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L’Affaire Maschile Plurale e il ruolo della Libreria delle donne di Milano

Care della Libreria delle Donne di Milano, come saprete sono intervenuta a proposito dell’affaire Maschile Plurale che vi ha viste protagoniste e schierate fin dal momento in cui avete deciso di fornire una sede in cui si celebrasse una assemblea dal vago sentore tribunalizio. Dubito che quando Marco Deriu parlava di corpi a confronto si riferisse al fatto di dare corpo alla grottesca rappresentazione inquisitoria che è andata in scena su facebook. Però nella vostra sede, da quel che ho avuto modo di leggere, si sono materializzate entità virtuali fino a quel momento sconosciute nel mondo femminista, per ribadire quanto avevano già scritto e ottenendo in premio una sorta di benedizione in pectore da parte di uno dei punti di riferimento femministi in Italia.

Ho già avuto modo di scrivere come io trovi scorretto e sovradeterminante il fatto che le sintesi, i report, e gli interventi successivi alla vostra riunione rappresentino solo una parte delle persone partecipanti. Sono interventi in cui oramai si dà per assodata la colpevolezza di una persona che credo non abbia neanche partecipato alla discussione e poi tendono in una sola direzione: definire l’inadeguatezza degli uomini quando si parla di violenza maschile a meno che quegli uomini non ammettano di portarsi dietro una colpa originaria. Questi uomini sarebbero inadeguati a meno che, anche se in presenza di una situazione complessa che andrebbe trattata in modo meno ideologico, non accettino di compiere espiazioni e pentimento pubblici per ottenere un’approvazione.

Però dagli interventi che leggo, soprattutto da quello più recente di Sara Gandini, emerge anche qualcosa di più: è come se quell’assemblea in realtà fosse una specie di rito di purificazione. Un rito e una purificazione alla quale i maschili plurali avevano il dovere di sottoporsi. C’è un che di simbolicamente mistico in questo modo di considerare le assemblee femministe. Una volta erano riunioni liberatorie tra streghe e non credo si sarebbero prestate al compimento di un processo contro un uomo e il gruppo di cui fa parte. Oggi, invece, questa assemblea “femminista” stabilisce conclusioni che sembrano ispirate ad un giustizialismo e a un atteggiamento moralista e giudicante che trova precedenti solo in aree femministe per me molto discutibili (il femminismo radicale degli Stati Uniti, per esempio) che non pensavo fossero punto di riferimento della Libreria delle Donne di Milano.

Vorrei sintetizzarvi ora alcune critiche rivolte alla Libreria che leggo su facebook e che condivido. Le critiche si riferiscono all’intervento di Sara Gandini ma più in generale alla maniera in cui è stata trattata tutta la questione.

1] Parlare di presunzione di innocenza tra femministe è diventata un’eresia. Chiamare “rivittimizzazione” il diritto alla difesa da parte di chi è accusato significa mettere fuorilegge le buone regole di un giusto processo. Chiedo: se una donna fosse stata accusata di violenza la reazione sarebbe stata la stessa?

2] L’approccio politico a questa situazione ricorda la prassi patriarcale che attua una divisione degli uomini tra tutori, patriarchi buoni, e maschi cattivi. I cattivi sarebbero tutti quelli che quando una donna accusa di violenza osano ancora oggi, pensate un po’, richiamare l’attenzione sul fatto che ci sono sempre due versioni di una storia e bisognerebbe ascoltarle entrambe.

3] Da una analisi della comunicazione messa in atto da chi sta parlando su facebook di questa storia sembrerebbe che la presunta vittima sia oggetto di strumentalizzazione da parte di chi la nomina per zittire gli avversari politici o per trovare giustificazione agli insulti che pronuncia contro chi non è d’accordo.

Riporto per intero la critica comunque emersa, scritta da una donna, e dunque non da un uomo che farebbe fatica a “entrare in conflitto” con altri uomini. Una breve premessa per sintetizzare i fatti: c’è una donna che accusa un membro di Maschile Plurale di averle fatto violenza psicologica. Non mi pare abbia presentato alcuna denuncia formale. Un gruppo di persone pretende che tutti i membri di Maschile Plurale prendano le distanze da lui, si schierino con la donna, diano per scontato che lui sia colpevole e già che sono in ballo dovranno rivedere la loro maniera di fare politica antisessista in quanto uomini perché la maniera corretta sarebbe riassumibile in questi punti:

1] La donna ha sempre ragione e con lei ha ragione l’uomo che le dà ragione. Se l’uomo non le dà ragione non è degno di parlare di donne eccetera.

