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Non si fanno più quelle belle rivoluzioni di una volta!

Questa è una provocazione! C’e’ chi scrive le scenate (come quella di Silvia Ballestra, carina, leggetela) e io scrivo le provocazioni 🙂

Lo faccio svestita. Senza tailleur e foulard da look ministeriale o aspirante tale. Senza alone accademico. Nuda e possibilmente mestruata.

Siamo in tempo di tutela di famiglie. Quelle belle, vecchio stampo, da mulino bianco. Dove non si vedono gli occhi con i lividi neri e le donne stuprate. Dove la femmina è la regina del focolare e l’uomo sempre in partenza per grandi avventure. Quella del riposo del guerriero e delle meraviglie delle uova che si schiudono dando alla luce principeschi eredi.

Si tratta di quella famiglia tutta casa e chiesa, modello austerity ma felice, con le donne che tornano a rimettere i risparmi sotto il materasso e le figlie educate a  prendersi cura degli affetti. Si tratta di un disegno preciso che richiede dedizione e tenacia, entrambe dimostrate da persone che di famiglia sanno molto poco o che hanno una bella negra dell’est a fare da badante alla prole e ai loro vecchi, a vendere affetto dopo aver lasciato i propri figli nei paesi d’origine. Siamo al tempo in cui il prurito della famiglia “normale” è venuto un po’ a tutt*. Così i bei ragionamenti tutti spesi nella direzione della conquista di diritti civili – da gestire su principi di autodeterminazione – chissà come e chissà perché si avviano verso un conformismo normalizzante.

Perché bisogna piacere per forza ai cattolici, perché non tutti gli omosessuali sono trasgressivi o realmente laici, perché ne esistono di quel tipo che emulano le famiglie simil etero vecchia maniera, dove i ruoli sono solo un po’ più alternati. Perché la differenza tra i gay e le lesbiche in attesa di riconoscimento di diritti e quell* che ambiscono solo ad un contentino mentre evitano l’espulsione dai partiti dell’attuale maggioranza e continuano a sostenere un governo insostenibile, è davvero tanta.

Così la questione dei diritti civili si è trasformata in un problema morale, a tal punto che il fascista Fini tira fuori la sua autorità per cazziare un suo seguace che ha mostrato intolleranza nei confronti degli omosessuali.

Siamo alle famiglie da film Philadelphia con genitori e parenti commossi e pienamente a supporto e litri di lacrime per una coppia composta da un avvocato sullo stile yuppies con un convivente poliziotto. Brave persone, innanzitutto. Gente che paga le tasse, che non dissente a meno che non si tratti del proprio buco del culo, che è generosa con il prossimo come lo sono le tante fatebenefratelli preoccupate per “la fame nel mondo”.

E intanto abbiamo scoperto che anche i Cecchi Paone sono omosessuali e questo fa diventare non politically correct il fatto di dare addosso ai frosci (Fini è un gran furbo). Questo fa capire anche che non è proprio detto che dentro il movimento unito per il riconoscimento delle unioni di fatto ci si ponga il problema di quale possa essere il futuro delle donne ripiazzate a forza a fare le madri di “famiglia” con tutto ciò che ne consegue.

E’ così. Me ne devo fare una ragione: non tutt* gli immigrati sono intelligenti e probabilmente la maggior parte di loro se avesse diritto al voto voterebbe a destra. Idem per omosessuali e lesbiche. Non è detto che siano di sinistra. Non è detto che non siano dispost* a mettere un crocifisso al collo e a piegare i diritti di altre persone pur di ottenere la benedizione del papa e dei fascisti.

Così vedremo arcigay e arcilesbica partecipare al family day (pare abbiano già dato l’adesione), perché anche loro sono famiglia e quindi ne vanno a parlare e manifestare proprio come i gay di destra sono arrivati a piazza farnese nella manifestazione del 10 marzo.

E mi si deve spiegare come si fa a sfilare in corteo nelle manifestazioni antifasciste e poi a stare a braccetto con chi quella cultura la produce e riproduce solo in nome di una affinità che non è neppure più di genere ma solo di banale preferenza nell'oggetto della trombata (perchè le differenze di genere sono ben altra cosa – mi hanno insegnato) o di bieco e ipocrita esercizio di tolleranza dettato dalla morale cattolica.

Io sarei curiosa di sapere se ad esempio valgono le pregiudiziali femminili. Se la scelta di aderire – certo, provocatoriamente (?) – al family day è stata fatta anche tenendo conto di serie differenze. A me ad esempio piacerebbe sapere che minchia ne pensano, non dico del MIO concetto di famiglia, ma almeno dell'aborto. Se quella cosa viene almeno considerata una pregiudiziale (come per molte altre manifestazioni e altre pregiudiziali). Che ne pensano dei diritti delle donne, lesbiche e donne, con fica biologica e non ma donne. Mi piacerebbe saperlo perchè forse queste scelte di adesione a manifestazioni istituzionali e filoistituzionali sono dettate da ragioni di stato che non contemplano davvero i diritti delle donne. Sono obbligata a pensare che a dettare le regole in queste decisioni siano uomini, gay e uomini, insomma uomini. (Ne faccio anch'io una questione di genere: il mio.) Chiedo: è così?

