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Farla finita con l’idea di umanità – prima parte

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da Intersezioni:

Gli sfruttatori distorcono sempre la realtà, camuffandola in una bella confezione che inganna la maggioranza delle persone.

Uno degli aspetti che sicuramente impedisce a molt* attivist* (e alla generalità delle persone, ovviamente) di vedere le connessioni tra antispecismo e antisessismo/razzismo/fascismo, deriva da quell’idea – tutta specista, ma oramai peculiare al nostro modo di stare al mondo – che ci viene inculcata fin da piccol*, che quella che chiamiamo la nostra umanità porti con sé in ‘dote’ un valore di merito intrinseco alla nostra specie e solo ad essa. Un valore a ben vedere molto ambiguo, dal momento che se ad un livello teorico viene associato con caratteristiche assolutamente positive (umanità, gentilezza, generosità, ecc…), nella pratica diventa la giustificazione incontestabile per brutalità e violenze efferate e continue su altri animali, umani e non.

La conferenza che abbiamo qui tradotto, di Yves Bonnardel, smaschera questo meccanismo perverso e mette in luce come l’umanità non sia assolutamente una caratteristica ‘naturale’ e connaturata all’essere umano, bensì un costrutto politico volto alla dominazione e alla giustificazione della violenza.

Essendo il testo abbastanza lungo, si è scelto di dividerlo in due parti per renderne più agevole la lettura.

Farla finita con l’idea di umanità

Conferenza tenuta da Yves Bonnardel in occasione de Les Estivales de la Question Animale

Traduzione di feminoska ed Eleonora.

Il titolo che ho proposto è “Farla finita con l’idea di umanità” perché a mio avviso [questo] è un tema cruciale in rapporto alla questione animale. È proprio l’idea di umanità il vero ostacolo che impedisce di prendere in considerazione gli interessi degli [altri] animali.

È una questione che sembra difficile affrontare direttamente: una questione che ritorna ciclicamente negli scritti animalisti, ma sempre all’interno di una frase, in un capoverso, mai secondo me con l’importanza che dovrebbe avere. Forse perché, molto semplicemente, è una questione davvero enorme. È un’impresa quella che andiamo ad affrontare.

Avrei potuto intitolare la presentazione in maniera diversa, magari un po’ meno polemica, per esempio con formule quali “Farla finita con l’idea di umanità e di animalità”, oppure “Farla finita con l’umanesimo”, o anche “Farla finita con lo specismo”… Ma qui parleremo di quell’incarnazione particolare dell’ideologia specista che mette l’accento, per l’appunto, sulla nostra umanità: è la nostra umanità che ci assegna un valore, abbiamo un valore in quanto esseri umani; ed è il fatto che questa umanità è assente negli altri animali che invece li priva di ogni valore, di ogni diritto.

Quest’idea di umanità è lo zoccolo duro della nostra civiltà, è un’idea fondamentale per la nostra civiltà almeno a partire dal Rinascimento, dalla crisi (potremmo definirla la laicizzazione) del Cristianesimo. Prima di allora, nel Medio Evo, era il fatto di essere cristiani ad essere fondamentale, a stabilire la nostra identità e fondare il nostro gruppo d’appartenenza. Era così che si definivano le persone: cristiane.

Progressivamente, a partire dal Rinascimento, inizia a delinearsi un movimento che si affermerà poi verso la fine del secolo, e che oggi è veramente al suo apogeo. Da un lato, si tratta di un movimento che vede le persone definirsi sempre di più esseri umani, facenti parte di una specie biologica; dall’altro vi è una sorta di processo antropologico di civilizzazione, di libertà, che vede la nozione di umanità, in termini di identità, affermarsi sempre di più come un concetto positivo, un concetto che accresce i significati che può rivestire, che racchiude sempre più significati.

