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Mercificazione e speculazione sulla violenza sulle donne

E’ una questione complessa quella che attiene alla costruzione della credibilità delle donne quando si parla di violenza. Ci fu un tempo, che non è certo tramontato, in cui le donne sono state assunte come bugiarde e mai credibili. Qualunque cosa accadesse loro veniva detto e scritto che erano sempre colpevoli e anzi era molto semplice liberarsi di donne che denunciavano di aver subito abusi o si ribellavano perché bastava patologizzarle, erano pazze o erano streghe e dunque meritavano il rogo.

A quella fase, incredibilmente lunga, che è stata resa tale da una serie infinita di mentalità e convenzioni che discendono prettamente dalla cultura patriarcale, chiunque poi la reiteri e la reinventi, ne succede un’altra che è quella della presunta angelicità della donna, la sua innocenza in capo a tutto. Talune donne in lotta contro la violenza sulle donne dicono che le donne sono sempre innocenti e dicono che dunque sono sempre vittime. Pensare alla verità opposta è impensabile. Perché innanzitutto bisogna portare avanti un dogma preciso che stabilisce la veridicità delle affermazioni delle donne in ogni caso e sempre in nome di una lotta contro la violenza subita che se anche facesse qualche vittima collaterale chisseneimporta.

Dunque dicevo: donne vittime sempre, la loro testimonianza assunta con valore probatorio nei processi, anche in assenza di prove oggettive, basta che la donna dica che ha subito uno stupro e lui rischia intanto di essere accusato, denunciato, arrestato, e perfino condannato.

Dalle sentenze per quel che sappiamo succede spesso il contrario, ovvero che le donne vittime di stupro accusano ma poi si pentono perfino di aver denunciato ché dato che il processo si basa tutto sulla loro parola è ovvio che su quella si misura l’accusa che distrugge la credibilità della denunciante a partire dalla sua reputazione, ripresa e giudicata con moralismi degni della santa inquisizione. Dunque se sei santa forse riesci a fare condannare qualcuno ma se sei una la cui vita non riassume i valori della cultura dominante allora non hai di che sperare.

Poi esistono casi in cui, c’è chi lo afferma, che gli uomini vengano considerati colpevoli a prescindere e si difendono anche loro con delle generalizzazioni dicendo che ci sono un tot di false accuse che sono agevolate da un sistema che appunto deriva nettamente dalla costruzione di una cultura che assolve le donne a priori.

Come si realizza quella assoluzione? I femminismi di un certo tipo, più spesso quelli autoritari, collaborati certo da tante donne spaventate e sole e dunque orientate alla difesa di se stesse, hanno pensato bene di produrre una teoria che ricalca perfettamente quella pressappoco medioevale. Le donne sono angeli a prescindere perché per “natura” sono così e dunque sono vittime per antonomasia, portatrici di vita, partorienti, madri, e da lì deriva la sublimazione di quel ruolo che tuttora è origine di un ritorno al maternage che ha sapore pre-fascista, sono naturalmente votate alla cura e dunque mai portatrici di guerra e violenza.

La donna-angelo non può mentire ma, beninteso, non può neppure scopare, non è più neppure sessuata, non può permettersi di mostrare il suo corpo come vuole perché già si parla di dignità offesa. E’ solo madre, compagna, al più donna in carriera alla maniera di una qualunque ministra Fornero, ma resta comunque una specie di bambina da proteggere perché là fuori c’è lui, l’orco, il maschio, che attenterebbe alla nostra vita in ogni situazione possibile e immaginabile.

Salvezza e condanna. Nel produrre un capovolgimento delle culture, dalla demonizzazione alla santificazione siamo arrivati ad ora in cui le risposte, certe risposte sociali, sono in reazione alle contraddizioni che questa modalità rende evidenti e tendono da un lato ad una rinnovata demonizzazione, il cosiddetto gender backlash, che ripropone un ripristino delle questioni di modo che le donne tornino ad essere non credute e mai prese in considerazione e dall’altra c’è chi solleva un dubbio e dice che ‘ste vittime collaterali cominciano ad essere veramente tante e poi che l’assoluzione preventiva per le donne diventa principio di colpevolezza a priori per gli uomini. Cosa, questa, che dà origine ad una serie di storture processuali che ampliano il discorso sulla violenza e lo estendono fino alla soggettivizzazione del reato che non è più oggettivo. Può essere classificato tale ciò che per me è violenza ma non tutte le violenze sono reati.