Oramai è così: il motivo ufficiale? Si dice che ci si unisce in ragione di una categoria di genere. Categorie di genere minoritarie e non riconosciute, ovviamente. Viene manifestata come necessaria, anzi indispensabile, l'esigenza (ma di chi?) di smorzare i toni, sacrificare un po’ di coerenza, un pizzico di laicità. Siamo all’anno zero della lotta per i diritti di gay, lesbiche, trans, bisessuali.

Accadeva anche con le donne. Quando stavano insieme per forza senza considerare le differenze. O quando ogni differenza veniva considerata come una eresia. Così le lesbiche non venivano accettate dal movimento femminista, e appresso anche le “operate” perché non erano biologicamente femmine. E’ ridiventato il principio che accomuna la Mussolini a Livia Turco, la Rosi Bindi a Anna Finocchiaro, la Melandri alla Santanchè.

Tutte fichissimamente donne e in quanto tali insieme unite per i diritti della fica. E non è un caso se l’abbattimento delle differenze viene teorizzato e messo in pratica da questa congrega di femmine ricche e per nulla rappresentative degli interessi delle loro “consorelle”. Non è un caso che ora il movimento femminista è diventato – e menomale – strapieno di differenze e che si ragioni di diversità senza elenchi di eretiche alla mano e con un intento laico alla radice di ogni ragionamento.

O almeno questo mi sembrava il livello raggiunto. Ed è attraverso le lenti di questo grado di consapevolezza che si guarda a tutti i diritti come principio alto da cui iniziare percorsi di autodeterminazione. Tenendo la laicità al primo posto, facendo attenzione ad ogni regresso, ad ogni influenza moralizzatrice, ad ogni deriva fideistica, ad ogni teoria che asserisce di combattere dogmi diventando dogma essa stessa. Facendo attenzione – per rispetto delle diversità – agli irrigidimenti identitari, alle forzature ideologiche. Perché siamo donne e per essere riconosciute tali non vogliamo passare attraverso chiese e stanze dei bottoni. Non diventiamo suore – pratica di rutelliana maniera – ne’ manichee. Non ci dimentichiamo di questo principio di base. Innanzitutto di questo.

Io non so se c’e’ un legame (possibile che tutto nell’universo sia collegato per dirla come i buddhisti?) tra queste contraddizioni (ma che sia possibile rilevarle, accidenti – che è segno di complessità e curiosità politica e umana, che ad accettare passivamente tutti gli eventi si diventa ciechi come già lo furono i comunisti di fronte alle conseguenze delle dittature rosse) e quello che succede rispetto alle questioni femminili. Voglio sperare di no. Voglio sperare che nessuno mi dica mai che io non adempio per benino ai miei compiti di cura e riproduzione della specie mentre c’e’ chi sacrificherebbe ogni cosa pur di avere diritto a farlo. Voglio sperare che l’indifferenza mostrata nei confronti di quello che sta accadendo da giorni su una questione fondamentale per me e altre come me non sia in alcun modo da mettersi in correlazione con lo spostamento a destra (dalla parte di gay misogini e fascisti come Dolce e Gabbana) del movimento per il riconoscimento E LA DIFESA dei diritti civili e di quello di certe donne filoistituzionali.

Succede che i cattolici (ciellini, molto amanti della “famigghia”, lobby sinistrorse che oramai manifestano assieme a noi) sono tutti in azione per salvare l’embrione (che oramai viene chiamato abitualmente bimbo), assisterlo nella sua dipartita, fargli un funerale di stato, seppellirlo con tutti gli onori, assisterlo, allietarlo, divertirlo addirittura. E la madre? Ha un bel cimitero dove piazzare la cellula defunta, è obbligata a fargli un funerale o a vederlo fare ad altri che come minimo la chiameranno ad alta voce “assassina”. E’ obbligata a tenersi un embrione malato perché dalle nostre parti non si può intervenire prima per correggere difetti di natura genetica (non il colore degli occhi, bensì soluzioni a malattie ereditarie gravissime), non può contare sull’efficienza dei consultori e non può sperare in aborti terapeutici senza che si urli allo scandalo e all’abominio.

