Skip to content


#Femminismo 3.0: donne che sbranano una donna (in nome delle donne)

Da Abbatto i Muri:

Cosa succede a una vittima di cyberbullismo? Ci sono giorni in cui ti manca l’aria. Quelli in cui arrivano le crisi di panico. Quelli in cui il cuore quasi ti si ferma. Ci sono i giorni in cui la rabbia è talmente tanta che si vomita tutto quanto o quelli in cui, al contrario, mangi per anestetizzare. Ci sono i giorni in cui tappi occhi e orecchie per non sentire e leggere più niente e altri in cui invece sei costretta a farlo perché devi documentare o perché semplicemente ti pingano, ti taggano, ti referrano, ti insultano sulla pagina della tua amica facebook per dirle di non darti confidenza, ti vengono a insultare perfino sul tuo blog, sul tuo spazio, sul tuo account twitter, sul tuo facebook, se non li caghi (e poi si lamentano perché li banni).

Ci sono i giorni in cui pensi di sentirti sotto assedio e quelli in cui semplicemente stai altrove, a farti le tue cose, la tua vita, e non importa quanti anni tu abbia, perché il desiderio di ciascuno, di ogni essere umano, è quello di socializzare. Se socialmente qualcuno attenta alla tua sorte, succede che la vita non è più la stessa e il riflesso di quegli insulti si ripercuote in tutto quello che fai, ogni giorno. Sei di malumore in casa, fuori, con le persone che ti vogliono bene. Quello che fai ti riesce meno bene e a volte fai finta che non te ne fotte niente e altre invece diventa impossibile sopportare, perché la situazione in cui ti impongono di stare è sotto, sotto, sotto tutto, piegata, rannicchiata, a prendere colpi, insulti e sputi, uno dietro l’altro, da una, due, tre, tante persone, che tirano pietre e poi ridono e si divertono del tuo malessere e più ti fanno male e ti feriscono più si danno una scusa per continuare a farlo.

Un po’ come succede quando un uomo picchia una donna, quello che dice che è colpa dell’altra, è lei che esiste, che respira, che osa vivere nonostante tutto. E’ come quando un uomo ti calpesta e se osi rialzare la testa ti dà un altro calcio in bocca per farti ricadere giù. E’ come se il tuo ex ti pedinasse, costantemente, e in ogni luogo in cui ti trovi decida di mettere un cartello per proibire a te di entrare, di parlare e dire ciò che pensi.

La vittima di cyberbullismo è quella che alcune persone vogliono fare morire socialmente. Tu lotti disperatamente per sopravvivere e loro, in maniera ostinata, continuano a frantumare ogni tua possibilità. Un po’ come fanno i bulli di un quartiere in cui domina il terrore, l’effetto di questa azione sistematica su una persona si ripercuote su tutto e tutti e quello che si vede è qualcosa di terribile, osceno, disperante perché viene meno la fiducia negli esseri umani, si comincia a diffidare della buona fede di chiunque e poi vedi gli opportunismi di chi non ha il coraggio di dire niente, e la curiosità morbosa di chi resta a godersi quel pestaggio osceno, mentre fanno a pezzi la tua vita, perché il web, in fondo, è fatto di un esercito di forcaioli e morbosi voyeur.

Perciò il problema di una vittima di cyberbullismo non sono solo le persone che la bullano, ma anche chi tace, chi non si oppone, tutte quelle persone ipocrite e vigliacche che passano giorni a emozionarsi per lo stupro in india o per il femminicidio chissà dove e poi però vedono una persona pestata a sangue virtualmente, umiliata, mortificata costantemente, e non dicono o non fanno niente. A proposito di femminismo, perché quello di cui sto parlando avviene in quel contesto e non in altro. Perciò è ancora più deprimente immaginare che le persone della tua area di riferimento, quelle che pensavi avessero un minimo di coscienza e consapevolezza di certe cose sono così cieche e sorde e prive di empatia. Restano lì, sul marciapiede, semplicemente a guardare. Qualcuno scrive messaggi privati e dice che ha paura, teme ovviamente di patire lo stesso livello di morte sociale, perciò ti rendi conto del fatto che il pestaggio a te diventa anche una intimidazione a chiunque altro. E queste persone cosa fanno? Invece che isolare chi è violent@ isolano la vittima. Non è forse quello che succede sempre?

