Da Abbatto i Muri:
Una volta c’erano, e credo ci siano ancora, le donne della Gulabi Gang, le donne di una Pink Gang che armeggiavano con i bastoni e che divennero un simbolo contro la violenza sulle donne a partire dalle regioni del nord dell’India. In quei luoghi, così si diceva, le donne potevano essere maltrattate e stuprate senza che nessun@ ne pagasse le conseguenze. Quella mentalità e l’impunità coinvolgevano tutti, inclusi uomini delle forze dell’ordine che venivano così sollecitati a compiere il proprio dovere. Di loro e della loro arte di autodifesa si scrisse tanto e ancora esiste un sito che immagino sia frequentato molto da persone occidentali, incluse talune femministe, che con piglio neocoloniale cercano modi per dire quanta civiltà, invece, ci sia dalle nostre parti.
Recentemente la questione degli stupri in India è stata nuovamente al centro dell’attenzione dei media occidentali. Quel che raccontano le donne che lì vivono è che l’emergenza sia servita ad arte per promuovere leggi autoritarie che legittimavano il governo (un po’ come da noi in Italia) e che tanto tam tam era anche il modo per fomentare nelle classi medie il terrore nei confronti delle classi meno abbienti. Quel che si diceva era infatti che le aggressioni fossero ad opera di uomini che beccavano le donne che andavano a lavorare e studiare, appartenenti a famiglie di un certo tipo, già fidanzate, promesse in matrimonio, in alcuni quartieri, sui mezzi pubblici. Di un sistema complesso che poi obbliga ancora le donne a sposarsi sulla base di accordi familiari o a rivestire un ruolo tradizionale nelle famiglie non parla nessuno, perché il nemico è là fuori, povero, disadattato, che non rispetta la donna intesa come proprietà del fidanzato, marito, padre, fratello. Per stabilire dunque quanto sia grave che un uomo “danneggi” la proprietà di altri uomini hanno aggravato la legge che ora parla anche di pena di morte per chi la viola salvo non riconoscere che lo stupro possa avvenire anche dentro il matrimonio.
E nel frattempo ecco un altro fenomeno mediatico che immagino colpirà l’immaginario di tanti/e occidentali con tante donne, adolescenti, che hanno scelto di chiamarsi Brigate Rosse, rifiutano di affidare la propria sorte ai tutori, a fare arti marziali e andare in giro per la città in ronda contro gli stupratori. In realtà non fanno solo questo, o perlomeno questa è la parte che sembra essere mediaticamente più appetibile, ma loro vanno in giro a fare workshop sulla violenza di genere e i corsi di autodifesa diventano occasione per regalare autostima a quelle donne che dopo aver subito violenza l’hanno perduta.
Ci sono dunque ragazze che stanno coltivando attività che danno loro sicurezza, costituiscono un recupero di ruolo sociale in seno ad una società patriarcale come simboli di r-esistenza, diventano modello di comportamento per altre adolescenti e tutto quel che affascina i media occidentali è solo l’idea di una ronda femminile che fa tanto Lega Nord o cultura de La Destra. E’ giusto a partire da chi associa l’autodifesa ad una modalità di “destra” l’errore che si fa quando si immagina che l’autodifesa sia una specie di metodo preparatorio a farsi giustizia da se’. C’è che si rifiuta di stabilire una linea di responsabilità individuale per se stesse che in un qualunque corso di autodifesa viene immediatamente rivelata.
Non si tratta soltanto di correggere la postura, imparare a sferrare colpi ben assestati, ma si tratta di smettere di percepirsi come vittime, si tratta di assumere consapevolezza, acquisire autostima, sicurezza. Si tratta di costruire una rete sociale di riferimento, un paracadute in senso orizzontale, tra pari, compagne, amiche, sorelle, amici, persone solidali, che viene meno se l’unica via proposta dallo Stato, mediamente autoritario e repressivo quando si parla di violenza sulle donne, è quella gerarchicamente verticale. Il tuo ruolo può solo essere quello di vittima. Tutto qui. Non hai neppure voce in capitolo nelle leggi che dicono di aver elaborato in tuo nome. In mio nome.
Ecco: in Italia dovrebbero esserci meno one billion rising e più Gulabi Gang o Red Brigade. Perché difendersi dalle violenze dipende da un cambiamento culturale, a partire da noi, dal ruolo che decidiamo di avere nella società e da quello che rifiutiamo quando ci viene imposto da Stato, Famiglia, Istituzioni varie. Perché difendersi dalle violenze dipende da noi e non da tutori che in nome della tua difesa finiscono per reprimere e controllare anche te.
Leggi anche:
Stupri in India: eppure nessuno sembra vedere la persona