2] L’uomo è sempre cattivo. L’unico modo per ottenere un briciolo di salvezza è quello di prostrarsi al cospetto di donne che dicono che le donne hanno sempre ragione.

3] La donna che non concorda con i due punti appena esposti è sicuramente un maschio, sarà pagata da maschi, ce l’ha con le donne, non potrà accedere al paradiso delle femministe.

Ecco le critiche [qui e qui] rivolte a Sara Gandini:

“Scusa Sara ma se la parola di una donna conta più di tutto e solo farsi due domande sensate significa rivittimizzarla, questo vuol dire che ogni volta che una donna denuncia non bisogna neppure sentire la versione di chi è accusato? A me pare che dietro la parola “rivittimizzazione” si nasconda un posizionamento preciso, il tuo, il vostro, che è quello di chi ha deciso, senza tenere conto della presunzione di innocenza, prima di un processo e di qualunque sentenza, che lei è una vittima e lui il carnefice. Dire, come fanno alcuni uomini di Maschile Plurale “Come possiamo giudicare se non sappiamo cosa sia vero?” o “non siamo noi a dover fare un processo” a me non sembra affatto rivittimizzare ma semplicemente spiegare che intanto fare un processo su facebook o tramite post, senza garantire una difesa a chi è un imputato, non è una scelta di buon senso e poi che l’emissione di una sentenza contro una persona che neppure partecipa alla discussione diventa solo un modo come un altro per liquidare tutta Maschile Plurale come associata ai violenti. Se siamo al punto che si considera rivittimizzazione il fatto che ci si affida a regole garantiste, che dovrebbero essere preferibili dalle femministe, direi che allora possiamo fare a meno di tribunali, polizie, e leggi che tutelano le donne vittime di violenza. Per le prossime volte suggeriamo giustizia fai da te e un po’ di gogne su facebook per ottenere risarcimento per ogni violenza? O basta un’assemblea presso la Libreria delle Donne di Milano per condannare in contumacia qualcuno?

Oltretutto hai scritto una cosa dividendo i buoni dai cattivi. I cattivi sono quelli che non danno per scontate le cose che sono state decise in assemblea. I buoni sembrano quelli che ammettono la colpa del genere maschile e pensano che le donne siano tutte vittime a prescindere da tutto. A me sembra che il femminismo ne esca piuttosto male e che si stia tornando molto indietro nel tempo, quando le donne adoravano i cavalieri che opponevano ai mostri. Mi pare un modo di sposare pienamente la cultura patriarcale, quella in cui lui lei è la donna angelo, sempre vittima, che si affida alla tutela di un cavaliere.”

 

NB: La discussione sta continuando sulla bacheca della Libreria delle Donne di Milano.

Da quella discussione prendo ulteriori critiche:

“Solo il fatto che di Ciccone si pensi male perché in Libreria non si è mostrato abbastanza pentito la dice lunga sulle aspettative che erano riversate in questa riunione. Mi pare comunque che ci sia una maniera viziata di vedere tutta questa situazione e che manchi la volontà vera di arrivare a una sintesi che comprenda tutti. Mi pare che ci sia l’ansia di escludere e creare una divisione tra buoni e cattivi e mi pare che ci sia chi usa le tue valutazioni o le analisi emerse nella Libreria semplicemente per avere uno strumento in più da opporre contro chi la pensa in modo diverso.”

Perché:

“Se si dà per scontato che ci siano dei carnefici, e una rivittimizzazione in atto, anche se tutta la discussione è fatta in assenza dell’accusato, non si tratta di “contenuti” ma di sentenze. Sentenze senza che sia stato garantito alcun diritto alla difesa. Si tratta del fatto che un gruppo di donne non ha nulla da dire sulla facilità attraverso la quale su facebook si possa rovinare la reputazione di qualcuno. Anni e anni di riflessione femminista ci sono serviti a cosa? A ottenere la gestione di una forca? La stessa forca che veniva usata dal patriarcato contro le streghe? E questa la chiamiamo emancipazione?

 

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Posted in AntiAutoritarismi, Comunicazione, Critica femminista, Pensatoio.