Se prima era dunque la cristianità il gruppo d’appartenenza fondamentale, ora l’umanità in generale è diventata la specie biologica a cui si deve di appartenere. Eppure, inizialmente, con molte limitazioni: per esempio l’umanità del diciassettesimo secolo è essenzialmente un’umanità maschile, bianca, adulta e ricca; è un’umanità occidentale, un’umanità civilizzata. Questa nozione di umanità fa chiaramente riferimento al concetto di specie, ma l’appartenenza alla specie [umana] non è sufficiente per fare pienamente parte dell’umanità. Bisogna possedere alcune caratteristiche: essere uomo e non donna, adulto e non bambino, ricco (aristocratico o borghese, ma mai di un ceto basso) e non povero.

Appare chiaro, dunque, come questo concetto di umanità non sia mai stato un concetto puro. Come tutte le identità, è sempre stato un concetto basato su una sorta di descrizione che si dà ad un gruppo: per cui l’umanità è il fatto di appartenere al gruppo dell’umanità, il che si rivela quasi una definizione descrittiva.

Alla fine, in pratica, ‘umano’ è chi soddisfa alcuni criteri che vanno oltre la semplice appartenenza ad un gruppo biologico: per essere umani non si deve essere inumani, non si deve essere mostruosi o troppo animali, bestiali… Ci sono delle caselle da barrare per rientrare a pieno diritto nella categoria. Ed esistono alcune categorie che, di fatto, si vedono negato l’accesso al gruppo principale. Per esempio, le donne sono state a lungo considerate non pienamente umane e ricondotte al polo opposto all’umanità, il polo della natura. Le donne sono state ridotte a rappresentare la parte naturale nell’umanità, per via del fatto che sono rivestite di una sorta di ‘missione procreativa’ dall’ideologia patriarcale. Allo stesso modo i popoli colonizzati e schiavizzati non sono stati considerati come facenti parte dell’umanità: la loro umanità era considerata incompleta, in divenire… Non avevano accesso alla ragione, alla libertà, alla civiltà, come accade alle/i bambin*.

Tornando sul concetto di umanità: esso si è creato in opposizione all’animalità e alla natura, e ritengo sia stato creato fondamentalmente per separare, per opporre un “noi ” a degli “altri”. È ciò che ha sottolineato Françoise Armengaud, universitaria, femminista (partecipò alla stesura della rivista “Nouvelles quéstions féministes”) nell’Enciclopedia Universalis nel 1984:

http://www.universalis.fr/auteurs/francoise-armengaud/

Se ci si domanda dove risiede la pertinenza di queste categorie antinomiche che sono l’animalità e l’umanità – e se si tiene a mente che l’essere umano è un animale – la sola risposta è che, evidentemente, prima viene il “noi” e poi vengono gli “altri”, e che l’atto di classificare innalza una barriera che imprigiona tutti gli altri, confusamente, all’interno della stessa barbarie.

Armengaud sostiene dunque che la pertinenza delle categorie di animalità e umanità è funzionale allo scopo di realizzare una divisione, una classificazione, necessaria a tracciare un confine tra un “noi” e degli “altri”, e a rinchiudere questi “altri” in una sorta di estraneità, di barbarie, da cui il “noi” è dispensato. Il testo in questione è datato, è del 1984, ma troviamo analisi simili anche da parte di chi, ai giorni nostri, ha analizzato la questione animale pure quando questa non rappresentava il punto centrale della trattazione: Levi Strauss, Derrida, Burgat…

Questo concetto di umanità è un concetto talmente centrale nella nostra civiltà da renderlo estremamente difficile da attaccare direttamente. Eppure non possiamo fare a meno di questo attacco, non possiamo astenerci dal rompere il tabù che è legato a quest’idea di umanità. È un’idea criminale, non solo per la questione animale, ma anche per altre questioni umane. È un’idea anti-etica. Pensare in termini di morale, di umanità, significa evitare di ragionare in maniera davvero etica, esattamente come avviene quando si pensa in termini di natura: ci si pone il problema di definire cosa è umano e cosa non lo è, cosa è naturale e cosa non lo è… e non ci si chiede invece cosa è giusto e cosa non lo è. È una questione che non possiamo non porci e che non possiamo non porci nella maniera giusta.

