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Difesa della #Pornografia: se abbiamo perso il diritto di dire Si!

41XMmIqhm+L._SL500_AA300_Da Abbatto i Muri:

In Italia il filone censorio/proibizionista antiporno e antiprostituzione si è radicalizzato, non è quasi più possibile discutere in modo sereno senza incorrere in pseudo/scomuniche, tra l’altro, essendo noi una provincia periferica del nulla dove contano le stellette baronali di inclusione al branco che certe donne si restituiscono reciprocamente, non c’è la stessa libertà che orientativamente si intravede negli Stati Uniti (e in giro per il mondo) dove i femminismi, tanti, inclusi quelli che parlano di pornofemminista e postporno (di cui trovate alcuni link in fondo a questo post), comunque interloquiscono, dove c’è spazio e capacità di gestire politicamente le differenze e il conflitto senza rimuoverlo con “unità” forzate, eccessivamente mediate, che sentono il bisogno di ostracizzare aree femministe che dicono cose che non corrispondono a certa ortodossia.

Quel filone proibizionista/censorio in Italia, invece, con le sue alleanze con paternalismi, nuove forme di espressione della cultura patriarcale e donne reazionarie e conservatrici, ha toccato le stesse punte di integralismo della Dworkin e della MacKinnon (che poi sarebbe quella che ha delineato la maniera in cui le donne devono essere viste nel diritto internazionale targato Onu). Di fatto dalla loro politica bacchettona e atroce il femminismo italico sta ereditando un sacco di brutte cose, incluso l’approccio autoritario a difesa dei diritti delle donne. Per loro tutte le donne sono più o meno vittime e se abbiamo conquistato il diritto di dire No pare invece abbiamo perso quello di dire Si. Nel senso che non esiste consensualità che basti quando c’è di mezzo una scelta delle donne che contraddice il dogma del femminismo radicale delle filo Dworkin/MacKinnon perché se loro si sentono infastidite dalla vista di una donna nuda tutte quante dobbiamo sentirci infastidite.

Se una si sente schiavizzata nei lavori in cui si usa il corpo nudo allora tutte devono sentirsi schiavizzate. In una costante vittimizzazione del femminile, riproponendo una immagine carissima alla cultura patriarcale che vorrebbe le donne, in quanto donne, secondo “natura”, sessualmente passive, meno inclini al desiderio di fare certe cose, per cui se le fai è chiaro che devi essere ovviamente schiava, indotta, mai soggetto attivo.

In questa assenza di riconoscimento della diversità tra donne quel femminismo radicale, che in Italia si identifica con un tot di soggetti che io ho definito unite dal Donnismo, dove tutte dovrebbero essere accomunate da un comune sentire perché in possesso di eguale organo sessuale/riproduttivo, si realizza la missione di quelle che vogliono salvare le altre che non vogliono essere salvate. E se tu dici che non vuoi essere salvata – ovviamente – sei malata, difettosa, schiava del patriarcato, perché patologizzazione e criminalizzazione sono derivazioni naturali dell’autoritarismo di una idea che diventa impositiva, costrittiva, normativa per tutte le forme di autodeterminazione possibili.

Un femminismo che si esercita nel disconoscimento dell’altra, con simili risvolti autoritari, dove in ogni uomo si vede uno stupratore e in ogni atto consensuale una subordinazione oggettivata del femminile, per me è esattamente identico al fondamentalismo di chi fa pratica nei Movimenti per la Vita. Lo dico io ma lo lascio dire anche a Nadine Strossen che scrive la “Difesa della pornografia” per Castelvecchi. Intanto vi copio una citazione introduttiva e poi un paragrafo che spero vi interessi leggere. Buona lettura!

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“Le donne femministe si sono accanite in modo particolare contro i danni causati dalla censura […]. Storicamente, l’informazione relativa al sesso, agli orientamenti sessuali, alla riproduzione e al controllo delle nascite è stata proibita al fine apparente […] di “proteggere” le donne. Tali restrizioni non hanno mai diminuito la violenza. Al contrario, esse hanno condotto, ad esempio, all’arresto di Margaret Sanger, sostenitrice del controllo delle nascite, e alla soppressione di importanti lavori, da Our Bodies, Ourselves alle […] opere di Karen Finley e Holly Hughes. Le donne non richiedono “protezione” per difendersi dai materiali sessuali espliciti […]. La tipologia delle donne è tanto varia quanto quella di qualunque cittadino che viva in uno stato democratico: non c’è nessun accordo o codice femminista che stabilisca quali immagini siano ripugnanti o perfino sessiste. E’ diritto e responsabilità di ogni donna leggere, osservare o produrre materiali sessuali scelti senza l’intervento dello Stato “per il suo bene” […]. Questo è il grande vantaggio di essere femministe in una società libera.”

FEMINISTS FOR FREE EXPRESSION

da Difesa della Pornografia di Nadine Strossen (pagg. 84/85/86/87)

La visione della donna come strumento del maschio

Come è stato notato dalla scrittrice Cathy Young, fondatrice del Women’s Freedom Network, c’è un lampante parallelo tra il punto di vista di chi si oppone all’aborto per il fatto che nessuna donna può scegliere liberamente di abortire – o, come dicono, di “uccidere il proprio figlio” – e il punto di vista delle attiviste contro la pornografia, per le quali nessuna donna può scegliere liberamente di fare lavori sessualmente espliciti. Entrambi i punti di vista presuppongono una donna infantilizzata. Incapace di sapere qual è il suo interesse. Bisognosa per questo dello Stato, o di altre donne che richiamino l’attenzione dell’apparato legale dello Stato. Sotto tale aspetto, come sotto molti altri, l’alleanza delle femministe pro-censura con il Diritto radicale, sostenuto dai conservatori, è sostanziale è tragica.

