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Farla finita con l’idea di umanità – parte seconda

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Da Intersezioni:

Poter imporre il proprio dominio non significa essere nel giusto.

Continua da qui.

Bisogna anche liberarsi dell’idea dominante di naturalità.

Per noi è scontato essere parte della specie umana, e questo è un concetto importante, poiché rappresenta  un criterio morale: siamo nat* in quest’evidenza, ce l’hanno insegnata. Ci riconosciamo l’un l’altr* come esseri umani e sappiamo che ci sono diritti e doveri impliciti in questa nozione. Ci percepiamo come uman*, piuttosto che come animali, esseri senzienti o individui.  Ci percepiamo come individui attraverso il nostro percepirci come uman*. Siamo individui, persone, perché siamo umani. Mentre gli animali sono reificati dall’appartenenza alla loro specie, spersonalizzati, l’appartenenza alla specie umana è qualcosa che ci rende persone, individui, esseri unici. Dobbiamo sbarazzarci dell’idea della naturalità della nostra appartenenza all’umanità.

La situazione non è sempre stata questa. Ho già fatto l’esempio del Medioevo in Occidente, quando il senso di appartenenza che superava tutti gli altri era la cristianità; tra gli antichi greci, l’appartenenza fondamentale che permetteva di riconoscersi come eguali, pari, era la cittadinanza: chi non faceva parte della polis poteva essere ridott* in schiavitù. In altre culture, il gruppo di appartenenza fondamentale non è l’umanità ma il gruppo tribale, l’etnia, o un gruppo più ampio – comunque non la specie. È un processo storico e politico quello che ha portato alla situazione attuale, in cui è la specie a costituire la nostra appartenenza fondamentale.

Questo processo è sempre presentato come un fenomeno positivo. In un certo senso lo è stato, in quanto ha incluso sempre più persone nel gruppo di eguali che hanno diritto ad essere rispettat*. Allo stesso tempo, però, ha rafforzato la distinzione con i non-umani e, man mano che si allargava il gruppo dell’appartenenza fondamentale, sono aumentate le strategie per escludere alcuni gruppi dall’ avere accesso pieno all’insieme principale: le donne, i neri, non erano considerat* pienamente uman* perché erano relegat* al polo opposto all’umanità, quello della natura e dell’animalità.

Oggi quest’umanesimo fonda l’etica della nostra società su scala mondiale (perché l’umanesimo è un’ideologia praticamente universale) e non solo l’etica: anche la politica. La politica di tutti i paesi del mondo fa esplicito riferimento a quest’idea di eguaglianza, anche se certi casi sono abbastanza ambigui: penso per esempio a certi stati teocratici, nonostante anche in essi ci si rifaccia a un’idea di umanità…

Voglio dire che oggi viviamo in un mondo in cui quest’idea è centrale, imprescindibile a priori, praticamente un tabù. In Francia, per esempio, c’è una legge che punisce penalmente qualsiasi attentato alla dignità umana. Ma cos’è la dignità umana? Siamo noi che l’abbiamo creata – per punire atti razzisti e simili – ma siamo sempre noi che rischiamo di diventare estremamente repressivi se accresciamo le sue applicazioni. Infatti, la nozione di dignità umana è una nozione estendibile all’infinito ed è oggetto di dibattiti appassionati e contradditori – come quello tra cattolici e atei, o tra chi è favorevole all’aborto e chi non lo è, eccetera. In effetti avrei anche potuto intitolare il mio intervento “Farla finita con l’idea di dignità umana”, perché l’idea di umanità è l’idea di un gruppo biologico al quale spetta una dignità specifica – e dire “dignità” è in qualche modo come dire “onore”: questa parola era un sinonimo di “onore” nell’antichità, risulta perciò la versione democratica di un concetto aristocratico.

