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La società de/generata di Alex B: libri da non perdere e approfondimenti transgender!

Tutti i camp, i meeting – internazionali o meno – gli incontri reali insomma, oltreché momenti imperdibili sono anche ottime occasioni di spulciare i vari banchetti e scovare delle chicche assolutamente da non perdere! Così all’ultimo Incontro di Liberazione Animale abbiamo scoperto un libro che si è rivelato davvero una delle migliori letture di quest’anno: stiamo parlando di La società de/generata –  teoria e pratica anarcoqueer – di Alex B.  Ne avevamo già iniziato a parlare qui, auspicando di riuscire a ricopiarlo tutto (il libro è no copyright)… senonché la lunghezza dello stesso – circa 250 pagine – ha finora impedito a questo desiderio di realizzarsi compiutamente! Rimandandovi perciò alla descrizione già fatta di questo splendido libro nel precedente post (ma caldeggiando nuovamente l’acquisto e la divulgazione con ogni mezzo di un testo davvero unico!), vorremmo qui condividere la discussione che da questa lettura è scaturita in Mailing List FaS, incentrata sull’approfondimento della tematica transgender; ricordando a tutt* noi, peraltro, che il 20 novembre verrà celebrato in tutto il mondo il Transgender Day Of Remembrance, in ricordo dell’assassinio della transessuale Rita Hester a Boston nel 1998: occasione che il movimento LGBT internazionale ha istituito per ricordare come siano ancora forti e radicati il pregiudizio, l’odio e le discriminazioni nei confronti delle persone transgender.

Vogliamo ringraziare infinitamente la nostra splendida Mailing List, per tutte le suggestioni e le riflessioni che sono state proposte, che vogliamo condividere anche qui dal momento che le reputiamo davvero pregnanti: la discussione è stata lunga e approfondita, perciò fatevi un thé, sedetevi comod* e…Buona lettura!

(Feminoska)
[…] A seguito di alcune chiacchierate e trovandomi in corso di lettura del bellissimo (per me, almeno) ‘la società de/generata’, c’è una domanda alla quale non so ancora dare risposta, magari solo per mia attuale ignoranza e mancanza di approfondimento in merito. […] Se mettiamo in discussione il sistema binario di generi (maschio, femmina) e postuliamo invece che i generi siano più di uno, o comunque che quello del genere sia un continuum dove possono essere contemplate tutte le possibili sfumature, allora i transgender FtM o MtF non rinforzano, o quantomeno si piegano, sempre alla stessa logica binaria che li vuole o maschi o femmine, ma sempre con caratteristiche, fisiche, di aspetto e quant’altro ben definite? Insomma, politicamente… non è un pò tirarsi la zappa sui piedi? E siccome poi il personale è politico, a livello personale, la forza che viene impiegata nel subire tutto il travaglio fisico/psicologico al quale si deve far fronte quando si decide di farsi etichettare da ‘disforici di genere’, dove deve condurre? Ad essere chi/cosa? E soprattutto, qual’è la qualità intrinseca di un maschio o di una donna che fa sentire qualcun* di vestire i panni del ‘genere sbagliato’? E devo per forza vestire i panni di un genere definito? […] perchè, mi domando, invece di esplorare quanto siano labili i confini della propria mascolinità/femminilità e quanto porosi si rivelino in realtà, si decide per una via cruenta, ipernormata e totalitaria come l’unica proposta a livello ‘istituzionale’ qui in italia? Insomma, se i generi non sono due perchè dover sempre e solo scegliere tra maschi e femmine? (lo dico immaginando un mondo dove gli uomini possano avere capelli lunghi, smalto e gonne o il contrario, e le donne i capelli corti i peli lunghi e i baffi o il contrario, e dove ognuno possa plasmarsi esteticamente e interiormente come più gli aggrada, così come amare chi desidera senza dover scegliere se essere omosessuale o etero o qualsiasi altra cosa). Vaneggio?