A Firenze in questo periodo è accaduto di tutto. Prima c’e’ stato un “errore” che – durante un trapianto di organi – è costato la trasmissione dell’AIDS sui corpi dei trapiantati. Giù scuse, giustificazioni. Insomma hanno fatto una minchiata. Cosa che a me dimostra che lo stato della sanità italiana non risparmia proprio nessuna struttura ospedaliera. Poco tempo dopo hanno fatto un errorone nel diagnosticare un problema grave ad un feto di 5 mesi. Così si è proceduto all’aborto terapeutico. Subito dopo il Movimento per la Vita ha fatto un bell’esposto (perché stanno sempre lì a vigilare quei corvi maledetti) perché in realtà c’era stato un errore nella diagnosi prenatale. Così l’aborto poteva essere evitato.

Indovinate un po’ qual’e’ la conclusione di tutta questa bella storia? Ovviamente va ritoccata la legge 194. Perché se gli ospedali fanno cagare e i medici non sono affidabili la colpa è sempre delle donne. Quindi bisogna essenzialmente impedire loro di farsi fare diagnosi prenatali oltre un certo periodo (secondo loro si potrebbero fare addirittura prima del manifestarsi di alcuni sintomi con assoluta inutilità dell’esame) e limitare i casi in cui si può ricorrere alla interruzione di gravidanza terapeutica.

Riassumiamo: secondo la legge sulla Procreazione Medicalmente Assistita l’embrione è una vita e ha quasi più diritti della donna. Secondo il regolamento funerario lombardo l’embrione abortito DEVE essere sepolto. Secondo la legge 194 i medici possono essere obiettori di coscienza (però bisognerebbe assicurare comunque il servizio se non c’e’ nessuno a espletarlo, pur di non mettere in pericolo di vita la donna – questo in realtà non succede. E qui altrochè monitoraggio.

Ci vorrebbe una organizzazione attenta a osservare e denunciare tutto quello che succede). Secondo le nuove teorie se un medico sbaglia la diagnosi prenatale non si provvede correggendo il tiro sui problemi della sanità e del suo personale, no. Il problema si risolve rimuovendo la questione e approfittando di questo per tirare pietre in faccia e sulla pancia alle donne. Come dire che se un cardiologo sbaglia l’esame al cuore per un paziente che di conseguenza muore allora si decide che il cuore non si tocca più e che chi soffre di malattie cardiache non potrà più accedere a nessun esame preliminare per salvarsi la vita.

Come se i testimoni di geova approfittassero della schifezza che è successa con la trasmissione di AIDS tramite trapianto di organi per dire che da questo momento in poi non sono più permesse trasfusioni (il sangue infetto, ricordate?) e trapianti di nessun tipo.

Insomma: le donne non hanno diritto a vivere, autodeterminarsi, scegliersi un modello di famiglia che non contempli il dover indossare un grembiulino e il dover preparare la cenetta con i fiorellini in mezzo al tavolo su un bel centrino di pizzo della nonna lavorato all’uncinetto, non possono avere dei figli in procreazione medicalmente assistita se lo desiderano e non sono regolarmente sposate, abortire se scelgono di non avere un figlio o scelgono di non averlo gravemente malato, moribondo, con problemi i cui costi sarebbero sempre a carico di questa benedetta madre che di braccia continua ad averne due e che di soldi ne ha pure meno. Le donne – ai vescovi e cardinali piacendo – non possono, come tutt* gli altri italiani, neppure morire quando e come vogliono.

Perché se ti fai fuori, in paradiso non c'e' posto per te e se chiedi a qualcun altro di mettere fine alla tua orribile esistenza rischi di vederlo condannato per omicidio. Dove sta la nostra libertà di scelta? Dov’e’ la nostra autodeterminazione? Nell’allisciare e fare pompini a potenti e cattolici per essere accettate? Nel manifestare dissenso solo se subiamo stupri evidenti, quelli con i lividi che si vedono? Se non vediamo lividi pensiamo che il problema non ci sia? Quand’e’ che ci porremo seriamente il problema che le donne che oltrepassano le porte dei luoghi istituzionali diventano moderate, maschili, magari se stesse, diverse (e non dico nemiche perché non vorrò mai applicare quel concetto militaristico e maschilista)? Quando la smetteremo di sacrificare ogni grammo di dignità per le briciole?

Studiando la storia ho imparato che serve un momento di rottura, di lotta tutt’altro che moderata per poi arrivare a posizionarsi in misure più quiete, dove il compromesso tra le parti diventa meno svantaggioso, meno sbilanciato da una parte sola. Ma qui e ora: dove accidenti è stato il momento di rottura? La manifestazione di Usciamo dal Silenzio? Non scherziamo vi prego. E’ stata una gran bella cosa, ma non mi è sembrata tutto questo po’ po’ di rivoluzione. Allora consideriamo tali le blande manifestazioni dell’ultimo periodo per i diritti civili? E non so se sono d’accordo.