La visione della donna come strumento del maschio, è il tema comune delle femministe pro-censura: le donne che guardano, difendono, posano per la pornografia sono in realtà marionette dell’uomo. Siamo di fronte a un mondo in cui le femministe antiabortiste credono che il diritto delle donne di scegliere l’aborto giovi solo agli abortisti, e in cui le femministe anti-porno credono che il diritto delle donne di scegliere le proprie espressioni sessuali giovi solo ai pornografi. Tuttavia, esse ignorano il fatto che ciò che più disprezzano riguarda molte donne e molti uomini.

Un altro tema unificante tra la Dworkin, la MacKinnon e le organizzazioni antiabortiste è che tutte richiamano il potente, negativo concetto di violenza carnale per descrivere ciò che esse vedono come un atto inevitabilmente involontario da parte della donna. La Dworkin e la MacKinnon fanno un’analogia tra il rapporto sessuale e la violenza carnale, le donne antiabortista descrivono l’aborto come una “violenza carnale chirurgica”, Inoltre, rafforzando la comunanza dei punti di vista antiabortista e antiporno, la Dworkin ha usato l’identico termine “violenza carnale chirurgica” per descrivere la nascita di un figlio. nel suo libro Pornography: Men Possessing Women, la Dworkin afferma la “pornografia della gravidanza” e condanna la nascita attraverso il taglio cesareo come una “scopata chirurgica” fatta da “un nuovo violentatore, il chirurgo” (a dire il vero, negli Stati Uniti c’è stato un uso eccessivo del taglio cesareo, ma il sensazionalismo della Dworkin, che sessualizza e demonizza i dottori, può rappresentare un’influenza negativa per tutte le donne che sono realmente a rischio).

Questa che segue è la sua orripilante descrizione:

La gravidanza è la conferma che la donna è stata scopata: è la conferma che è una vulva […]. L’ostentazione sottolinea che è una puttana […]. la sua pancia è la prova che è stata usata. La sua pancia è il trionfo del fallo. […] La gravidanza è la punizione per la sua partecipazione al sesso. Si ammalerà, il suo corpo si storpierà in migliaia di modi, morirà. L’eccitazione sessuale è in lei una possibile morte […]. E ora, i dottori aumenteranno la dose di sesso, per la stessa nascita […] tagliano direttamente l’interno dell’utero con un coltello, una scopata chirurgica. Ella è legata, immobilizzata dalle corde […], le sue gambe sono aperte; le danno la droga per cominciare il lavoro. I loro legacci e le loro droghe le causano un immenso e insopportabile dolore; […] è drogata e fatta a fette dall’interno, scopata chirurgicamente. L’epidemia del taglio cesareo in questo paese è un fenomeno sessuale, non medico. I dottori salvano la vagina – il vecchio canale per la nascita – per il marito; scopano l’utero direttamente, con un coltello. Il parto moderno […] proviene dalla metafisica, dominazione sessuale del maschio; è una puttana, che sta là per essere usata, l’utero della puttana è direttamente penetrato dal nuovo violentatore, il chirurgo, la vagina viene salvata per essere offerta al marito.

In armonia con il punto di vista delle femministe pro-censura che individuano la passività della donna in campo sessuale, la MacKinnon si è pronunciata sul diritto all’aborto in un modo alquanto simile a quello degli antiabortisti, criticando la decisione della Corte Suprema del 1973 Roe contro Wade che riconosce alle donne il fondamentale diritto di abortire, poiché “facilita la disponibilità eterosessuale delle donne” e “libera l’aggressione maschile” eliminando una delle poche “legittime ragioni che le donne avevano di rifiutare il sesso“. Infatti, sebbene la MacKinnon sostenga il diritto della donna all’aborto, lo fa per una ragione paurosamente simile a quelle della filosofia antiabortista, cioè che le donne dovrebbero essere forzate a portare a termine quella gravidanza che sia stata causata da un rapporto non consensuale; egualmente, molti attivisti “per la vita” sono propensi a tollerare l’aborto quando una gravidanza è l’effetto di una violenza carnale. Come ha osservato la professoressa Jeanne Schroeder, sintetizzando il punto di vista della MacKinnon:

Le donne hanno bisogno dell’aborto come un rimedio perché la sessualità è […] un colpo loro inferto. L’aborto restituisce la scelta permettendo alle donne di rifiutare le conseguenze dell’eterosessualità […]. Per la Mackinnon non è possibile sapere se l’aborto sia necessario, o addirittura eticamente accettabile, in una società in cui esistesse l’eguaglianza sessuale.

Lo svalutato punto di vista sulle donne delle femministe pro-censura è non solo che noi non possiamo mai liberamente, intelligentemente consentire a posare per materiali pornografici, ma che, nella loro angosciata visione del mondo, i corpi delle donne sono meri strumenti per l’aggressione e il dominio sessuale del maschio. Ironicamente poi, mentre la parola d’ordine del movimento per la libertà riproduttiva è stato sempre “un corpo di donna, una scelta della donna”, un’appropriata parola d’ordine per le femministe pro-censura potrebbe essere “Un corpo di donna, una scelta dell’uomo”.

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[Il corpo nudo è nostro e lo gestiamo noi. Beccatevi ‘sto video contro i tagli al sociale realizzato dalla commissione Femminista di Sol – Madrid]

[fakin iurop, Ideadestroyingmuros – testo tradotto in italiano QUI]

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