La critica che sto muovendo parte da un punto di vista preciso che è un punto di vista animalista e antispecista, di opposizione allo specismo – discriminazione basata su criteri di specie di cui sono vittime alcuni individui, così come accade alle vittime di razzismo e di sessismo (per via di discriminazioni basate su criteri di razza e sesso).

È anche un punto di vista egualitario. Io sono egualitario, penso che tutti gli esseri senzienti[1], proprio perché hanno delle sensazioni, reputino la propria vita importante, abbiano degli interessi ugualmente importanti, degli interessi da difendere: ad esempio evitare sofferenze e dolore, vivere il più a lungo possibile la miglior vita possibile… E penso che non vi sia alcuna buona ragione per non prendere in considerazione gli interessi di tutti quegli esseri che hanno dei propri interessi da difendere, né per non prenderli in considerazione esattamente quanto i miei – che, peraltro, sono molto simili: bisogna prendere in considerazione, in maniera equa, anche gli interessi di chi non fa parte della propria specie.

La critica allo specismo è quindi una critica al criterio di specie: un criterio che non è moralmente pertinente, un criterio che non ha alcun senso logico, esattamente come i criteri di razza, sesso, età… La sola cosa rilevante è l’importanza degli interessi in gioco, che è poi ciò che dà peso agli avvenimenti.

Io sono egualitario nel senso che – indipendentemente dai concetti di specie, razza, sesso – penso che vadano presi in considerazione gli interessi di tutti gli esseri in egual misura. È quindi in nome dell’idea di eguaglianza che critico l’idea di umanità, in quanto idea che entra in conflitto con quella di eguaglianza.

Viviamo in una società in cui, a seconda che si sia umani o non umani, ci si vede riconoscere o meno diritti –  da quelli accessori ai diritti fondamentali (diritto alla vita, alla libertà, a non essere torturat*, alla libertà di coscienza…) – che rappresentano il minimo necessario per vivere una vita soddisfacente in questo mondo. Questi diritti sono negati a tutti quegli esseri di cui si nega l’umanità, in cui non si riconosce un’umanità… fondamentalmente, all’insieme dei non-umani per definizione.

Abbiamo negato l’umanità anche ai disabili: ai disabili mentali, per esempio, sterminati dal regime di Vichy durante la seconda guerra mondiale in quello che è stato definito “sterminio dolce” – che non è stato dolce per niente, visto che si è trattato di negare le razioni di cibo minime per sopravvivere a più di quarantamila disabili mentali, lasciandoli così morire di fame e malattie – semplicemente perché erano considerati dei subumani.

Esistono anche altre categorie di umani a cui viene negata l’appartenenza piena all’umanità. [Ad esempio] coloro che vengono giudicati colpevoli di qualche reato, considerati non all’altezza della loro umanità, a cui vengono revocati quei privilegi e i vantaggi legati al concetto di umanità poiché considerati criminali, mostri, non-umani… Rinchiusi nelle prigioni, vittime di trattamenti disumani e degradanti, non vengono loro garantiti quei diritti di cui godono tutti gli altri esseri umani. La situazione nelle carceri, peraltro, è molto simile a livello mondiale, e penso che ciò risponda ad una logica profonda – che non si tratti di un caso o di una sorta di malfunzionamento – ma esista veramente una volontà generalizzata di far andare le cose così, anche da parte della popolazione: si vuole che le persone che hanno commesso un crimine soffrano, paghino… Lo si sente nelle discussioni di tutti i giorni: la maggior parte delle persone desidera che i “colpevoli” non godano più degli stessi diritti di cui godono gli altri esseri umani. Questi sono solo alcuni esempi: le principali vittime di questa idea di umanità rimangono comunque i non-umani.