A parte la manifestazione di Facciamo Breccia e alcune belle iniziative sparse nelle città contro la violenza alle donne, per la applicazione della 194, non mi pare ci sia stato nulla che abbia rotto qualche meccanismo incancrenito o che abbia dato una spinta nella direzione di una rivoluzione, proprio così “rivoluzione” nel metodo del fare politica di certe donne e di certi uomini. C’e’ stata tutta la fase delle battaglie sulla Procreazione Medicalmente Assistita. Ma davvero riteniamo che tutto questo abbia rappresentato una rivoluzione? Un correntone che ha consumato alleanze pre campagna elettorale per le elezioni nazionali sulla pelle delle donne, sui loro corpi, che ha unito belle donne, magnifiche persone a marpionazze della politica che sapientemente facevano solo il loro mestiere: le dame di palazzo. Questo è stato rivoluzionario?

Allora perché le uniche notizie davvero innovative arrivano dal fronte di chi si occupa di biotecnologia – e non in maniera medioevale – o da quello dei diritti civili per le/i sex workers o, ancora, da quello delle donne precarie o da quello cyberfemminista o da quello post genere e queer o da quello delle donne nere d’america oppure da quelle postcoloniali che rivelano – udite udite – che le femministe bianche ricche sempre buone a fare lavare i culi dei propri cari ad altre donne più povere di loro hanno rotto le ovaie. Quelle donne lì – perché è una questione di casta, di classe, di piccioli, di denari, di colore della pelle, razza, di religione e non solo di sesso, no – che diritto hanno di chiedere e affermare e teorizzare sulla pelle di donne che non sono borghesi, non hanno casa, soldi, lavoro e neppure la libertà di scegliere che fare della propria vita senza essere giudicate, perennemente sottoposte al giudizio morale di quelle che fabbricata una teoria vogliono per forza farla indossare a tutte? Come la democrazia per Bush. Come le regole del mercato per Ford. E potrei non finire mai nel tirare fuori decine e decine di casi di egemonia culturale economica e politica applicate.

Quindi no: non è solo una questione di genere. E' una questione di differenze sociali e di genere. I poveri non sono mai stronzi? Eccome se lo sono. Non ci ho mai creduto ne' ci credo alla favola dei poveri tutt* di sinistra. Ma non credo neppure alle donne tutte meravigliose e ai movimenti per i diritti civili tutti fantastici. E' una questione di soldi, di classi sociali. Questa per me è una emergenza. Come lo è quella per i diritti civili o quella per la laicizzazione del paese. Ma le lotte per l'una non possono o non dovrebbero inficiare quelle per l'altra. E non vedere quali differenze mi dividono da alcune soggettività non fa bene a me e a nessuno. Perciò la nostra rivoluzione per ora è fatta a naso e orecchi turati, in apnea. Invece c'e' bisogno di ossigeno. Di aria pura. Comunque di aria. Le rivoluzioni in regime di maggioritario non sono mai rivoluzioni. Sono solo liete o meno liete ammucchiate. 

Insomma, per giungere ad una conclusione, dalle nostre parti: dove è mai stata la rivoluzione? Perché mai siamo al punto di essere assimilabili dalla politica dei gruppi istituzionali prima ancora di aver fatto qualche gesto di reale rottura? In cosa si distingue il movimento delle donne? E quello laico? Anticlericale? Glbt?

Sarà triste ma in questo momento la cosa più rivoluzionaria, anticlericale, laica che vedo in giro è un insieme di piccole e grandi iniziative costruite faticosamente da persone davvero meravigliose e controcorrente. L’altra cosa è la satira della Littizzetto.

Ma questa è e rimane una provocazione. Spero davvero che ci sia molto ma molto di più.

 

[e.p.] 

Tra i commenti posto un po' di rassegna stampa. 

Posted in Corpi, Fem/Activism, Omicidi sociali, Pensatoio, Precarietà.


7 Responses

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  1. FikaSicula says

    http://city.corriere.it/news/articolo.php?tipo=cronaca&id=39312&id_testata=10
    City – 21 marzo 2007
    Pillola del giorno dopo, marcia indietro
    Sulla pillola del giorno dopo, l’Asl fa marcia indietro. Non ha
    più validità, infatti, la circolare interna con cui il 6 marzo
    scorso era stata disposta la fornitura della pillola del giorno
    dopo ai consultori, agli ambulatori, ai pronto soccorso, ai
    servizi ospedalieri e ai presidi di guardia medica dell’Asl Bari.
    Nella circolare sospesa, il direttore sanitario dell’Asl,
    Giuseppe Lomardelli, aveva scritto che la “pillola di emergenza
    non può considerarsi una forma di aborto” e pertanto non si può
    giustificare “la mancata somministrazione con l’obiezione di
    coscienza”. Un passaggio, questo, che ha scatenato polemiche fra
    i medici obiettori di coscienza. La commissaria Asl Lea Cosentino
    ha preso le distanza dalla circolare, sospendendone l’efficacia:
    “É una circolare di cui non ero a conoscenza. Non si può
    obbligare tutti i ginecologi alla somministrazione. Non deve
    essere un obbligo, ma una facoltà”. Ansa