(lafra)
[…]Il tema che proponi è interessante. tanto analizzato dai gender/queer studies quanto svicolato il più possibile all’interno di molti movimenti femministi (in italia poi quasi a zero pure nelle accademie e forse per noi è un bene). Penso che in parte aiuterebbe pensare che per quanto io sia bianca, classe media eterosessuale, sposata con figli eccetera, insomma per quanto incarni lo stereotipo della donna, comunque sto mettendo in atto una performance di me stessa, rappresento la mia percezione di me. Io parlo per me: la visione del mio genere non è statica ma è di transito. Non ho idea di quale sia il genere (o la performance) a cui voglio approdare, forse a differenza di un MtF ad esempio che ha una idea più o meno vaga di qual’é il suo obiettivo o la sua idea di realizzazione di accettazione di sé. Mi scuso se dico cose che non per tutti sono tali e taglio i concetti con l’accetta. Ad esempio sto lavorando molto nell’osservare mie coetanee in contesti un pò distanti da quelli che solitamente scelgo. Mi capita frequentando amiche di infanzia con interessi diversi o sul lavoro. Tante volte mi sono fermata a riflettere sul fatto che per quanto esteriormente non abbiamo differenze di genere che ci connotino come generi appunto differenti, per quanto riguarda modi di fare, relazionarsi, espressività corporea, percezione dello spazio e modo di riempirlo, mi sento proprio su un altro pianeta, e quindi posso dire che vivo una performance femminile per come mi vesto, porto i capelli, i prodotti per l’igiene che uso, ma la mia performance femminile non è la stessa che fanno altre, e a volte mi piacerebbe anche dargli una definizione per capire il senso di straniamento che provo guardando quelle che a tutti gli effetti la società riconosce come “mie pari” nell’ordine di genere. Il sentirsi “differenti” ha anche una connotazione di genere e sarebbe bello avere gli strumenti per investigarla. Tornando alla tua domanda,per me a questo punto di riflessione non è tanto il binarismo il problema, forse lo sono di più le etichette, quelle che si chiamano in termini politici “identità”. Servono le identità politiche nelle lotte che hanno a che fare con il genere? Dipende. Come sempre dovrebbero essere funzionali ad un obiettivo, penso alla lotta per la depatologizzazione trans che fanno in Spagna, in cui l’identità trans serve a creare un soggetto politico forte per lottare contro delle leggi di uno stato. Ma a noi, nelle lotte individuali quotidiane per lavorare e riflettere su noi stess*, serve identificarsi in un soggetto politico dal genere definito? Reputare di aver un obiettivo di performance a cui tendere o di cui si fa parte non è forse limitare le potenzialità della ricerca e della crescita individuale?

(strix)
Interessanti quesiti e stimolanti idee, a cui non c’è risposta univoca, e qui sta il focus della genderizzazione forzata a cui tutt* siamo sottopost*. Ci hanno spacciato l’appartenenza al sesso e al genere come ineluttabili e necessari per approdare a una “realizzazione” di sé e del sé che invece è mutevole e in continua elaborazione.  La necessità di sovvertire l’ordine eterosessista attraverso le manipolazioni ormoniche e chirurgiche dà spallate notevoli al senso di presunta sicurezza, ma rimette in ballo le questioni, appunto, della decodificazione di ruoli e relazioni.
Il corpo è il punto di partenza, la nostra manifestazione simbolica e reale di ciò che siamo/vorremmo essere/desideriamo essere/eravamo/saremo. Un immenso contenitore che presenta la sua limitatezza e che può anche divenire fonte di angosce e terribili repressioni. Se non siamo corpo e siamo solo mente, cosa assai improbabile, si giunge a conclusioni diverse, ma assimilabili, poiché anche la mente propone concrete espressioni che si basano sì su pensieri (consapevoli, inconsapevoli,  verbali, iconici, etc.) ma allo stesso tempo si manifesta nei comportamenti e nelle azioni. La separatezza tra natura e cultura, che tanti danni ha fatto e continua a fare, non è altro che un marchingegno che consente di scindere un insieme articolato sia in termini di soggettività che di collettività e financo di extrapersonale. Nessun* è al riparo dall’interrogazione continua che ci inducono a porci: maschi/femmine/trans? Domanda retorica, perché la risposta risiede sempre nell’agorà poltica,sociale, culturale ed economica in cui tutt* siamo inserit*. Seppur sia vero che in culture altre da quelle occidentali, europacentriche, bianche, ci siano stati tentativi e realizzazioni di manifestazioni di un desiderio di superare le barriere di sesso e genere, è anche vero che i fenomeni, se così possiamo chiamarli, venivano comunque interpretati come espressione di una manifestazione di “specialità” da indicare come vicinanza a un mondo extraumano, producendo così sciaman*, curander*s, stregonerie. Insomma margini dorati, ma sempre margini.