Quest’idea di umanità che oggi si propone come un’idea estremamente positiva (non si fa mai riferimento alle implicazioni negative che può avere), si presenta come collegata alle idee di gentilezza, di bontà, di moderazione… Infatti, si sente parlare di “azioni umanitarie“. Nella nostra mente, essa è legata all’idea di eguaglianza e a quella di universalità. Le grandi dichiarazioni dei diritti fondamentali degli esseri umani aspirano ad essere egualitarie e si pongono come dichiarazioni universali.

Stando così le cose, come antispecista devo sottolineare che l’idea di eguaglianza ha invece consentito la creazione di un gruppo specifico che ha certi privilegi e che è investito di certi diritti, compresi quelli fondamentali – come il diritto di vita e di morte, il diritto a non essere torturati/e, il diritto alla libertà. Non si tratta allora di universalità, di universalismo, ma piuttosto di un particolarismo.

Potremmo paragonare questa idea di “eguaglianza” a un nazionalismo o a uno sciovinismo. Infatti, abbiamo preso un gruppo, lo abbiamo reso il “gruppo di preferenza” e abbiamo definito un criterio morale fondamentale, un’identità morale fondamentale, come in un qualsiasi nazionalismo. Abbiamo quindi sviluppato uno sciovinismo. Nella nostra società si tessono elogi dell’umanità ad ogni livello. Come nell’ambito di un nazionalismo qualsiasi, la difesa di quest’idea di umanità è la difesa di un particolarismo proposto come universalismo. In realtà si tratta di un particolarismo. Il vero universalismo sarebbe invece l’eguaglianza: il farsi carico degli interessi di qualsiasi essere abbia degli interessi da difendere, di ogni essere senziente.

Posted in Animalismo/antispecismo, fasintranslation.


2 Responses

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  1. Fede says

    CALICO””Ci sono delle situazioni in cui farsi carico degli interessi di qualsiasi specie oltre la mia diviene pesante dal momento in cui si crea un conflitto fra la sopravvivenza della mia specie a favore di altre. O semplicemente della mia persona rispetto ad individui di un’altra specie (esempio banalissimo, prendiamo una derattizzazione. Mi dispiace fare un genocidio di ratti, però vorrei evitare di prendermi la toxoplasmosi). “””

    Il discorso è molto più complesso di così.
    Gli animali non umani non ci hanno mai chiesto tutele, basterebbe lasciarli vivere in pace
    a modo loro.
    Una cosa è l’autodifesa che è un diritto di tutti e tutte.
    Certo se un orso mi attaccasse in un bosco non rimarrei ferma a dire ” ops sono antispecista”.
    Ma parliamo di casi limite.
    La specie umana della cui sensibilità parli, fa nascere milioni di animali ogni anno facendoli vivere in condizioni disumane solo perchè ci è stato insegnato che l’alimentazione carnivora è l’unica possibile per noi.
    Gli animali non umani presenti su questa terra sono ormai ridotti a merce.
    Distruggiamo foreste e milioni di ettari di verde per coltivare cereali e soia che, invece di sfamare milioni di persone, diventeranno mangime per animali.
    Perchè una mucca produca 50 kg di proteine sotto forma di carne, bisogna nutrirla con 790 kg di proteine vegetali.
    Un ettaro di terra destinato all’allevamento bovino produce in un anno 66 kg di proteine; la soia ne produrrebbe 1848.
    E noi, invece di cibarcene la trasformiamo in mangime.
    Non abbiamo bisogno di mangiare gli animali per sopravvivere.
    Siamo l’unica specie che beve latte per tutta la vita e per di più latte destinato ad altri.
    Se il corpo femminile smette di produrne al secondo anno di vita del bambino, perchè uccidere milioni di vitelli per impadronirsi del loro , per poi oltretutto diventare tutti intolleranti?
    Non ci serve il calcio del latte da adulti.
    Insomma il discorso è veramente infinito.