A volte chi assiste gode del pestaggio, semplicemente perché quella tal volta lei non ti ha fatto passare un commento o perché mille anni fa ti ha bannato. C’è il risentimento dell’esclusa, di quella che non ha potuto vincere in una discussione con i suoi argomenti. C’è quello di chi voleva fare parte di qualcosa e si è sentita rifiutata. Quella che pensa, ancora oggi di dire cose sensate e non capisce perché non si dia conto di un delirio. Quella che si sente tradita e chi, ancora, semplicemente si emoziona alla vista del sangue e gode, sadicamente, del fatto che sia calpestata la dignità di una rivale politica. Perciò chi pratica cyberbullismo, in realtà, ha in giro un sacco di complici involontarie, giacché il silenzio è già complicità, e cosa dire di quelle che fanno antiviolenza, stanno vicine ai centri antiviolenza, e non proferiscono parola, non dicono mai un cazzo, forse per le stesse ragioni che ho spiegato o forse semplicemente perché si occupano d’altro e non ti vedono, neanche se tu parli con loro, non ti vedono e basta.

Quale profonda delusione può derivare a chi vive il femminismo come filosofia di vita e poi trova donne che tacciono quando altre donne sbranano virtualmente una donna? Cosa dire delle antifasciste che non hanno tempo di occuparsi di gogne e schedature della vittima e che si danno mille ragioni per tacere o per praticare fascismi assai peggiori? Come si fa a recuperare fiducia nei propri pensieri quando le persone che pensavi li condividessero con te ti trattano male per le tue opinioni? Non c’è laicità, nel femminismo italiano virtuale, perché quello che vedo è solo un femminismo bottegaio, come di chi gestisce il proprio ristorante mettendo lo scarafaggio sul piatto del ristorante concorrente per fargli andare male gli affari. Dispetti, scomuniche, insulti e poi lo spirito di autoconservazione corporativa di micropoteri e quella grande ipocrisia di chi ieri ti diceva che tu sei l’unica che ha visto giusto e il giorno dopo segue il vento e va a leccare il culo dell’accademica o degli squadristi perché anche lei, in fondo, non riesce ad accettare che su qualcosa di possa avere una opinione differente.

Quello che qualcuna dimentica è che questo movimento, così strano e complesso, è fatto di persone e le persone vivono di rivalità, rancori, competizioni e invidie e io, nel tempo, ne ho incontrate tante, anche rivali, anche invidiose, rancorose, anche competitive. Persone che si fanno film in testa su cose di cui non so niente. Gente che continua a macinare pensieri vecchi di anni e anni e su quei pensieri, ingigantiti, esagerati, talvolta completamente inventati o frutto di una percezione distorta e proiettiva delle cose, ha sedimentato odio, livore, rancore, che piove in testa a chi non ne sa proprio niente. Gente che ti ha condannato dimenticando che a chi sta in galera bisognerebbe, a un certo punto, offrire tregua e dare garanzia del rispetto per i diritti umani. Pensate che stortura e quale brutalità se perfino i condannati dovessero patire, presso l’esilio sociale in cui sono costretti, il peso del bullismo dei loro carcerieri.

La cosa che si prova quando sei vittima di cyberbullismo è anche la sensazione di non poterti muovere. Sei immobile, resti sospesa lì con loro, non puoi fare un passo avanti e uno indietro. In gabbia. In prigione. Permanentemente. E una persona in prigione ogni tanto batte la testa al muro, può compiere atti di autolesionismo, può anche pensare di suicidarsi. E poi è strano perché il fatto che tu sia in prigione viene avvertito anche dagli altri come quello che impedisce loro di continuare a socializzare con te. Non hanno voglia di tirarti fuori dalle sbarre, non hanno voglia di venirti a trovare nella tua dimensione isolata, perché in fondo, anche se le hai ascoltate, volute bene, se hai speso tempo e intelligenza per loro, di te non gliene frega niente. Sono lì a scambiarsi bacini ipocriti su facebook, cose vane, cose false e quanta falsità viene comunicata sui social media.