(vivi)
Del problema delle categorie parlavo proprio ieri con un amico. Alle vostre domande io non so dare delle risposte, posso solo dirvi cosa ci ho capito fin’ora. Partendo dal presupposto che il genere è un costrutto, anch’io mi sono posta un bel pò di domande. Una in particolare: il perchè delle identità di genere. Me lo sono posta anche perchè non so come definirmi. Io non mi sento etero, ma neanche lesbica, e neanche bisex… mi vanno stretti.. ma non sono trans e neanche intersex… allora cosa caspita sono?? Nella vita quotidiana, cioè nel vivere le relazioni che intreccio, questo non saper dove collocarsi non mi ha creato problemi, dato che gli affetti per esser vissuti non hanno bisogno di categorie. Il problema si pone quando si parla di politica e di rivendicazioni. In generale mi definisco queer anche se non è una definizione, ma una non definizione… però mi sono ritrovata a definirmi lesbo quando era necessario. Mi sono ritrovata sempre molto stretta nelle definizioni eppure ho sempre continuato ad usarle, perchè senza non so come farmi capire. Penso che il problema non siano le definizioni in sè, ma il fatto che per noi esse siano limitanti e delimitanti… ma chi lo ha deciso? Se devono esserci categorie allora vorrei che fossero aperte, sempre in rinnovo e mai escludenti. E questo credo valga anche per i trans. Ieri, parlandone con un amico, si è parlato di un’inchiesta fatta un pò di anni fa in cui si chiedeva a non so quanti trans di definirsi e, cosa prevedibile, uscirono tutte definizioni diverse. Lo stesso credo capiterebbe con tutte le altre identità, escludendo ovviamente gli stereotipi che vengono ripetuti come un mantra perchè ce li hanno inculcati. Sulla domanda, che credo di aver capito, ovvero perchè i trans dopo tutte le teorie fatte, alla fine, cadono loro stessi nel binomio maschio e femmina, non so cosa rispondere perchè non so se prendere le loro scelte come un ritornare indietro (facendosi accettare come uomo o donna) oppure un modo per ampliare quelle categorie rendendole alla fine nulle.

(frantic)
Ritorniamo all’annosa questione di: cosa è il genere? Io sinceramente non lo so ma per come lo vivo io, è una specie di metaforico scatolone in cui ci sono tutte le aspettative e doveri “tradizionali” e tutto il resto in un primo momento collegati al tuo “sesso di nascita”: “femminilità” (se nasci femmina) o “mascolinità” (se sei maschio) o, ancora, di corsa alla normalizzazione chirurgica e non (nel caso di un/un’ intersessuat*). questo, comunque, non lo rende immutabile, e questa “scatola” può essere cambiata, modificata, ecc. con tutto quello che ne consegue. Può essere una scatola blu con gonne e fiocchettini o rosa con la barba.., ma pure viola, verde, eccetera. Oppure può contenere i ruoli che la società ritiene “giusti” per te e che te ciecamente accetti: dipende da te. Puoi prendere la scatola e renderla come ti pare o non prenderla affatto. Non ci sono definizioni comuni per queste parole, ma se parliamo di mondo trans* non parliamo esclusivamente di transessuali (le mtf/i ftm) ma anche di persone transgender in generale e genderqueer. Nello specifico metterei un accento su questi e queste ultim, perché è un’identità che non si riconosce nel binarismo, ma alcun* di loro (non tutt*, ma un po’) genderqueer dicono di trovarsi nel “mezzo”: e trovarsi nel “mezzo” non significa riconoscere l’esistenza di due poli? La binarietà di genere è il mezzo con cui il patriarcato può creare due ruoli ben definiti (se non puoi definire chi è oppresso e chi è oppressore, come fai a definire l’oppressione?) ma c’è a prescindere dall’esistenza di persone transgender. Se lo rinforzano loro, non lo rinforzano ancor di più le persone cisgender? Consideriamo donne mascoline e uomini femminili cisgender o transgender? Nascere femmine e sentirsi donne ma esprimere ruoli che la società non considera femminili è essere transgender? Non c’è un modo con cui determini esattamente se sei donna, uomo, o chiunque altr*, è il tuo sentire e il tuo definirti (e, eventualmente, le pressioni a sentirti e a definirti) che lo stabiliscono. E basta. E qui vengono meno tutte le categorie, perché un corpo nato femminile che assume un’apparenza maschile potrebbe benissimo essere una “butch” ma anche un transgender (e viceversa). Idem per quanto riguarda il “contrario”. Da qui la necessità di un termine ombrello, che piuttosto di spingere gli appartenenti alla categoria a normarsi, spinge la categoria a ridefinirsi in base a chi ne fa parte. In più nessuno, se non un* scem* totale, motiva il transgenderismo con “da piccolo mi comportavo come se fossi del sesso opposto” – la disforia (che è totalmente soggettiva da caso a caso, ergo io parlo per me) è una cosa molto fisica. Banalmente parlando: io non vorrei essere un macho (mica c’è solo quel modo di esser “uomo”) ma voglio un corpo senza tette e senza tante altre robe prerogativa di chi nasce femmina. Per dire. E non è manco detto che si è per forza disforici a TUTTO il proprio corpo. Io non ho nessun problema con la mia vulva, francamente. Meno fortunate sono le trans* poichè per essere “femmina” legalmente (e non hai alternative rispetto alla casella “m” verso cui provi disagio, anche nel caso in cui “f” non ti rispecchia in toto) devi fare la vaginoplastica. Quindi realisticamente i/le trans* non rinforzano la binarietà di genere con la loro condizione, ma lo fanno perché la società li/le spinge a normarsi entro la binarietà: esiste una casella altra oltre a m/f? Poi c’è chi nella comunità trans* la combatte e chi, vittima, la ripropone. Come persone trans* dovremmo brutalmente abbattere la concezione delirante per cui mentre i e le cisgender possono in qualche maniera “andar fuori dalla norma” senza che la propria identità sia messa in dubbio, per i/le trans* questo non può accadere. Dovremmo spingere per l’inclusione e l’accoglienza di mtf “butch” e ftm “femme” – e per chiunque altr*, genderqueer, agender (quell* che si considerano di genere neutro), genderfluid, bigender, pangender e così via. Per una persona trans* avere un’espressione di genere non tradizionale può significare la negazione da parte delle autorità (sanità & co anche) dello status e quindi della possibilità di transizionare, sia se parliamo di ormoni che di chirurgia che di documenti. Questo è intimamente legato alla patologizzazione dei/delle trans*. Non è che ho il “disturbo di identità del porc…o di genere”, sono transgender, punto. Ma stato e psicologi non la pensano così! C’è chi si sente altro rispetto a ciò che è alla nascita, c’è chi sente di avere un’identità “fluida”, c’è chi “femmina/maschio” gli/le sta stretto in generale.. trans* e queer sono due termini che ricoprono una marea di “definizioni”. Un’appunto: cosa è binario e cosa non lo è? non rischiamo di formare una seconda binarietà tra binari e non binari? La parola chiave, secondo me, è libertà di essere ciò che si è e si vuole essere per tutt*.