Fondamentalmente, la critica antispecista dell’idea di umanità è la critica del fatto che la nostra comune umanità, anche se include delle caratteristiche che possono essere straordinarie o eccezionali, non ci assegna una dignità speciale che sia possibile negare ad altri esseri senzienti. Quando parliamo di umanità, parliamo in realtà delle caratteristiche che le sono abitualmente associate, come il fatto di riconoscerci in  esseri pensanti, razionali, sociali, capaci di libertà, di linguaggio, di astrazione, di fare progetti per il futuro. Le caratteristiche dell’essere umano sono infinite. E anche se non chiamiamo in causa l’idea di umanità – ma delle idee più precise, come le caratteristiche che ho appena elencato – tuttavia non c’è ragione per cui si debba pensare che l’essere umano debba godere di una dignità particolare. Non c’è ragione, per esempio, di ritenere che il fatto di essere ‘pensante’ invece di non esserlo debba avere una dignità particolare.

Inoltre, non si tratta di mettere da una parte gli esseri ‘pensanti’ come gli esseri umani e dall’altra quelli definiti come ‘non pensanti’ (!) ovvero gli animali: sappiamo piuttosto che esistono gradazioni costanti dagli uni agli altri e sappiamo anche che è un espediente antropocentrico parlare di classificazione, di progressione, da animale a umano. In verità esistono tipologie differenti d’intelligenza: per esempio, situarsi nello spazio è un’intelligenza molto più forte negli animali, o altri esempi di intelligenze sono la facoltà di ricordare, quella di riconoscere… Il problema è che, parlando di intelligenza, si parte sempre con un’idea già precisa di che cosa sia ciò che chiamiamo intelligenza, ossia qualcosa legato alle nostre facoltà.

Al contrario, vi è un continuum tra le facoltà intellettive degli esseri appartenenti al mondo animale e quelli appartenenti alla specie umana. Inoltre, anche all’interno della specie umana molte persone non corrispondono all’idea consueta di intelligenza su cui è costruita la libertà umana: è il classico argomento degli emarginati, ma anche dei bambini, degli anziani, dei disabili, delle vittime di incidenti cerebrali – che si vedono comunque riconoscere una qualche umanità e dignità umana specifica, pur senza possedere gli attributi che dovrebbero essere essenziali. Ovviamente, non vedo perché si dovrebbe negare loro la garanzia dei diritti fondamentali col pretesto che non possono, per esempio, fare calcoli alla stessa maniera, o non possono reagire in modo adeguato a delle situazioni complesse, eccetera.

Fondamentalmente quest’idea di umanità, da un punto di vista etico, è un’idea che non intrattiene legami logici con le conseguenze che se ne traggono: non è chiaro quale significato particolare dovrebbe avere il fatto di essere uman* o non uman*, così come l’essere nero o bianco o donna o altro. Quindi il fatto di definirla come il valore più alto non ha altra funzione se non quella di evitare di prendere in considerazione la nozione di eguaglianza, che è la nozione etica fondamentale, e di evitare di prendere in considerazione la senzienza (cioè la capacità di provare sensazioni) come criterio fondamentale a partire dal quale possiamo dire di trovarci di fronte a degli esseri che hanno degli interessi da difendere – di cui bisogna tenere conto. Questa nozione di umanità gioca un ruolo anti-etico, come l’idea di natura, perché ci impedisce di ragionare in termini etici, in termini di presa in carico degli interessi delle/gli altr*. Di fatto, la morale umanista sostiene la necessità di prendere in considerazione non i vostri o i miei personali interessi, ma la nostra umanità – che è definita indipendentemente da voi e da me.

Spesso diventa la “parola sociale” del momento. Per esempio, attualmente, prendere in considerazione l’umanità che c’è in me significa nella pratica vietarmi di suicidarmi, proibirmi l’eutanasia anche se soffro enormemente, per il solo motivo che la vita umana è ‘sacra’. Ecco, allora, un altro caso in cui l’idea di umanità si ritorce contro gli stessi esseri umani. Può trattarsi del considerare gli embrioni – che non sono che cellule, che non sentono ancora nulla – come degli esseri umani, e riconoscere loro una dignità umana e dunque dei diritti umani fondamentali. Ne consegue che quest’idea di umanità va ad accordare una sorta di diritto sacro di vita a degli ammassi di cellule che non sentono alcunché, anche a spese della donna incinta – che ha degli interessi, quelli sì, reali e concreti e presenti. Questa è un’altra delle critiche che possiamo fare a quest’idea di umanità, ovvero l’entrare in conflitto con la riflessione etica.

