Skip to content


Cartografie resistenti: raccontare la città e la complessità

Come si racconta una città? Con le parole,  con i disegni, con le relazioni, con le  esperienze che coinvolgono corpi e sensi.  Con le psicogeografie. Una città raccontata è anche passata minuziosamente al setaccio ed è lì che si  vede cosa rimane impigliato e cosa no.  Luoghi, persone, forme di dissenso, conflitti,  poteri.

Diventa una indagine che studia la  complessità a partire da uno schema che  parte da un punto – mettiamo che sia una strada, un quartiere – che poi si amplia a raggiera per alimentare o farsi alimentare da altri punti in una rete di nomi, fatti e cose ai quali non si permette di essere letti in forma isolata. Tutto deriva da, tutto dipende da, tutto confina con, tutto porta a qualcos'altro.

Nulla esiste come fatto isolato, come momento a se'. Per ogni cosa le responsabilità e i meriti scorrono lievi da un segno all'altro, perdendo di intensità man mano che si allontanano dal luogo di partenza, sviluppando nuove strategie per attraversare ogni confine che incontrano. Ma i meriti o la responsabilità restano. La linea che unisce quei punti c'e' tutta. Non si interrompe.

E mentre c'e' chi insiste nella frammentazione, nella presentazione di pezzi di realtà al centimetro, c'e' invece chi costruisce progetti complicati per leggerla o provare a leggerla tutta intera. C'e' chi ridisegna i confini della vita vissuta, così come un tempo furono realizzate le carte per descrivere la vastità del nostro pianeta, e lo fa attraverso uno strumento vecchio ma anche nuovo: la mappa. 

Cartografie resistenti questa cosa la fa utilizzando la tecnologia. Non solo: E' una tecnologia che utilizza sistemi di partecipazione collettiva (Twiki) di cui altri meglio di me sicuramente possono e sanno parlare. La questione che ci riguarda è però che uno strumento del genere può davvero permettere di dare uno sguardo – anche distratto per chi non ha tempo – ad una città (come in questo caso) guardandola per insiemi, per reti di affinità, per armonie e disarmonie, per luoghi liberati ed altri ancora prevaricati. Tutto condito da una filosofia di base che è certamente di parte, ma che già si piglia l'onere di tessere complessità dove altri invece stabiliscono limiti deleteri e parcellizzazione delle verità.

Di tutta la parte spiegata e condivisa al workshop che ieri i/le cartograf* resistenti hanno proposto all'Asilo Occupato, mi hanno entusiasmato l'intelligenza, il ragionamento, la generosità e la genialità del produrre o riadattare, modificare programmi, software per darsi/dare risposte ad una esigenza collettiva, per tessere un mosaico che non è fatto di guadagni e spesso neppure di gloria e gratificazioni personali. 

E' la stessa generosità che si legge in molti altri progetti di cui spesso l'unica parte che si conosce è l'interfaccia grafica di un sito. Autistici/Inventati, che ospita anche questo blog, per dirne uno. Ma ce ne sarebbero molti altri, che non censisco per ora perchè vale la pena farlo per bene, senza far torto a nessuno, rispetto ai quali nutro la stessa complessa – perchè fatta di conflitti e amore incondizionato allo stesso tempo – inevitabile ammirazione. Così affascinata e sedotta volgo al termine di questo mio report semiserio – mentre muovo il corpo al ritmo della musica marocchina di marocco dell'Orchestre National de Barbes, uguale spiccicata a quella di Enzo Avitabile tranne per le lingue – sulle fascinazioni e le passioni civili.

Al workshop io c'ero come inviata speciale di un gruppo di donne meravigliose che fanno parte del Centro Documentazione Carlo Giuliani con le quali abbiamo tanto discusso di mappe dei corpi, della città attraverso i corpi, attraverso i sensi, per segnare anche da un punto di vista di genere i luoghi di ostilità e quelli non ostili. Pezzi di complessità da inserire tra altre complessità. Da sommare, fare insieme, condividere. Ispirate e complici anche di progetti come quello portato avanti dalle meravigliose Sexyshock e da chi ha organizzato il festival Cartografie in Erba. Tremo pensando a quando mi fermerò a spiegare alle mie compagne di percorso come inserire un testo o una immagine nel bel mezzo della mappatura. Magari un altro workshop (tra qualche mese) aiuterebbe 🙂

E infine un annuncio: l'indagine/mappa dei consultori delle Vagine Volanti è finalmente online. Assistere ieri durante il workshop all'upload dei materiali, con tutto il carico di ansia, di suspence (perchè quella foto proprio non veniva su) che abbiamo condiviso è stato emozionante come se avessi assistito ad un lungo e laborioso parto.

Il figliolo o la figliola (cyber/queer per forza di cose) dat* alla luce si chiama ConsultiAmoci ed è una utilissima guida dei consultori radiografati dagli occhi, dalle camminate e dalle ore di anticamera delle Vagine. Ne esce fuori un quadro effettivamente imprevedibile e tristissimo se si pensa che si tratta di sanità pubblica toscana, compagnona e tanto ma tanto sedicente laica.

I consultori sono pieni zeppi di obiettori di coscienza, di gente che non sa o non avrebbe problemi a dividere la scrivania con quell* del movimento per la vita e vi sono solo alcune fasce orarie precise – segnate su ConsultiAmoci – durante le quali si trova qualcuno disponibile per parlare di interruzioni di gravidanza o anche solo per prescrivere la pillola del giorno dopo. Per gli ospedali in cui si realizza l'intervento di interruzione il quadro è ancora più deprimente.

La cosa grave è che negli ultimi anni siamo passati dall'uso del verbo "prevenire" a "disincentivare". Riepilogando: chi ha la responsabilità degli aborti fatti a pagamento negli ambulatori privati? Chi promuove e incoraggia il business degli aborti con residui di placenta nel corpo, con emorraggie non tamponate, con morti taciute? Chi ha deciso che può abortire solo chi ha i soldi? Di chi è la responsabilità di quei bambini lasciati tra l'immondizia per i quali facciamo a gara a sprecare lacrime e commozione?

Vi lascio con l'entusiasmo per uno splendido progetto, per una bella e necessaria indagine  e l'amarezza per domande alle quali nessuno vorrà dare risposte serie. Anzi no, vi lascio con il sapore del pane buonissimo, fatto in casa, con le cipolle o non so che altro, accompagnato da verdurine e humus, che ho mangiato all'Asilo Occupato dopo workshop. 😉

[e.p.]

Posted in Corpi, Fem/Activism, Pensatoio, Sensi.


One Response

Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.

  1. Pralina says

    Ciao Enza, sfiga marcia un virus mi ha distrutto mezzo archivio del pc, tutti gli indirizzi, la casella e-mail, ora devo rifarmi l’indirizzo e-mail o ripristinarlo. Era solo per dirtelo, per evitare che nel frattempo mi mandi qualcosa alla mia posta elettronica: non c’è più. Sfiga marcia sono incazzata… anche se lo so c’è di peggio al mondo… rimane fortunatamente il blog, si può commentare sotto i miei post o mandarmi un messaggio privato, per chi non è iscritto a Splinder si può usare il Guestbook… 😐

    Bacissimi tesoro!!!!