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La violenza economica è violenza di Stato

Dal Corriere.

Una ragazza resta incinta e fa un figlio. Il figlio è del padre, cioè il padre della ragazza. Pare che la ragazza abbia subito abusi per un tot di tempo e che ora, maggiorenne, abbia appunto partorito un bimbo.

Dice il Corriere che:

all’uomo è stato imposto l’allontanamento dal domicilio e il divieto di vedere la ragazza: ma quando ha cercato di incontrarla, secondo gli investigatori per tentare di condizionarla psicologicamente, per lui sono scattate le manette.

La famiglia della ragazza era omertosa, racconta il Corriere e per evitare scandali volevano obbligarla ad abortire. La segnalazione alle forze dell’ordine è arrivata da fonte anonima e sono andati a liberare la ragazza da questa famiglia senza capo né coda.

Quel che resta da chiarire è: da quanto tempo padre e figlia vivevano come moglie e marito? Chi altro c’era in quella casa? La mamma dove cazzo stava? Fratelli? Sorelle? Zie? Zii? Cugini? Andava a scuola? Gli insegnanti non si sono accorti di niente? Ed è possibile che non andasse neppure a scuola perché ancora, nel meridione, ma credo anche altrove, queste cose succedono, e dunque come si fa a dire ad una ragazzina che non è proprio una cosa sana che un padre abusi di una figlia e che le tolga la libertà di essere figlia e la faccia diventare la sua consorte suo malgrado?

L’omertà in queste vicende, e non è la prima che ho sentito dalle mie parti, gioca un punto enorme. Se la famiglia si preoccupa tanto di più della reputazione del loro buon nome che della salute psico/fisica della ragazza non c’è poi tanto da spiegare. Ma qualcosa da spiegare in effetti però c’è.

Si tende a coprire un abusante perché può dire che non bisogna credere a chi l’accusa ma anche perché si attribuisce una responsabilità alla ragazza e in una logica che toglie di mezzo il bianco e il nero e analizza le complessità ci sta che pure la ragazza si senta responsabile. Si copre l’abusante perché è un padre di famiglia, forse, e perché senza di lui non mangiano, non avrebbero un tetto, non avrebbero nulla. E in questo gioca l’ignoranza ma anche l’assenza di autonomia e lavoro.

Le contraddizioni all’interno delle famiglie esplodono se le persone sono autonome, economicamente indipendenti, perché altrimenti soccombono ad un ricatto che non ha soluzioni. Se lo denunci dove vai? Allontanarlo da casa è un atto di salvezza? E poi cosa ti dà lo Stato a te donna che denunci e che vuoi continuare ad esistere da sola?

Ce l’hai un lavoro? O devi consegnarti ai tuoi tutori e alla famiglia di provenienza, sempre che ti ripigli? O sarai costretta un giorno a riprenderti quell’uomo e a dire a tutti che si facciano i gran cazzi loro perché non se ne esce?

Il reddito, l’indipendenza economica è fondamentale per avviare percorsi di liberazione da questi schemi anacronistici.

In Sicilia come in tutto il meridione le donne sono disoccupate in quantità spaventose e sono spesso dipendenti da mariti, padri, famiglie di provenienza o ex.

In situazioni di dipendenza economica capita che chiunque si consegni a qualcun@ nella speranza che tu abbia culo e becchi la persona che non ti farà del male. Chiunque e di qualunque genere.

La violenza economica è di Stato ed è una violenza che precede qualunque altra violenza e tocca tutti/e noi. Se non risolvi quella tutto il resto sono chiacchiere.

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