[…] Quest’idea di umanità si definisce attraverso l’incontro/scontro con l’idea di natura e quella di animalità: sono tutte nozioni che è facile mettere in discussione, mentre sono difficili da difendere con concetti precisi e pretese scientifiche: l’idea di umanità e l’idea di natura da un punto di vista scientifico non esistono, l’idea di animalità da un punto di vista scientifico non significa nulla. Per esempio, dal punto di vista scientifico l’umanità si definisce attraverso quali caratteristiche? Comportamentali – in termini di capacità cognitive, mentali? Al contrario, per un certo tipo di genoma? Ma, in che senso, genoma?

Siamo tutt* divers*, tutt* dotat* di genomi diversi, e trovare dei criteri che ci permettano di distinguere chiaramente il genoma umano da uno non umano è arbitrario, e non si tratta mai di un’operazione definibile come necessaria.

E ancora: dovremmo dichiarare umani gli spermatozoi o gli ovuli perché sono portatori di genoma umano? Appare chiaro che la nozione di umanità è lontana dall’essere immediata. Gli umani che hanno delle anomalie genomiche sono degli umani – è dato per scontato che si debba avere un certo numero di coppie di cromosomi, eppure si sa anche che esistono persone – che noi continuiamo a considerare essere umani – che non possiedono lo stesso numero di coppie cromosomiche, per esempio le persone con un cromosoma in più.

Vediamo dunque che anche le definizioni di umanità che si vorrebbero scientifiche, fondate su nozioni scientifiche – come il genoma, eccetera – sono definizioni per partito preso: delle definizioni a tutti gli effetti, e non delle descrizioni del reale che si sono imposte autonomamente.

Criticare la nozione di umanità in questo modo è puramente aneddotico, ma serve per rendersi conto che si tratta di una nozione costruita, risultato di scelte sociali, politiche e storiche: non si tratta affatto di qualcosa di innato, come ci hanno insegnato. Il punto è che fino a quando il valore fondamentale di una società in termini etici e politici resterà l’idea di umanità, cioè un’idea fondamentalmente specista, è ovvio che gli animali continueranno a farne le spese.

E’ possibile immaginare uno specismo – o un umanesimo – ‘soft’, che riconosca negli animali una sorta di ‘fratelli inferiori’? Si resterebbe comunque all’interno di una visione gerarchizzata, con un disprezzo di fondo, in cui il problema non è nemmeno tanto il disprezzo, ma il fatto che persiste comunque una classifica, un ‘più’ e un ‘meno’. Fondamentalmente, quest’idea di umanità – da collegare a quella di eguaglianza – è un’idea che pone la questione in termini di superiorità o inferiorità. Si è più oppure meno umani. È la stessa idea che ha dato vita a concetti che oggi non sono più molto in voga, ma che comunque hanno fatto la loro comparsa nel corso della storia: quelli di sovrumanità e subumanità, che ritengo essere legati alla nozione di umanità.

Non sono concetti accidentali, in quanto rivelano la realtà dell’idea dell’umanità. Rivelano come essa si costruisca per opposizione e distinzione rispetto all’idea di animalità. Questa idea di umanità si basa sulla necessità di distinguersi, di differenziarsi e allo stesso tempo di “valorizzarsi”, nel senso di assegnarsi un valore.

È nel nostro pieno interesse, in quanto attivisti per la questione animale, cercare di attaccare l’idea di umanità, di indebolirla (anche se è difficile) e sovvertirla, per privarla del suo carattere di evidenza naturale e per farla apparire per ciò che è: un costrutto politico che non è neutro, che non è positivo come tentano di descrivercelo, ma collegato a degli istinti di dominazione mostruosi e sanguinari, senza i quali questa stessa idea non avrebbe senso. Se non vivessimo in un mondo in cui gli animali sono sfruttati in modo assolutamente mostruoso, senza scrupoli, senza il minimo rispetto nemmeno dei loro diritti basilari… Se non vivessimo in un tale mondo, ci potremmo allora anche domandare a cosa potrebbe mai servire quest’idea di umanità, che volto potrebbe avere, per cosa si è fatta reale. Ma quest’idea di umanità è legata al sistema di dominio specista e svanirà con esso, e viceversa, per lottare contro il sistema di dominio specista è fondamentale minare quest’idea.

Posted in Animalismo/antispecismo, fasintranslation.

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