La deriva autoritaria parte da lì ed è necessario vederla nel momento in cui si permette alla legge, allo Stato, di moralizzare la sessualità e le vite delle persone generalizzando un dato che può essere soggettivo. A qualcuna può dare fastidio essere guardate in bus ma a qualcun’altra anche no. Vado per paradossi. Quello che succede è che sulla base di un dato soggettivo, legittimo, immensamente legittimo perché ciascun@ sceglie le modalità di interazione con gli altri, si stabilisce una politica contro la violenza sulle donne. Se io dico che “Violenza sulle donne è… quell’uomo che mi guarda ogni mattina sul bus” allora ci sarà chi si spende in una campagna per sensibilizzare contro gli sguardi sui bus e poi qualcuno chiederà che venga sancito il reato di sguardo sul bus e nel momento in cui tu induci alla persecuzione di un reato che hai classificato, come classificheresti qualunque tipo di malattia psichiatrica o di vizio sociale, quel reato di colpo prende consistenza perché ciascun@ si renderà conto di essere stata guardata almeno una volta nella vita in un bus e dunque aumenteranno le denunce e lo Stato e i soggetti richiedenti dimostrano con quelle denunce l’esistenza di quel grave crimine e poi dimostrano anche la necessità di una speciale task force che si occupi proprio degli sguardi sui bus. Essere vittime della guardata sul bus assumerà valore sociale, restituirà uno status e quindi ci sarà chi prenderà in prestito la Taliata sul bus per ottenere attenzione pubblica, per uno scopo qualunque. Dunque ci saranno quelli che diranno che ci sono un tot di persone denuncianti che raccontano balle. Infine ci saranno gli uomini che diranno che le donne guardano tanto quanto e che non si tratta di un reato di genere perché le donne sono in verità delle guardone e allora chiederanno inchieste in questo senso e la faccenda andrà avanti all’infinito fino a che donne e uomini come modalità di rivoluzione sociale e di ribellione antiautoritaria cominceranno a compiere gesti di disobbedienza e si metteranno a guardarsi tra di loro e vaffanculo a tutti.

La violenza sulle donne è diventato business. Si tratta di marketing che segue le stesse modalità di comunicazione per la vendita di un qualunque altro tipo di prodotto. Si tratta di commercio fatto di carne e principi e idee fatto sulla nostra pelle e che ci espone non solo a tutto questo ma anche alla totale espropriazione della lotta, dell’autodifesa, della narrazione pubblica, della autorappresentanza, della percezione stessa di cosa sia violenza e di cosa non lo è.

Violenza sulle donne è…? Per me è anche questo. Ed è così difficile parlarne senza essere fraintese. Ma dunque il punto è che allo stato attuale abbiamo ancora una donna totalmente santificata e l’essere santificata confligge inevitabilmente con quello che io voglio essere in un’aula di tribunale. E’ più che ovvio che se la stessa sostanza teorica che dovrebbe aiutarmi a difendermi dalle violenze mi relega nel ruolo della donna-angelo io non vincerò, se è quello il sistema che voglio usare, nessun processo. Non sarò mai creduta se sarò ubriaca, se scopo con più di una persona, se sono tutto ciò che alla donna angelo non è lecito fare. La teoria che dovrebbe salvarmi in realtà mi condanna perché deriva dalla stessa cultura patriarcale e nello sforzo di ribaltarne i significati l’ha perfettamente riprodotta, ne è l’esatto opposto in termini di riproposizione di gerarchie che alimentano guerre senza fine tra i due generi. Migliore tu? No. Migliore io. E si va avanti così all’infinito.

E dunque per essere credibile quando e se subisco violenza io non devo essere santa proprio mai. E questo significa che devo anche smettere di considerare necessarie le vittime collaterali perché perdo e perdo in ogni caso e perdiamo tutti. Quando un uomo accusato ingiustamente viene assunto come colpevole senza che nessuno abbia mai dimostrato niente io perdo e perdo anche quando una donna che è davvero stata stuprata viene lasciata sola e non creduta perché aveva bevuto.

Perciò ho il dovere di ripensare, secondo il mio parziale punto di vista, queste teorie e di leggerne le grandi contraddizioni che mi espongono a rischi enormi, non ultimo quello di una ulteriore delegittimazione e criminalizzazione proprio in quanto donna a sostegno di tesi che mettono in luce un fenomeno del quale si occupa un certo maschile ma del quale dovrei occuparmi anch’io, contraddizioni dunque che espongono la società tutta al rischio di un indottrinamento di massa sulla base di una mercificazione di bisogni indotti anche in termini di diritti individuali e civili.

Posted in AntiAutoritarismi, Critica femminista, Pensatoio, R-esistenze.


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