    —-
    qui dice che è la regione ad aver dato lo stop alla distribuzione
    della pillola del giorno dopo. ma non c’era nichi vendola come
    presidente della regione pugliese?
    http://www.barilive.it/news/news.asp?RelatedID=3749
    http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_dallapuglia_NOTIZIA_PROV_01.asp?IDNotizia=175225&IDCategoria=11
    http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local/Pillola-del-giorno-dopo-un-boom/1543932/6

    qui c’e’ un bell’esempio di comunicato di azione giovani contro
    l’uso della pillola del giorno dopo.
    http://www.coratolive.it/News/news.asp?RelatedID=4393

    —-

    http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=165348

    Abortisce, ma il feto nasce vivo

    di Redazione – mercoledì 21 marzo 2007, 07:00
    da Bari

    Hanno eseguito l’aborto, ma il feto è rimasto vivo: gli
    specialisti sono subito intervenuti, ma non hanno potuto far
    nulla per salvare il piccolo. È accaduto al Policlinico di Bari,
    da dove adesso parte la richiesta di abbassare da 24 a 22
    settimane il limite massimo per l’aborto terapeutico.
    Il caso si è verificato alcuni giorni fa nel più grande ospedale
    di Puglia, il secondo del Mezzogiorno. La madre del bambino aveva
    deciso di rinunciare al figlio dopo l’indicazione di uno
    psichiatra che le aveva sconsigliato il parto. L’intervento è
    stato effettuato dopo ventidue settimane e tre giorni di
    gestazione. Il feto è stato diviso dal cordone ombelicale: è nato
    vivo, ma «non era vitale», precisano dall’ospedale. Il corpo e
    gli organi interni non si erano sviluppati. I ginecologi e il
    medico neonatale sono subito intervenuti con tutte le terapie
    necessarie: lo hanno intubato, gli hanno somministrato i farmaci
    necessari, hanno fatto di tutto per salvarlo.
    Ma è stato inutile. Il bambino non ce l’ha fatta, è morto poche
    ore dopo. E adesso, al Policlinico, a breve potrebbe costituirsi
    un comitato di medici per chiedere provvedimenti alla direzione
    sanitaria in modo che venga abbassato il limite delle 24
    settimane. L’ipotesi è quella di un codice di
    autoregolamentazione. Intanto, proprio ieri l’assessorato
    regionale alla Sanità ha sospeso l’efficacia di una circolare
    interna della Asl di Bari che disponeva la fornitura della
    «pillola del giorno dopo» a consultori e ambulatori. Quella
    circolare firmata il 6 marzo ha scatenato una serie di polemiche,
    spaccando anche i dirigenti della terza Asl più grande d’Italia,
    in quanto nel documento tra l’altro c’è scritto che «non è
    pensabile giustificare la mancata somministrazione con l’obiezione
    di coscienza essendo questa ultima riservata dalla legge 194/78
    alle procedure direttamente legate all’intervento per la
    interruzione di gravidanza».

    —-

    sempre sull’aborto terapeutico

    http://www.corrieredelmezzogiorno.info/root_sito/pagine/dettaglioarticolo.php?id=3393

    —-

    sull’aborto terapeutico fatto per errore a firenze – careggi (gli
    hanno dato un nome: tommaso)

    http://www.zenit.org/italian/visualizza.php?sid=11085

    questo è carino e illuminante perchè dice che il segreto, la
    privacy rispetto all’aborto della donna èp stato violato a mezzo
    stampa dall’espresso. ma le donne che abortiscono non dovrebbero
    essere tutelate dal segreto professionale?

    http://www.ladyradio.it/Web/ladyradio/news_det.asp?ID=7869

    —-

    qui è un uomo della cgil a incazzarsi con la chiesa per il nuovo
    invito all’obiezione di coscienza rispetto all’aborto

    http://www.online-news.it/default.php?page=show&articolo=2236&argomento=Sanit%C3%A0

  2. FikaSicula says

    E’ vero notears.
    concordo e sottoscrivo anch’io quello che dici.
    Ci voglioni irresponsabili ma con sensi di colpa e quindi propensi al pentimento e alla redenzione.
    Che miseria!