    Un’ultima cosa sulla vivisezione.
    Esistono ormai metodi alternativi, come la coltura cellulare ed altre, che rendono inutile la sofferenza di animali.
    Forse pochi sanno che dal 1982 i risultati della sperimentazione su animali non sono ammissibili in nessun tribunale come prova.
    Non esistono, sono niente.
    Quando parliamo di vivisezione parliamo di questo :
    http://www.youtube.com/watch?v=iPiig877upo

  2. Calico says

    Sono d’accordo al 90% con i contenuti espressi nell’articolo, ma la parola “antispecismo” non mi piace. Molto vero il discorso su un concetto di umanità da sempre inteso come categorizzante e restrittivo rispetto ad un ben determinato standard. Ma personalmente ho sempre utilizzato il temine “umanità” in accezione positiva.
    L’essere umano è indiscutibilmente un animale, ma come specie abbiamo delle peculiarità che ci contraddistinguono, e fra queste peculiarità vi sono grandi doti di neuroplasticità che ci portano ad avere anche un’empatia molto sviluppata nei confronti di membri della nostra stessa specie e di altre.
    È chiaro che queste capacità di empatizzazione si manifestano per lo più quando sono presenti nell’oggetto osservato dei caratteri che evoluzionisticamente hanno permesso proprio l’insorgere di questa reazione (vedi gli animali pucciosi, che hanno caratteri neotenici, cuccioleschi, con tutta probabilità per “svegliare” istinti di cura, ove possibile). È proprio però grazie a delle nostre caratteristiche peculiari e per lo più umane che, grazie ad un lavoro di razionalizzazione e di ulteriore empatia, possiamo estendere il discorso anche ad animali che più difficilmente risveglieranno in noi reazioni di protezione.
    È un dato di fatto biologico l’appartenenza ad una specie differente (ove non lo è nei casi di nazionalismo, perché i confini sono definiti dall’uomo; nei casi di razzismo e sessismo, poiché vi è l’appartenenza ad una stessa specie). Ci sono delle situazioni in cui farsi carico degli interessi di qualsiasi specie oltre la mia diviene pesante dal momento in cui si crea un conflitto fra la sopravvivenza della mia specie a favore di altre. O semplicemente della mia persona rispetto ad individui di un’altra specie (esempio banalissimo, prendiamo una derattizzazione. Mi dispiace fare un genocidio di ratti, però vorrei evitare di prendermi la toxoplasmosi). La sopravvivenza anche solo come individuo mi impone delle brutalità, ma la mia “superiorità” intellettuale (che personalmente includo nella definizione di “umanità”) mi pone l’interrogativo e mi indirizza sulla strada di poter fare a meno di questa brutalità. È proprio grazie alla mia peculiarità di specie che posso farne a meno. Ed è quantomeno un dovere morale verso l’umanità trovare delle soluzioni.

    Questo post è stato scritto in collaborazione con un compagno con cui lo scambio su questi temi per quanto mi riguarda è sempre stato molto prolifico, nel frattempo ne stavamo discutendo per conto nostro. Abbiamo toccato, nel nostro confronto, il tema della sperimentazione animale, per la quale io più facilmente di lui tendo a definirmi favorevole. Tuttavia il suo commento rappresenta più efficacemente la posizione che ci accomuna, credo non gli dispiacerà la citazione:
    Io non mi iscrivo come te alla comunità in favore della sperimentazione animale; io non sono favorevole, ma piuttosto contrario. Ma non farò mai mancare il mio appoggio alla ricerca scientifica, perché è proprio quella che mi permetterà di dipanare la questione morale, e nel contempo non favorirò il minamento delle basi che ad oggi mi garantiscono armi per combattere secondo le regole della natura.