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Violenza di genere: bio-uomo e bio-donna

Uno degli interventi in mailing list a proposito di questo tema. Segue a quello di Luminal già pubblicato. Altri ne seguiranno. Come il post precedente anche in questo propongo spunti di riflessione già lanciati in lista a partire da riflessioni di altre persone evidenziate in corsivo. Buona lettura.

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di Lafra

La violenza di genere non appartiene a donne e uomini “indifferentemente”. Ci sono delle specificità ed è giusto approfondirle.

Non è che se noi affermiamo che le cose non esistano o esistano in un determinato modo allora queste si trasformano esattamente come noi le intendiamo o come vogliamo che siano. Sulla violenza di genere si sa abbastanza per poter dire con molta tranquillità che è agita da parte degli uomini contro le donne, direi anzi che è una vera e propria guerra di un genere contro l’altro e su questo insomma hai voglia a dire che non è così perché per fortuna c’è abbastanza “materiale” dal quale si evince in modo netto e preciso la misura, la qualità, la dinamica del fenomeno.

Mi sembra che ci sia una confusione tra piano biologico e concetto di genere. Allora i meccanismi di violenza di genere si originano o no in un sistema economico-poltico-sociale-relazionale patriarcale (occidentale)?
E’ importante capire se condividiamo questa premessa. Perché se pensiamo che non ci sia una matrice sistemica (che come femministe decliniamo con il termine patriarcato) non ci capiamo proprio sulle parole e cosa intendiamo con il termine sistema. Questa premessa serve a fare un ulteriore passetto logico avanti. Se il sistema patriarcale determina, condiziona, giustifica, origina e motiva le disparità di genere, le violenze, i soprusi ecc. non ne siamo tutti coinvolti in quanto facenti parte dello stesso sistema?

In questo nostro esserne coinvolti, ogni soggetto (bio-donna o bio-uomo) è chiamato a ricoprire il suo ruolo di Uomo e Donna in determinati binari di genere, binari che oltre a imporre una estetica sin dalla nascita, un tipo di linguaggio, una sessualtià eteronormata, una determinata prospettiva di vita, impongono anche forme di relazione affettive “violente”, ossia basate su ruoli imposti, su dipendenze, su aspettative reciproche che non tengono conto dei potenziali desideri dei singoli (che sia amicizia, coppia, lavoro ecc). La discriminazione di genere è poi funzionale a questo sistema per motivazioni economiche e di mercato precise (la buona vecchia divisione sessuale del lavoro che ovviamente si rimodella e si rideclina di pari passo con le esigenze del capitalismo).

Pensare la violenza di genere come una caratteristica portante del sistema patriarcale mi fa stare molto stretta la definizione di violenza maschile che si sta provando a dare in termine di violenza associata ai bio-uomini. Mi sta stretta perché secondo me concettualmente pone come scelta del termine un paradigma di riferimento errato. Dire che la violenza è “maschile” implica mettere al centro del problema il maschile, bio-uomo, è naturalizzare la violenza, incarnandola in un sesso (e non in un genere come si prova poi a dire a parole, quindi tantomeno ad un sistema). Maschio non è uomo. Eventualmente il maschio (bio-uomo) che agisce violenza mette in atto la parte violenta che il genere a cui per sistema dicotomico appartiene, consapevolmente o meno, per ottenere dei benefici, perché è stronzo sul serio o perché a sua volta agito dal sistema stesso in cui è inserito.

Chi ha avuto esperienza di lavoro in un centro antiviolenza e ha ascoltato i racconti di donne maltrattate sa che, seppure ognuna con le sue specificità, queste storie seguono tutte uno schema simile, ma anche certe parole, certe frasi, certe situazioni si ripetono a fotocopia.
Vogliamo credere che questo accade perché gli uomini e le donne nascono tutte uguali con gli stessi sbagli e modalità relazionali violente stampate nel dna o sono meccanismi che si ripetono costantemente perché il sistema patriarcale ti spinge in continuazione in una sola direzione?