  3. notears says

    >> le femministe bianche ricche sempre buone a fare lavare i culi dei propri cari da altre donne più povere di loro.

    se è questo il nucleo di tutta la storia, concordo e sottoscrivo. ma il tutto va ben al di là delle questioni di genere: perchè i culi vanno lavati comunque, e quindi non è per il mondo dei lavaculi automatici, né per quello senza culi o senza merda.
    è per il mondo dell’autosufficienza e della responsabilità, quantomai lontanissima, conditio sine qua non della reciprocità.
    da lì in poi, dalla disciplina (ché di questo si tratta) diritti a tutti. ma le forze dominanti ci vogliono proprio così – irresponsabili. o, meglio, addestrati ad ambire alla possibilità della servitù, del tacito supporto di altri, inferiori per statuto.

  4. FikaSicula says

    http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?
    ID_blog=124&ID_articolo=25&ID_sezione=274&sezione=

    _________________________
    A Como un cimitero per embrioni
    I feti
    potranno essere sepolti anche contro la volontà dei genitori
    FLAVIA
    AMABILE
    La Regione Lombardia ha eliminato il limite delle venti
    settimane per la sepoltura degli embrioni da interruzioni di
    gravidanza. E il consiglio comunale di Como ha dato immediatamente il
    via libera a un cimitero dove la sepoltura potrà avvenire anche senza
    l’accordo dei genitori in linea con quanto previsto dalla Regione. Se
    la madre non volesse provvedere, se ne occuperà l’ospedale. I genitori
    avranno il diritto di chiedere un funerale e una lapide. La zona è
    stata già individuata, tra breve sarà operativa. Il presidente del
    Centro Aiuto alla Vita di Como, Pietro Tettamanti oltre a rallegrarsi
    perché ‘tutti gli individui hanno diritto a una degna sepoltura’ ma
    anche perché ‘l’area dedicata ai feti possa servire come richiamo e
    come monito a tutti noi’.

  5. FikaSicula says

    Dopo i casi dei bambini rianimati a Firenze e Roma
    Veronesi: aborto terapeutico, tempi minori

    L’intervento dello scienziato in seguito alle polemiche: la legge fissi un
    limite massimo alla ventiduesima settimana

    MILANO < Due settimane in meno per l'aborto terapeutico e reintroduzione
    della diagnosi preimpianto per quelle coppie che già sanno di avere figli
    con malattie ereditarie, come la talassemia. In sintesi è questa la proposta
    di modifica della legge 194, quella che ha introdotto l’interruzione di
    gravidanza in Italia, avanzata da Umberto Veronesi, direttore scientifico
    dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo), ex ministro della Sanità,
    scienziato di fama internazionale. Spiega: «Penso che sia ragionevole
    fissare come limite massimo per il cosiddetto aborto terapeutico la
    ventiduesima settimana di gravidanza, invece della ventiquattresima, soglia
    definita attualmente dall’abituale pratica clinica. Ed è auspicabile che la
    legge 194 si esprima in questo senso con correzioni ad hoc».
    L’oncologo Umberto Veronesi (Ansa)
    IL DIBATTITO < Veronesi riaccende così il dibattito innescato dal caso del
    bimbo sopravvissuto a un aborto terapeutico praticato all’ospedale Careggi
    di Firenze e poi morto nonostante gli sforzi dei medici per tenerlo in vita.
    «Nel caso in questione < sottolinea < c'è stato un errore diagnostico. Non
    si capisce come possa essere successo, anche se, da che mondo è mondo, gli
    errori si verificano purtroppo anche in medicina. Penso comunque che nel
    praticare l’aborto dopo la ventiduesima settimana di gestazione qualche
    rischio ci sia. Il bimbo, infatti, può sopravvivere e c’è l’obbligo medico
    di rianimarlo nonostante l’altissima probabilità di malformazioni
    permanenti».
    Veronesi ha parlato del caso Careggi durante una pausa della presentazione,
    a Milano, del libro sugli Ogm: «Che cosa sono gli organismi geneticamente
    modificati. Dagli alimenti transgenici alle staminali: le ricerche
    scientifiche a favore della vita», edito da Sperling Kupfer e firmato da
    Veronesi insieme alla genetista dell’università degli Studi milanese, Chiara
    Tonelli. Tornando alla 194, Veronesi aggiunge: «Come sempre la legge detta
    le linee generali di comportamento. All’interno di ogni struttura sanitaria
    ci si regola poi al meglio, ma ritengo possibile che la 194 si esprima
    fissando un limite troppo preciso. Così come accaduto con la legge 40 sulla
    fecondazione assistita. Troppi paletti. Per esempio, quello alla diagnosi
    preimpianto».
    Entrando nel merito? «Attualmente < risponde lo scienziato < l'articolo 4
    della legge 40 riserva il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente
    assistita solo a i casi di sterilità e infertilità. E con ciò esclude le
    possibilità di ricorso per le coppie che sono fertili, ma che, essendo
    portatrici (uno o entrambi i partner) di malattie genetiche, potrebbero
    trovare nella procreazione assistita la speranza di mettere al mondo un
    figlio sano tramite la diagnosi preimpianto».

