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Lettera di Anna: perché nessun@ mi aiuta a riparare le mutilazioni subite?

Da Abbatto i Muri:

Ciao,

ho letto un tuo post  sulle mutilazioni di fine rapporto che conclude con l’idea provocatoria di una richiesta di risarcimento allo Stato per ogni pezzo del corpo che a causa di una violenza subisce una mutilazione.

Ho riflettuto un po’ e vorrei raccontarti una storia. Spero non la considererai patetica perché non è mia intenzione autocommiserarmi.

Sono cresciuta in una famiglia “violenta”, ho avuto un partner “violento” e tutto questo ha segnato in un modo o nell’altro la mia esistenza. Che vita avrei potuto avere se mia madre non fosse stata totalmente succube e mio padre non fosse stato accentratore, autoritario e non avesse negato a tutta la sua famiglia ogni genere di sostegno, morale ed economico? Che vita avrei potuto avere se non fossi sopravvissuta alle violenze del mio ex partner?

Non lo so. So che questa è la vita che mi è toccata. La mia famiglia non l’ho scelta. Il mio partner, per assurdo, almeno fino ad un certo punto, invece si. Dopodiché non ho scelto più nulla, perché anche se sei vittima di violenza non ti viene dato modo di scegliere alcunché.

Con molti sforzi e molta determinazione sono andata avanti, convincendomi di non avere bisogno di nessuno. Attorno a me trovavo chi mi diceva che avrei sconfitto i traumi mandando il mio ex in prigione. Ma io non avevo alcuna voglia di farlo e in realtà non mi interessava neppure che si parlasse dei miei “traumi” per giustificare il giustizialismo di un sistema che comunque di me non si occupa affatto.

Mi spiego: quello con cui ha a che fare una persona che subisce privazioni, mortificazioni e vari livelli di oppressione, è l’assenza vera di opportunità. La mia vita è stata monca per tante ragioni. Perché un padre come il mio finisce con il toglierti la volontà e le risorse. Parti da sottozero e più tentativi fai per emanciparti e più fallisci. Le ferite che mi ha inferto lui, i disagi e poi le ferite inferte dal mio ex, io avrei sempre voluto risolverle, ma come fare?

Lo Stato ti propone una unica strada: tu denunci e con le tasse paghi un servizio di repressione e carcerazione della persona che ti ha fatto male. E tanto basta a considerare il fatto che dovrei sentirmi soddisfatta. Se ci sono risarcimenti di tipo economico da contemplare si parla di cifre che comunque non arriveranno mai e sono rimandate alle stesse persone denunciate che spesso sono nullatenenti o non hanno quella disponibilità.

Lo Stato non mi dà modo di scegliere qualcosa di diverso e per diverso intendo anche il diritto di poter essere economicamente indipendente da mio padre, non essere costretta a chiedergli gli euro che mi concede con allegati insulti per il fatto che io sarei una povera fallita. Le violenze mi hanno resa fragile, insicura, non molto in grado di tenere il passo nei lavori che ho gestito. Ho avuto problemi di alimentazione, bulimia, ansia, depressione. Tutto considerato devo fare pace con la mia condizione e devo dire che sono né più e né meno che una disabile alla quale però non viene riconosciuto alcun diritto.

Lo Stato non mi offre servizi adeguati, operatori sanitari formati sulle questioni di genere, comunque non molto sensibili a quello che ho vissuto io. Semmai ogni tanto si trova qualche offerta di privatizzazione del mio disagio ma non sono cose che mi interessano poi tanto. Così mi sono ritrovata a istruire il personale sanitario, propenso al Tso, a sedarmi e a riempirmi di psicofarmaci, che avrebbe dovuto essere preparato quando spiegavo che io non ho questi problemi perché ho un gene che mi è andato per traverso, non ho neppure traumi da risolvere in realtà, ho una condizione concreta di mutilazioni psicologiche e fisiche che devo sanare a spese mie. Avete una vaga idea di quanto possa essere frustrante incontrare psicologi e psichiatri che di questioni di genere non sanno niente? A meno di incontrare persone umanamente sensibili. Il fatto è che a me non serve la persona “sensibile” ma eventualmente una che non mi dica che la bulimia, la depressione, qualunque altro disagio io viva, dipendano da tutto meno che dal divario di genere e di classe che io subisco sulla mia pelle.

Immagina cosa vuol dire chiedere i soldi a mio padre per andare a pagare il ticket del servizio di assistenza psicologica. I rimproveri. Il compatimento. Sono io la pazza. Io ho dei problemi e lui, responsabile di violenze economiche senza fine, porterebbe questa croce addosso. Figuriamoci se gli chiedessi soldi per accedere a servizi di riparazione di altri pezzi del mio corpo andati a male anche a causa delle sue botte.

Così dopo anni e anni di disagio, immaginando di non meritarmelo, come se in fondo si trattasse di capricci di una ragazza che non sapeva accettare la propria esistenza, infine ho deciso che avrei preteso di poter risolvere alcune cose. Con i lavori che facevo ho faticosamente pagato le spese di una terapia psicologica. Ho fatto quello che potevo per riparare le mutilazioni fisiche, con la totale inconsapevolezza e i tempi di riparazione della nostra sanità pubblica.

Pochi giorni fa ho subito, a carico dell’Asl, una piccola operazione per ricostruire i lobi. Mi ero presentata con una richiesta medica quattro anni fa. Immaginavo di non averne neppure il diritto perché la chirurgia plastica negli ospedali pubblici si occupa spesso di persone vittime di gravissimi danni, ustioni gravi, menomazioni al cui confronto la mia non era proprio niente. Quei lobi erano stati spezzati quando il mio ex, mentre mi riempiva di pugni, afferrò i capelli e strappò via gli orecchini. Ho convissuto per tanto tempo con quella piccola menomazione e ogni volta che guardavo le mie orecchie ricordavo quel che era stato. Avevo una grande rabbia dentro, pur non odiando il mio ex e augurandogli tutto il bene possibile.