E poi riconoscere che la violenza di genere appartiene ad un sistema prima che ad un sesso specifico, e quindi che lede e condiziona chi sotto questo sistema ricade, ognuno secondo il suo ruolo, invece che un solo sesso specifico, è da considerarsi negazionismo dell’esistenza della violenza di genere o un voler scavare a fondo nella sua origine per provare a lottare per prevenire e costruire alternative?

Questo pensiero non può essere considerato negazionista della violenza, ne tantomeno revisionista. Al limite può esserlo nei confronti di interpretazioni della violenza in termini di maschile-femminile.

Ok questo per me è detto abbastanza alla spicciola un minimo di cornice teorica in cui ci possiamo muovere, con idee simili o differenti. Però se su questo ci sono dubbi o divergenze di significati allora è abbastanza ovvio che non ci si capisca e si preferisca lanciare invettive.

Detto questo io condivido il fatto che ognuno è situato in questo sistema e dove è dal sistema collocato ha responsabilità, privilegi, e fascismi vari interiorizzati differenti. Ci sarà chi sarà un bio-uomo che per questo suo essere situato come genere uomo si sentirà in diritto di considerare sua moglie una proprietà e la picchia, la stupra o la ammazza se lei lo vuole lasciare e poi ci sarò io bio-donna, di genere confuso, che fa patire le pene dell’inferno al suo compagno bio-uomo, molto più queer di lei, che frena e imparanoia perché si porta appresso un bel grumo di gelosia in pancia che guarda un po è proprio senso di proprietà.

Qui dobbiamo parlare delle nostre esperienze. Perché se non riconosco che io con le ovaie e pane e femminismo per anni sono molto più patriarcale del mio compagno, bio-uomo, mi dici con che presunzione mi posso mettere a pontificare su tutti i cazzo-muniti di questo mondo? Voi vi sentite all’altezza per farlo? Brave, ma non mettete in dubbio l’onestà intellettuale di chi come me riconosce di non essere proprio patriarcalmente assolta.

Non possiamo dare per scontate o svilirle a marginali le nostre esperienze. Perché se vogliamo rimanere su un piano solo teorico allora andiamo a fare le accademiche in poltrona, siccome siamo militanti ci serve usare il cervello e la teoria politica per affrontare i problemi delle persone e magari risolverli.

Per cui revisionismo e negazionismo io lo direi a chi vuole sminuire la mia esperienza e ancora una volta rincasellarmi nella stessa marcia dicotomia di genere. Dove ci sarà la netta divisione tra la violenza sulle donne e la violenza maschile. Con paletti belli stretti e dove le donne che portano avanti la stessa modalità patriarcale sono solo delle colluse, delle esterne che solidarizzano, invece che parte integrante dello stesso sistema. Perché io quando sono gelosa ad esempio non mi sento una collusa col patriarcato mi sento proprio programmata per vivere male e far vivere male pure chi mi sta accanto. Agisco una violenza e vivo male. Doppietta, altro che collusa.

Poi ovviamente io condivido quello che dice Luminal, e che in tutta buona fede stiamo semplicemente osservando lo stesso fenomeno da due prospettive diverse. L’ultima cosa che ci tengo a dire è che evolvere e rimettere in discussione alcuni termini e alcune certezze mi sembra un esercizio e una forma di lotta propositiva. Per cui mettere in discussione l’uso della declinazione della violenza di genere come maschile è da leggersi in tal senso. Chi invece ne è ferma sostenitrice lo argomenti senza dare della negazionista. E lo argomenti con l’onestà intellettuale di non farlo per esercizio contrappositivo ma perché basato su un pensiero e una convinzione indipendente dal discorso differente qui esposto.

Posted in Affetti liberi, Critica femminista, Pensatoio, Scritti critici.