    EUGENETICA < Con la diagnosi preimpianto si prelevano dalla donna (dopo
    stimolazione ormonale) un certo numero di uova mature, che vengono poste in
    provetta e fecondate con il seme del partner: ottenuti gli embrioni ai
    primissimi stadi se ne fa l’analisi genetica che permette di individuare
    quelli che non presentano la malattia. Gli embrioni selezionati, senza
    l’alterazione genetica, vengono poi introdotti nell’utero. «E’ un
    avanzamento scientifico e civile», sottolinea Veronesi.
    Ma la Chiesa condanna l’eugenetismo. E la stessa legge 40 sbarra la strada
    alla diagnosi preimpianto anche con l’articolo 13, in cui si dice che «è
    fatto divieto di ogni forma di selezione degli embrioni a scopo eugenetico».
    Replica Veronesi: «I genetisti non sono interessati all’eugenetica: vogliono
    permettere a una coppia, minacciata da una malattia genetica nella loro
    discendenza, di poter avere un figlio sano. Non mi sembra eugenetismo
    evitare una malattia che è una condanna a morte ed evitare un aborto alla
    madre, che è devastante sempre e comunque».
    Mario Pappagallo
    14 marzo 2007

  6. FikaSicula says

    (9 marzo, 2007) Corriere della Sera
    la Proposta
    «La scienza è andata avanti E’ arrivato il momento di rivedere i tempi della
    194»

    MILANO – «Non bisogna avere paura di discutere la legge 194 sull’ aborto,
    contiene delle ambiguità che vanno chiarite e superate. Il caso di Careggi è
    una dimostrazione. E il dibattito non va lasciato cadere». A chiedere di
    mettere mano alla legge sull’ aborto è il ginecologo torinese Silvio Viale,
    che si sta battendo anche per l’ introduzione in Italia della pillola
    abortiva: «Come Rosa nel Pugno abbiamo presentato un progetto di legge per
    la revisione della 194 – spiega -. Non certo per limitare il diritto di una
    donna ad abortire, ma è sulle modalità tecniche che bisogna intervenire.
    Spiego. La legge ha come limite generico “la possibilità di vita autonoma
    del feto”, una definizione poco utile oggi, considerata l’ evoluzione della
    medicina e delle tecniche di rianimazione neonatale. Questo limite, di
    fatto, si sposta sempre più indietro. Prima si facevano gli aborti
    terapeutici fino alla venticinquesima settimana, oggi molti si fermano alla
    ventitreesima ma anche prima, dipende dagli ospedali. Va affrontato con
    urgenza il tema dell’ accanimento terapeutico sui grandi prematuri, che si
    tratti di aborti spontanei o di interruzioni di gravidanza». Nel caso di
    Firenze, per esempio, secondo Viale «non c’ era l’ obbligo assoluto di
    intervenire con la rianimazione, vanno valutate le condizioni di vitalità
    del feto». La letteratura scientifica dice che il tasso di sopravvivenza a
    22 settimane di gestazione è uguale a zero, i casi sono così rari che siamo
    nell’ ordine dell 0,01, e spesso ci sono gravi danni cerebrali. Molti
    neonatologi chiamano questi prematuri-immaturi «i figli delle macchine».
    Allora può essere considerato accanimento terapeutico la decisione di
    tentare la rianimazione? Qual è l’ orientamento dei neonatologi? «La zona
    del buio è la ventiduesima, dalla 23 alla 24 è una zona grigia, dopo la 24ma
    di solito si rianima – spiega GianPaolo Donzelli, primario di neonatologia
    al Meyer di Firenze e coordinatore di un gruppo di studio europeo per
    scrivere le linee guida su questo tema -. Davanti a un bambino che nasce
    vivo a 22 settimane si può scegliere quella che noi chiamiamo “assistenza
    confortevole” oppure la “terapia invasiva”. Un panno caldo e qualche goccia
    di zucchero. Oppure intubazione e ventilatore». Quale delle due terapie è
    giusto dare a un bambino che nasce estremamente prematuro e che potrebbe
    sopravvivere sì, ma magari soltanto per pochi giorni o con gravi
    malformazioni? «Il mondo scientifico, sulla base di studi importanti che
    danno a zero la possibilità di sopravvivenza a 22 settimane è orientato a
    percorrere la prima via ed evitare le pratiche invasive. Ma è anche giusto
    valutare caso per caso». Il neonatologo del Careggi venerdì scorso davanti a
    quel feto sopravvissuto all’ aborto ha fatto la sua valutazione, per lui
    quel bambino aveva speranze e ha deciso di intubarlo. Altri, forse, al posto
    suo non l’ avrebbero fatto. «Niente cure intensive per il neonato di 22-23
    settimane», è scritto in un documento prodotto dalle società nazionali di
    pediatri, neonatologi, ostetrici, medici legali, gli ordini dei medici,
    membri delle commissioni di bioetica, riuniti lo scorso anno proprio a
    Firenze. «I medici si sono pronunciati ufficialmente, per la prima volta, su
    un dilemma reso sempre più lancinante dai progressi delle tecniche di
    terapia intensiva neonatale» – ha sottolineato l’ assessore al diritto alla
    salute della Toscana, Enrico Rossi. La commissione di Bioetica sta
    esaminando questo Carta di Firenze, un lodevole (il primo) tentativo di
    scrivere linee guida sull’ accanimento terapeutico sui prematuri. Il ritardo
    è evidente, visti i riflessi anche sulla nostra legge sull’ aborto. Un
    medico oggi autorizza un aborto terapeutico (quello volontario è fino a 90
    giorni) fino a quando il feto è così prematuro da non poter sopravvivere. Di
    fatto mai oltre la 24esima settimana. Il problema è che questo confine si
    sposta continuamente, una volta avevano speranza soltanto i «settimini»,
    oggi si tenta di salvare anche bambini di 300 grammi, prematuri e immaturi.
    «Va valutato l’ accanimento terapeutico nel voler rianimare, a tutti i
    costi, un feto la cui possibilità di sopravvivere è bassissima – sostiene
    anche Claudio Giorlandino, presidente della Società Italiana di Diagnosi
    Prenatale e Medicina Materno Fetale -. Certamente in altri Paesi, nord
    europei per esempio, a 22 settimane non si rianima a meno che il feto non
    presenti segni di assoluto benessere. La qualità della vita nei prematuri è
    bassa. I danni cerebrali da prematurità, come le emorragie cerebrali, sono
    frequenti e di conseguenza i danni neurologici». Altro punto è a chi tocca
    la decisione: al neonatologo? Ai genitori? A entrambi? Il consenso
    introdotto al San Camillo di Roma può essere una soluzione? Secondo Donzelli
    «andrebbe adottato subito in tutti gli ospedali». * * * La legge I CASI
    Secondo la legge 194, superato il limite dei 90 giorni l’ interruzione
    volontaria della gravidanza può essere praticata in due casi: se la
    gravidanza o il parto comportano un grave pericolo di vita per la donna o se
    vengono accertati processi patologici (tra cui anomalie o malformazioni del
    nascituro) tali da mettere gravemente in pericolo la salute fisica o mentale
    della donna IL LIMITE La legge 194 non stabilisce un limite oltre il quale
    l’ aborto terapeutico non è più consentito, ma specifica che, nel caso
    sussista la possibilità di «vita autonoma» del feto, si può praticare solo
    nel caso di rischio di vita per la donna * * * 2,6% La percentuale degli
    aborti terapeutici sul totale degli aborti * * * 2.449 Gli aborti
    terapeutici in Italia nel 2004, su un totale di 138.123
    Cavadini Federica