(serbilla)
Mi ritrovo in una cosa che dice lafra, anche io sento di mettere in atto una performance. Come una delle possibilità dell’essere donna. Però questa performance per me è teatrale e non mi corrisponde mai perfettamente. Ho sempre vissuto il genere come un mascheramento, anche da ragazzina, mi mascheravo da ‘come dev’essere una ragazzina’, e da adulta, mi maschero da donna adulta, variando a seconda dell’occasione per rispondere a qualcosa di esterno. Cioè interpreto un ruolo. E’ pure divertente. Mi dico sì, sono una donna, sono contenta, ma poi che mi significa? Nemmeno tanto, la me autentica non ne ha bisogno, non me ne frega niente, è solo un gioco, tutto questa importanza che gli altri danno al genere, all’identità, al riconoscersi, non la capisco fino in fondo. Non so se sto andando fuori traccia, scusatemi se lo faccio. Me la spiego solo se penso al potere, allora sì, ma tolto il potere, cioè io sono un uomo e faccio queste cose e queste non le faccio, tu sei una donna e fai questo ma quell’altro non lo fai, tolto questo potere, alla fine a che serve? A niente. Proprio stasera una persona diceva: io sono orgogliosa di essere donna, non avere soggezione verso gli uomini. Se togli la soggezione vale ancora l’orgoglio? O vali per ciò che dici e fai e non importa niente se sei un uomo o una donna o un’altra cosa che ancora non è definita da nessun vocabolario?
Col desiderio la cosa può essere definita meglio? Sono sempre stata estremamente omofila, mi piacciono assai le donne, soprattutto le iperfemmine, quanto di indotto ci sia in questo non lo so, c’è sicuramente, però dato che non mi provoca disagio penso che ci sia anche una forte componente spontanea in questa attrazione. E però non mi sento propriamente una bisessuale, non direi proprio di essere una lesbica, perché a me piacciono assai gli uomini, senza, in questo caso, che siano necessariamente ipermaschi, basta che siano maschi. Voglio dire è una attrazione di corpi non di genere. Altrimenti non si spiegherebbe l’attrazione che mi è capitato di provare verso uomini dichiaratamente gay. Quindi pure qui, il genere che ruolo ha? Come me lo definisci l’uomo? Forte? La metà dei miei ex non era forte, nè fisicamente nè caratterialmente, autoritario? Impossibile averci una relazione, io li detesto gli uomini autoritari. Capaci di fare le cose manuali? Utile, ma non indispensabile. Questi due poli a che servono? All’economia, in senso vasto io penso. Però poi, dopo tutto questo, non voglio sparire in un maschile universale, vorrei il neutro, ma non c’è e penso che questo costituisca un grossissimo problema, perché la lingua pure ci modella il cervello. Il e la transgender ti ritroverai sempre a declinarl* o al maschile o al femminile, per riconoscere loro un’dentità, anche se poi l’identità può essere il transgenderismo stesso, che non si può esprimere linguisticamente, per ora.