Dopo quattro anni l’Asl mi chiama, quasi a ferragosto, mi dice che i medici sono liberi e finalmente possono operarmi. Non sanno perché io abbia fatto la richiesta e quale sia stata la causa di quella mutilazione. Sanno che ho pezzi di lobi mancanti. Chiedono. Non ho alcun dovere di dirglielo, è andato tutto in prescrizione ma non so se loro hanno l’obbligo di comunicare alle forze dell’ordine quello che racconterò. Mi rassicurano in questo senso. Mi chiedo comunque perché mai non ci sia una regola che vieti la violazione della privacy per le donne che non hanno voglia di denunciare. E dopo l’ultimo decreto legge che autorizza perfino le denunce provenienti da fonti anonime mi chiedo quante saranno le donne che eviteranno di presentarsi nei pronto soccorso per evitare problemi.

Dico che è stato il mio ex. Così mi anestetizzano, nel frattempo mi parlano, l’intervento dura relativamente poco, esco dalla sala operatoria e non avrei pensato di considerare un bisturi un attrezzo di coccole e attenzione. Fuori mi aspetta il mio nuovo compagno, quello che ha convissuto con me e le mie orecchie monche per tanti anni, che non ha mai avuto alcun istinto di prevaricante tutela, che ha atteso il momento in cui io, da sola, con i miei strumenti e le mie poverissime risorse avrei deciso di risolvermi quello che avevo in sospeso.

Infine scopro le ferite, ho due orecchie nuove, anche se ho tanti altri problemi ancora da risolvere e in tutto ciò a volte mi fa rabbia che mi abbiano rubato tanta vita, e anche se so che per me probabilmente è tardi, mi chiedo perché mai in un ospedale non sia possibile trovare una equipe di medici preparati a riparare le “mutilazioni di fine rapporto” senza dover aspettare anni e anni per aiutarmi ad assumere consapevolezza del fatto che non è proprio detto che io debba tenermi quelle cicatrici.

Una persona che subisce violenze continuate è generalmente povera, non ha risorse, non ha neppure la forza di ottenerle, perché la sua volontà è annientata, la sua sicurezza massacrata, la sua autostima non esiste. E’ dunque sempre gravemente ostacolata perché difficilmente riesce a conseguire ottimi risultati negli studi, nelle professioni. Spesso si comporta da sopravvissuta, possibilmente si muove meglio nell’emergenza, perché è l’unica cosa che sa fare. Il mondo di una persona che ha subito una violenza subisce alti e bassi d’umore che condizionano ogni scelta. Oggi c’è il picco di urla, botte e qualche cenno di ribellione e il giorno dopo sei sfinita, non sai neppure respirare, perché una violenza ti toglie fiato, energia, ti toglie soprattutto la capacità di agire con costanza e determinazione. Non per tutte forse è così. Per me lo è stato.

E io trovo che dire questo in Italia sia rischioso perché non c’è istituzione che guardi con rispetto ad una qualunque forma di privazione e disabilità. Chi dice di volerti aiutare in realtà non ti considera che una cavia per esercitare il proprio autoritarismo. Perché anche una persona “disabile” è perfettamente in grado di decidere, di scegliere quale è la “cura” che preferisce per se’. E se quella particolare mutilazione d’anima passa da una ulteriore prevaricazione della mia volontà, in nome di un non meglio precisato disegno repressivo che non mi rappresenta, su di me si compie altra violenza e io non avrò mai la possibilità di uscire bene dalla mia situazione.

Quello che chiedo, dopo questo lungo discorso, non rappresenta la pietosa e lacrimevole rivendicazione di una persona che mostra lividi e ferite per alimentare odio contro qualcheduno. Anzi: pretenderei che il mio ex possa contare sullo stesso aiuto eventualmente garantito a me, perché la sua vita è importante tanto quanto la mia. Dico solo che si tratta di dover essere consapevoli abbastanza per esigere diritti.

Ho vissuto una situazione che mi ha oggettivamente tolto delle opportunità. Non voglio assistenzialismi né giustizialismi. Vorrei che lo Stato mi garantisse la possibilità di costruire o ricostruire la mia indipendenza, risolvere, riparare, le mie mutilazioni, senza che si ritenga sia un problema individuale. Perché si tratta di un problema sociale.

Dunque mi chiedo se in un futuro possibile per le persone che vivranno una situazione come la mia ci sarà:

– istruzione, casa e lavoro, come strumenti di autodifesa (per non dover dipendere da famiglie violente);

– riferimenti sanitari precisi e preparati, equipe che si occupano, su mia richiesta, mai in Tso, senza mai obbligarmi ad assumere farmaci di nessun tipo, di riparazione delle mutilazioni. perché la riparazione delle mutilazioni non può essere solo a mio carico e io ho il diritto di trovare personale adeguato, formato, laico, che mi inserisca in un percorso studiato apposta per me.

Quello che dico secondo te/voi ha un senso?

Grazie

Anna

Ps: ho fatto solo alcune correzioni alla lettera per renderla più comprensibile e leggibile. Il contenuto della lettera di Anna è intatto. Lei, ovviamente, non si chiama Anna.

Posted in AntiAutoritarismi, Omicidi sociali, Personale/Politico, R-esistenze, Storie violente.