Cosa può fare una persona umana, che ha cuore e che pensa che i legami, anche quelli virtuali, abbiano un grande valore? Cosa puoi fare per difenderti dall’indifferenza, dal freddo, da questa montagna di bugie? Talvolta si esprime sconforto. Perché si ha bisogno, per davvero, di una conferma, di capire se là fuori c’è qualcuno che ti sente, che ti vede, che ti sostiene. Talvolta ci si rinchiude in se stessi e si fa fatica perfino a respirare. E si torna a questa esigenza di avere una giusta misura per il proprio respiro. Quanto spazio serve? Un metro? Due? Tre?

Quella di cui vi parlo è una vicenda umana, ma anche politica, perché le ragioni di un pestaggio possono essere tante e in questo caso quelle ragioni vengono costruite da chi si diverte a dire che c’è una che sarebbe pericolosa per le altre donne, perché scrive racconti che a qualcuna non piacciono e perché esprime idee diverse e perciò va più o meno abbattuta, puoi dirle quello che ti pare, puoi farle quello che ti pare. Così si celebra sul web una dimensione femminista che è squadrista, violenta, fanatica. C’è chi ti vede come un pericolo anche se tu hai paura di lei, anche se sei tu ad aver paura di loro. Paura, costante. C’è chi ti vede come una potenza, anche se sei solo una persona precarissima come tante e perciò gode nel sentirti scricchiolare. C’è chi non si ferma neanche per un attimo a pensare che quello che succede è disumano. C’è chi sfotte la tua fragilità, l’umanità, la debolezza. E qui apro una parentesi: quando un gruppo di gente “femminista” ti dà della “pazza”, “malata di mente”, da “TSO”, confermando lo stigma della follia anche se dicono di aver letto Foucault, biascicando improperi per determinare distanza tra “normali” e “anormali”, come se non avessero letto un solo rigo di letteratura antiautoritaria e femminista, mi viene in mente il fatto che questa gente di femminismo non sappia proprio niente. Quando qualcun@ coltiva complottismo addebitandoti mostruosità manipolatorie, regalando a se stess@ ancora più ragioni per individuare un mostro da abbattere, al punto da immaginare che sia perfino giusto praticare linciaggio e giustizia fai-da-te sul web, cosa ha mai capito per davvero di femminismo? Cosa?

E se oltre ad essere vittima di cyberbullismo tu sei anche lucidamente in grado di analizzare i pensieri, di prendere, per un momento, anche distanza da te stessa per analizzare dal punto di vista politico queste circostanze, quello che emerge è drammaticamente deprimente. L’immagine del femminismo che ne viene fuori è paradossale. Mi rendo conto che le insultatrici permanenti siano una piccola percentuale di donne, sicuramente meno di quanto non sono quelle che guardano e tacciono, direttamente o indirettamente complici, ma se ci sono due o tre che urlano più forte succede che le altre non si vedono. Non si vede più nessuno. Si vede solo chi insulta, per il bene delle donne, si vede chi diffama, per il bene delle donne, chi conduce crociate inquisitorie, in nome delle donne, e il femminismo sparisce. Il femminismo non c’è più. La sorellanza, la solidarietà e la comprensione tra donne, il rispetto per la libertà di scelta, l’assenza di moralismo, non c’è più. Sono giudici e giudicesse che si ergono per stabilire e confermare pene, ed eseguirle, per compensare propri risentimenti, pregiudizi e integralismi celati sotto la voce “lotta in nome delle donne”.