(rhockher)
Rispetto a quanto si è detto, voglio specificare che ci sono persone, varie, che si spostano dal binarismo. Per dirne uno. Inoltre, non si può intervenire con atti “volontaristici” sul proprio sentire. Ci sono persone che al di là di analisi politico-teoriche si percepiscono all’interno del binarismo (nota bene: a volte anche contestandolo). Sulla costruzione dell’identità e dell’autopercezione non è che si hanno proprio dati certi. Si parla di socializzazione, si parla di influssi ormonali fino ad arrivare al solito vecchio caro discorso natura/cultura….La maggiorparte ritiene che i diversi fattori che intervengono nella percezione rispetto al genere non sono individuati e che comunque agiscano di concerto…Volendo/potendo ce n’è da studiare! Se vogliamo si possono fare discorsi paralleli sul cosidetto “orientamento sessuale”. In ogni caso parlando di “disforia di genere” non parliamo di un generico non sentirsi bene nel quadro eteronormativo e nel binarismo sessuale, si parla di una percezione psico-fisica che ha degli aspetti specifici, che sono il motivo per cui molte persone decidono di intraprendere l’iter di transizione (che non è una passeggiata). Quindi i livelli sono tanti, le sensibilità diverse e non è detto che teoria e sentire siano un tutt’uno…inoltre dal punto di vista dei vissuti reali c’è anche il fatto che sono percorsi in divenire, ci si sposta e i cambiamenti si muovono in varie direzioni ed essere sorprendenti e/o inaspettati.

(egon)
La tua domanda è una domanda che circola ossessivamente nella mente di molte persone che decidono di transizionare, sia prima che durante che dopo. Almeno, io me la sono posta e me la continuo a porre, e la pongo a chi incontro, almeno un miliardo di volte. Parte della risposta può essere proprio in quello che scrivi alla fine, tu parli di un mondo immaginario,  che non esiste. Questa è stata la risposta che molte persone trans hanno data a me: non possiamo astrarci da quello che stiamo vivendo nel qui ed ora, dalla nostra società, e noi dobbiamo cercare delle risposte tra quelle possibili, non possiamo affidarci a delle cose che non esistono per ritrovare la qualità della nostra vita. Tu domandi, giustamente, perché non riversare tutta la forza che bisogna mettere nell’iter di transizione qui in Italia per cercare invece di cambiare la nostra società. Per quanto mi riguarda ti dico che io non potrei lottare per una ridefinizione dei generi se prima non avessi fatto qualcosa per vivere meglio il mio corpo, per riconoscere e far riconoscere quello che sono. Questioni di etichette? Può darsi…ma quando si è “diverso” dai dettami della società devi fare qualcosa per capirti. Essere transessuali è ancora oggi vagare nel vuoto, perché né la scienza né la società occidentale sono stati capaci di dare una spiegazione alla tua esistenza. Devianza? Ma tu esisti, hai delle sensazioni, ci sono cose che ti rasserenano, altre che ti fanno soffrire. Io ho una mia piccola teoria, per ora timida e che magari un domani potrà cambiare: non credo che la risposta giusta alla transessualità sia l’adeguamento fisico, ma questo è il modo che mi permette di vivere adesso, e di pensare, e di lottare, e di trovare delle risposte che apriranno nuovi scenari di cui potranno usufruire i transessuali che nasceranno in futuro. Spesso penso a come sarebbe stato se la mia mascolinità fosse stata accettata al di là del mio corpo…ma non è stato così. Poi il percorso di un transessuale è appunto un cammino, dove ognuno si ferma dove si sente, e ci sono tantissime persone, che con i loro corpi modificati non possono più essere incasellati nel genere maschio o femmina,e con la loro visibilità, con il loro agire mettono in discussione il binarismo, dimostrando, insieme alle persone intersex, che c’è di più sotto il sole che i maschi e le femmine. Da un punto di vista politico mi sento che io ho la possibilità, come ftm, di mostrare una mascolinità inedita, non allineata con quella da secoli tramandata, io che non so comportarmi da vero uomo!

