistenza alla carica dei carabinieri è stata
scriminata come reazione ad atto arbitrario e di conseguenza non
costituisce reato (in pratica la reazione alla carica dei carabinieri è stata considerata
legittima, solo per tre imputati, ma non i danneggiamenti successivi).

10 manifestanti sono stati condannati per devastazione e saccheggio
per i fatti del cosiddetto blocco nero: le pene vanno da 6 anni a 11
anni. Per 4 di loro sono stati chiesti anche 3 anni di libertà vigilata
e interdizione permanente dai pubblici uffici (ovvero dopo aver
scontato la pena dovranno scontare anche 3 anni di libertà vigilata).

Per il capitano Antonio Bruno, il tenente Paolo Faedda, il Primo
Dirigente Angelo Gaggiano, il Primo Dirigente Mario Mondelli è stata
chiesta la trasmissione degli atti per falsa testimonianza.

A parte il pagamento delle spese processuali e di alcune limitate
provisionali, i danni patrimoniali sono stati lasciati a un successivo
giudizio civile. La beffa finale è che in ogni caso sempre in sede
civile saranno da determinare e pagare i danni non patrimoniali – anche
noti come danni di immagine – alla Presidenza del Consiglio (e questi
dovranno pagarli tutti i 24 condannati o quasi).

In pratica la tesi per cui a offendere l’immagine dell’Italia sono stati i manifestanti è stata accolta.

********** 

Ed ecco il Comunicato di Supporto Legale:

IN OGNI CASO NESSUN RIMORSO

SUPPORTOLEGALE.ORG – COMUNICATO STAMPA
IN OGNI CASO NESSUN RIMORSO

La sentenza del processo contro 25 manifestanti per gli scontri
avvenuti durante le proteste contro il g8 a Genova, ha deciso qual è il
prezzo che si deve pagare per esprimere le proprie idee e per opporsi
allo stato di cose presenti: 110 anni di carcere. Il tribunale del
presidente Devoto e dei giudici a latere Gatti e Realini, non ha avuto
il coraggio di opporsi alla feroce ricostruzione della storia
collettiva ad uso del potere che i pm Andrea Canciani e Anna Canepa gli
ha richiesto di avvallare.

Anzi, ha fatto di peggio. Ha scelto di sentenziare che c’è un modo
buono per esprimere il proprio dissenso e un modo cattivo, che ci sono
forme compatibili di protesta e forme che vanno punite alla stregua di
un reato di guerra. Per completare l’opera ha anche fornito una
consolazione a fine processo per i difensori e gli "onesti cittadini",
chiedendo la trasmissione degli atti per le false testimonianze di due
carabinieri e due poliziotti, un contentino con cui non si allevia il
peso della sentenza e il cui senso di carità a noi non interessa.

Il tribunale di Genova ha scelto di assecondare tutte quelle forze
politiche, tutti quei benpensanti, tutti quegli avvocati, che –
coscientemente – speravano che pochi, ancora meno dei 25 imputati,
fossero condannati per poter tirare un sospiro di sollievo, per poter
sapere dove puntare il proprio dito grondante morale e coscienza
sporca. L’uso del reato di devastazione e saccheggio per condannare
fatti avvenuti durante una manifestazione politica apre la strada a
un’operazione pericolosa, che vorrebbe vedere le persone supine alle
scelte di chi governa, inermi di fronte ai soprusi quotidiani di un
sistema in piena emergenza democratica, prima ancora che economica.
Nessuno di coloro che era a Genova nel 2001 e che ha costruito carriere
sulle parole d’ordine di Genova, salvo poi tradirle con ogni voto e
mezzo necessario, ha voluto schierarsi contro questa operazione assurda
e strumentale: nessuno, o quasi, in tutto l’arco del centro sinistra al
governo ha saputo dire che a Genova, tra coloro i quali oggi sono stati
condannati ad anni di galera, avrebbe dovuto esserci tutti quanti hanno
partecipato a quelle giornate.

La stessa cosa è stata portata avanti anche da molti dei movimenti,
e molte delle persone che hanno cercato di sabotare i contenuti della
manifestazione che solo tre settimane fa, il 17 novembre, ha riempito
le strade di Genova: hanno voluto annebbiare le persone su chi fossero
coloro che si battevano per un modello di vita e di società diverso, e
chi difendeva il modello che viviamo sulla nostra pelle tutti i giorni;
hanno voluto confondere le acque, forse perché anche la loro dignità è
confusa. E allora decine di comunicati sulle possibili Commissioni
Parlamentari, sulla Verità e sulla Giustizia, e troppe poche parole su
25 persone che stavano avviandosi a diventare capri espiatori di un
potere che ha avuto paura.

Genova però non si cancella con il revisionismo a mezzo procura, né
con le pelose scelte di comodo e gli scheletri nascosti negli armadi.
Le 80.000 persone che lo scorso 17 novembre hanno sfilato per le vie di
Genova, non chiedevano una Commissione Parlamentare, bensì che 25
persone non diventassero il paravento dietro cui seppellire un
passaggio storico scomodo, che ha messo in discussione l’attuale
sistema di vita e di società. Siamo convinti che quelle 80.000 persone
ci ascoltano e non permetteranno a un’aula di tribunale di espropriare
la propria memoria e devastare le vite di 24 persone.

A maggior ragione oggi, con una sentenza che cerca di schiacciarci e
farci vergognare di quello che siamo stati e quello che abbiamo
vissuto, di dipingere quei momenti di rivolta a tinte fosche anziché
con la luce e la dignità che meriterebbero i momenti più genuini che
esprimono la volontà popolare, noi diciamo che non ripudieremo nulla,
che non chiederemo scusa di nulla, perché non c’è nulla di cui ci
pentiamo o di cui sentiamo di dover parlare in termini diversi che del
momento più alto della nostra vita politica.

Noi pensiamo che tutti coloro che erano a Genova dovrebbero gridare:
in ogni caso nessun rimorso. Nessun rimorso per le strade occupate
dalla rivolta, nessun rimorso per il terrore dei grandi asserragliati
nella zona rossa, nessun rimorso per le barricate, per le vetrine
spaccate, per le protezioni di gommapiuma, per gli scudi di plexiglas,
per i vestiti neri, per le mani bianche, per le danze pink, nessun
rimorso per la determinazione con cui abbiamo messo in discussione il
potere per alcuni giorni.

Lo abbiamo detto il giorno dopo Genova, e in tutti questi anni: la
memoria è un ingranaggio collettivo che non può essere sabotato. E per
tutto quello che Genova è stata e ha significato noi non proveremo
nessun rimorso. Oggi, come ieri e domani, ripeteremo ancora che la
Storia siamo Noi. Oggi, come ieri e domani, diremo di nuovo: in ogni
caso nessun rimorso.

SUPPORTOLEGALE
info@supportolegale.org

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