Io sono ancora viva, per i miei affetti, per quello in cui credo, perché sono testarda, perché non sono una adolescente. Lo sono ma non lo sono del tutto. Sono spezzata. Piegata. Massacrata. Il cyberbullismo mi ha ferita, mi ha tolto fiato, salute, opportunità, presenza, fiducia nel prossimo, fiducia in me stessa, autostima, sicurezza. Mi ha tolto la capacità di vedermi in una assemblea femminista senza pensare che dietro tante belle parole e sorrisi ci sono tanti di quei merdosi conflitti rimossi che non si può immaginare. Mi hanno tolto la capacità di esserci, pienamente, per me stessa e chi mi vuole bene. Hanno tolto me alle amiche, agli affetti, perché se resti in una prigione emotiva non hai granché da condividere. Mi resta la speranza e comunque la fiducia, e dove qualcuno vede intenti manipolatori c’è la mia incrollabile disponibilità ad ascoltare e ascoltare chi ha qualcosa da dire, incluse le persone che mi fanno stare male.

Io sono ancora viva, almeno per adesso, provo a curare queste ferite o mi affido ad altri affinché mi aiutino a farlo, e questo attiene alla mia sfera personale, ma quello che riguarda la sfera politica è anche un problema vostro. E non perché io sia il centro del mondo, ma perché se il femminismo non sa risolvere e affrontare culturalmente situazioni del genere mi chiedo a cosa cazzo serva. E io so che serve, serve a tante, ma di certo non può essere l’alibi per fare del male a qualcuno e non può essere l’idea dietro cui nascondersi per giustificare miserie, squadrismi, violenze e bassezze.

Concludo: ringrazio le persone che non mi conoscono e mi stanno comunque accanto. Quelle che non mi hanno mai vista in faccia e hanno fiducia in me. Quelle che nonostante il fango sotto il quale sono stata seppellita mi hanno comunque accolto. Quelle che hanno capito che tante mie scelte sono solo strategie difensive. Quelle che: non importa come ti chiami, ma quello che scrivi e dici mi fa stare bene e mi aiuta. Quelle che hanno goduto, nel tempo, della fragilità e umanità, la mia, che mi hanno permesso di percepire il mondo. Ringrazio chi mi comunica la propria solidarietà. Chi mi vuole bene e mi è sempre rimast@ accanto. Chi non la pensa come me e con me ha comunque uno scambio civile. Ringrazio chi mi sostiene pur da un’altra parte della barricata, perché dove si vede sempre qualcosa di sporco e brutto, a volte c’è semplicemente il fatto che si stabilisce un legame umano. Perché l’empatia, per alcun*, non dipende dal fatto che la persona con cui si empatizza la pensa come te. Senti i suoi guai, i suoi problemi, la sua sofferenza, perché li senti e basta. Perché, credetemi – e capisco che a chi vive il femminismo come una religione integralista questo non sembra plausibile – esistono persone molto diverse da me che sono a volte più umanamente solidali di quanto non possano esserlo quelle che dovrei sentire più vicine.

Questa esperienza, mi ha fatto guardare il mondo con altri occhi. Quello che mi succede mi fa vedere la vita in un altro modo. Ieri recitavo, forse, le idee, vedevo me nelle parole scritte altrove, oggi in quelle parole vedo chi le scrive e quando guardo qualcuno, prima di combattere le sue idee, vedo, nel bene e nel male, una persona. E vedere le persone, non dovrebbe essere un obiettivo politico per chiunque?

Ps: mi spiace se qualcun@ delle mie lettrici (o lettori) dovesse sentirsi disturbata da questo genere di post, ma se non gradisce che mi mostri in quanto essere umano, se vuole solo contenuti “interessanti” ma slegati dalla persona che li scrive, può sempre scegliere di leggere altro. Capisco che le violenze di cui volete leggere stanno altrove e invece eccone una, e se vi infastidisce questo racconto chiedetevi il perché. 

Leggi anche:

Cyberstalking, due pesi e due misure

Oggi il linciaggio si pratica sul web

Consenso e desiderabilità sociale del modello persecutorio

La comunicazione secondo l’armata del bene

Posted in AntiAutoritarismi, Comunicazione, Omicidi sociali, Personale/Politico, R-esistenze, Storie violente.

Tagged with , .