(m.grazia)
La questione in effetti è complessa e chiama in causa ognuna/o di noi, il forzato dualismo di genere ci coinvolge e ci impegna tutte/i quotidianamente in una continua lotta tra disconoscimento, sottrazione, adesione forzata, rappresentazione e autorappresentazione gioiosa, ironia, parodia. Il discorso iniziale di Feminoska ha del vero, nel senso che l’adesione ad un genere o all’altro ha ovviamente come conseguenza il rafforzamento del binarismo e questo da un punto di vista simbolico e reale è innegabile. Non a caso la legge in merito è ferrea mi pare, nel senso che ti costringe a fare necessariamente una scelta, una scelta che immagino qualche volta si è costrette/i ad imporre al proprio corpo anche quando magari si vorrebbe  solo per esempio sperimentare per una parte delle propria vita un cambio di “identità” che non investe per esempio il corpo in modo così radicale…penso per esempio al fatto che per cambiare sesso una donna debba obbligatoriamente sottoporsi all’isterectomia e alla mastectomia (prima del workshop di Egon al Feminist Blog Camp non ci avevo mai riflettuto in termini così concreti)…e questo perché le leggi dello Stato non contemplano al momento la complessità e la fluidità e forse si potrebbe col tempo pensare ad altre soluzioni, nel senso che capisco che al momento si debba ricorrere a questi strumenti angusti che lo Stato offre per trovare un equilibrio, per stare bene insomma, ma credo sia importante anche iniziare a cercare di costruire nuovi spazi in cui potersi sperimentare ed esistere con la propria complessità, transitorietà e penso non solo alla teoria ma anche a spazi fisici, reali. Io inizierei col ritenerne possibile l’esistenza!

(gegen)
Lo Stato e le leggi non possono rappresentare una complessità e una fluidità, per il solo fatto che cristallizzano la rappresentazione di una società (e qui possiamo discutere all’infinito su chi sia rappresentato dalle leggi, ma poi scado nell’ideologico) e da essa sola possono essere cambiate. Non dobbiamo aspettare che vengano dall’alto calate le soluzioni, le possiamo trovare solo fuori e (molto probabilmente) contro di esso, senza aspettare che vengano normalizzate.

(monsieur colette)
Mi chiedo spesso se le persone trans avrebbero il desiderio di ricorrere alla chirurgia se la società non fosse binaria ma riconoscesse a chiunque la capacità di autodeterminarsi. Forse alcune persone sì, così come ci sono le persone che si rifanno il naso, la bocca, i seni, gli stinchi, così forse ci sarebbe chi si fa un pene o una vagina. Ma non abbiamo una risposta a questa domanda nel qui ed ora, perchè purtroppo questa società tutto vuole tranne che permetterci di autodefinirci. Frequentando persone trans, ho compreso che molto spesso nella loro quotidianità devono affrontare  questioni all’apparenza banali per la maggior parte di noi, ma vitali per loro, come ad esempio “che bagno uso?”. Quando ti senti costantemente chiamat* con un altro nome da quello che hai scelto e che ti rappresenta, quando la gente legge ad alta voce in luogo pubblico i tuoi documenti dove hai chiaramente un nome che non é più quello che ti rispecchia, per fare  qualche esempio, io non mi sento di dire alla persona in questione di non fare questo o quello perchè rispecchia un modello binario. Dopotutto, non lo rispecchiamo e perpetriamo (anche inconsciamente) tutt* noi? Personalmente, il genere e il ruolo di genere mi é sempre andato stretto, e mi considero queer, se proprio devo etichettarmi. Lafra porta una riflessione molto interessante, che condivido in pieno e che riprende un famoso motto che faccio mio “We are born naked. All the rest is drag” – Nasciamo nud*, tutto il resto é travestimento. Tutt* noi siamo influenzat* dai ruoli di genere che ci vengono dati fin dalla nascita, dai modelli e cosi via. Ho recentemente letto un libro che mi ha dato importanti riflessioni su  come si creano i concetti di genere e sesso, e quale viene prima (anche in riferimento agli interventi su persone intersex), si tratta di “Genere,sesso,cultura” di Mila Busoni. Vorrei fare una postilla, anche se i campi si sovrappongono perchè comunque fanno parte della persona, c’è differenza tra sesso”biologico” (quello dato alla nascita per intenderci), genere (uomo/donna), ruolo di genere (cosa fa/deve fare un uomo/donna) e l’orientamento sessuale. Per chi mastica gli inglesi, c’è questo disegno, gender bread, che da un’idea generale dei vari aspetti legali all’identità di genere e della sessualità.