  7. FikaSicula says

    Da Repubblica ed. locale di Bologna dell’11 marzo

    Ieri le esequie del bimbo morto a 17 settimane per aborto volontario
    Don Benzi, funerale al non nato

    Nella parrocchia di Sant´Antonio di Padova si è svolto il funerale di Maria Salvatore, morto a 17 settimane dal concepimento per un aborto volontario il 9 febbraio. Il rito è stato celebrato da don Oreste Benzi, responsabile dell´associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che ne ha dato notizia. «M. Salvatore è stato ucciso in un ospedale, luogo per definizione destinato a promuovere e difendere la vita umana. A lui è stato negato il diritto di nascere – ha commentato l´associazione – tuttavia la madre prima dell´intervento ha richiesto che al piccolo venisse assicurata una sepoltura, e ha incaricato i membri dell´associazione di farsi carico dell´organizzazione della cerimonia. Maria Salvatore ha avuto un funerale in tutto uguale a quello dei bambini già nati. E´ stato un momento molto intenso ma anche di gioia, perché la fede ci dice che questi bambini sono ora già nella luce e nella gioia del padre della vita». Nell´omelia don Benzi ha sottolineato che Maria Salvatore «è pienamente un martire, testimone del valore della vita: infatti ha lottato a lungo contro tutti i tentativi di farlo abortire, al punto che prima dell´intervento decisivo i medici avevano tentato di eliminarlo per cinque volte senza riuscirci». Il sacerdote ha invitato tutti i genitori che hanno vissuto l´esperienza dell´aborto ad «avere fiducia nella misericordia di Dio, che è più grande del nostro peccato». Don Oreste ha detto, facendo riferimento all´episodio del bimbo abortito al Careggi di Firenze, che «la nostra società è una società degenere, perché finge di preoccuparsi dei malati e dei disabili, ma fa di tutto per ucciderli prima che nascano»