(feminoska)
In merito a ciò di cui stiamo discutendo, ho letto il seguente articolo proprio in questi giorni:

Roma, 11 ott. (Adnkronos Salute) – Una petizione online, che ha già raccolto al momento oltre 16.000 firme, per chiedere all’Organizzazione mondiale della sanità di togliere dalla lista delle malattie mentali la transessualità. E’ la nuova iniziativa di Vladimir Luxuria, ex deputata di Rifondazione comunista e attivista per i diritti del mondo Lgbt. “Non sono malata. In realtà sto benissimo – scrive Luxuria nella piattaforma Change.org per spiegare qual è il senso dell’iniziativa – Ma l’Oms insiste nell’affermare che io sia malata: la transessualità, infatti, è nella loro lista delle malattie mentali. Questo è ridicolo, soprattutto se a dirlo è un’agenzia delle Nazioni Unite, e considerare le persone transessuali mentalmente malate serve solo a contribuire alla loro discriminazione”. “L’Oms sta rivedendo la classificazione – prosegue Luxuria – E’ il momento di dirlo chiaro e forte: i transessuali non sono malati. Come è successo con l’omosessualità, che è stata tolta da tale elenco nel 1990, è arrivato il momento di smettere di stigmatizzare le persone transessuali. Il 20 ottobre si celebra la Giornata internazionale di azione per la depatologizzazione della Transessualità. Unisciti a me – è l’invito – firmando questa petizione per chiedere all’Oms di smettere di considerare le persone transessuali, come me, dei malati mentali.Non sono malata. Sono solo malata d’amore”.

E questo è il link alla petizione.

(rhockher)
Della campagna citata so nulla, ma la Giornata Internazionale di Azione per la Depatologizzazione Trans è promossa (dal 2007) dalla Campagna Internazionale STOP TRANS PATOLOGIZATION – STP 2012 
Quoto: “Gli obiettivi principali della campagna (ndr STP 2012) sono togliere le categorie “disforia di genere” / “disturbo dell’identità di genere” dalle prossime edizioni dei manuali diagnostici (DSM dell’Associazione Psichiatrica Americana e ICD dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), previste per il 2013 ed il 2015, e lottare per il diritto all’assistenza sanitaria delle persone trans. Per facilitare la copertura da parte della Sanità pubblica delle cure e dell’assistenza specifiche per le persone trans, STP 2012 propone l’inclusione di una menzione di non-patologizzazione nel ICD-11.  Questa pagina web vuole rendere visibili gli obiettivi, i manifesti e le azioni di questa Campagna, assieme alla lista delle adesioni a STP 2012. Dall’anno 2007, nel mese di ottobre, la Campagna STP 2012 convoca una Giornata Internazionale di Azione per la Depatologizzazione Trans, con manifestazioni simultanee in diverse città del mondo. Nell’ottobre 2011, gruppi di attivisti di 70 città dell’Africa, America Latina, America del Nord, Asia, Europa e Oceania, hanno organizzato manifestazioni ed altre azioni nell’ambito di STP 2012. Al momento (giugno 2012) la Campagna può contare sull’adesione di più di 310 gruppi e reti di attivisti da tutto il mondo. Oltre alle manifestazioni di ottobre, durante tutto l’anno, STP 2012 porta avanti attività di informazione, diffusione e rivendicazione a favore della depatologizzazione trans.  La prossima Giornata Internazionale di Azione per la Depatologizzazione Trans si terrà il Sabato 20 ottobre 2012.
Se volete aderire a questa Campagna e organizzare una mobilitazione o manifestazione nella vostra città, o per qualsiasi informazione, dubbio, domanda, appoggio, adesione. scriveteci a contact@stp2012.info – La lotta continua!”

(strix)
Segnalo il convegno  proprio sulla transizione che si tiene a Verona giovedì prossimo, 18 ottobre p.v.
(wildsidez)
Devo dire un grosso ‘grazie’ alle testimonianze importanti di persone (fuori o dentro i binari di genere) che raccontando
pubblicamente le loro esperienze per certi versi insolite e le loro idee maturate con le esperienze fatte, sono arrivate alla mia coscienza attraverso il mezzo del documento video, e mi hanno fatto capire cose che altrimenti non avrei mai saputo articolare o immaginare. Mi riferisco ad alcuni doc molto belli e pregnanti fatti vedere ai Festival come Divergenti e Some Prefer Cake, festival che secondo me rappresentano un potentissimo mezzo informativo/formativo, al punto che se quelle opere fossero proiettate sulla tv mainstream in prima serata non potrebbe derivarne che un immenso bene per tutt*. Vorrei che tutt* avessero questi film nel proprio bagaglio umano, emotivo, culturale, intellettuale. In GUERRILLER@S del 2010 ad esempio, parla un* sociolog* spagnol* che pur essendo FtoM mette in discussione proprio il ricadere nell’alternativa duale, e sostiene la propria scelta di non operarsi perché ha stima e rispetto di sé così com’è e non sente più il bisogno  di alterarsi per corrispondere a un qualche modello. Nel documento svedese REGRETTERS del 2010 parlano due MtoF che per tante ragioni dopo molti anni hanno deciso di fare la trasizione opposta, FtoM. Ma di documenti importantissimi ce ne sono tanti altri, mi par di ricordare BOY I AM, ecc… Le mie parole inadeguate e imprecise non riescono a rendere la varia complessità dei concetti e ragionamenti espressi da* protagonist*, e la bellezza e la forza del poter sentire e imparare dalla viva voce di chi racconta le proprie esperienze e riflessioni profonde, che fanno pensare molto, che danno una nuova luce alla realtà. E soprattutto, vedendo questi doc mi rendo conto che il livello di evoluzione delle riflessioni politiche sul genere nelle comunità e movimenti trans/queer/lesbian di certi paesi e in certi ambienti è veramente molto alto, molto di più di ciò che normalmente posso ascoltare o vivere nei gruppi femministi/antisessisti qui in italia (ma naturalmente, dipende molto da chi si ha la fortuna di frequentare) o dal livello di ciò che si studia sull’argomento… Non voglio dire che in Italia non ci siano approfondimenti ed evoluzioni di questo tipo). In ogni caso: meglio non predicare/giudicare dall’alto di qualche teoria o paradigma intellettuale a persone che quotidianamente devono affrontare difficoltà/scelte concrete…. cosa farei io se fossi una migrante, incerta tra il farmi sfruttare e sopravvivere poco per volta o fare scelte di campo impegnative che però in alcune circostanze potrebbero segarmi a mezzo? Cosa farei io se fossi in transizione e  non sapessi in che bagno andare o come trovare lavoro? o mille altri casi di difficoltà concrete e scelte tra integrità ideale e sopravvivenza bruta… che si presentano a tutti nella vita quotidiana. Ps: Pochi giorni fa, sentendo casualmente il discorso di Vendola alla televisione, sono saltata sulla sedia nel momento in cui ha detto ad alta voce con tono comiziale solenne “i generi sono due”… Mi chiedo se abbia detto una roba simile solo strumentalmente per farsi capire dal pubblico medio in sala, o se lo pensa veramente… Ecco, il suo livello di complessità di ragionamenti sul genere e sull’identità è molto lontano da quanto espresso dai protagonisti dei documenti citati…

(feminoska)
Purtroppo rispetto alla capacità sovversiva del movimento GLBTQ, anche qui mi duole dire che nel libro che sto leggendo ho trovato risonanza di pensieri quando verso la fine, partendo da un riferimento all’odierno gay pride, sottolinea come il capitalismo sia riuscito ad assorbire e trasformare gli aspetti più sovversivi del movimento, trasformandoli in uno ‘stile di vita’ o meglio, in uno ‘stile di spesa’. E, sempre in quelle pagine, ho trovato conferma del fatto che molta energia venga ormai convogliata in una ricerca di ‘normalizzazione’ attraverso l’adesione a pratiche (penso al matrimonio) che sono anche dispositivi di controllo sociale molto forti, perdendo invece di vista l’importanza di lottare per forme diverse di esistenza e relazione.

(m.giovanna)
Il capitalismo trasforma le infinite varietà dell’essere in stili di vita, e di spesa. Si esplorano opzioni che sono anche mezzi di controllo (tipo il matrimonio, appunto). Brutto? Io ho qualche dubbio. O meglio, brutto come è brutto il fatto che siamo “consumatori” e non persone e che ci identifichiamo come tali, vero, verissimo. Non ci piove. Ma non siamo mai del tutto separati dal mondo e dalla società in cui viviamo. Sono pochissime le persone che riescono a separarsene e a vivere un’esistenza lontana da questa società. E comunque anche loro hanno il codice fiscale che somma o meno quel 40 alla data di nascita, per dirci se sono nati maschi o femmine. E allora, non è giusto che ci sia per tutte/i/* la possibilità di accedere agli stessi servizi, prodotti, opportunità? Che siano magari un punto di partenza per dell’altro, e che sicuramente sono un segno importante (e ancora così in ritardo) di accettazione sociale. La vita quotidiana della maggior parte delle persone è fatta di lavorare, fare la spesa, progettare il futuro, andare al cinema, avere una famiglia e amici da amare, provare una giacca nuova… Normalizzazione, beh, sì. Alla fine le cose sono chiamate normali quando sono quelle che “tutti fanno”.

(feminoska)
Io non mi identifico come consumatrice, ed il semplice ed ovvio fatto che tutt*, per vivere, qualcosa dobbiamo consumare (foss’anche solo aria) non mi fa identificare con la figura del consumatore tout court… per ora mi identifico ancora e soprattutto come persona che incidentalmente si trova a dover consumare, ma non ne fa uno stile di vita né tanto meno una qualità fondante del mio essere. Io non vivo separata dalla società (anche se a volte lo desidererei fortemente) anche perchè, per quanto la reputi idealmente una soluzione condivisibile per non farsi fagocitare da tutta una serie di dinamiche di dominio, non mi permetterebbe di cercare di operare un cambiamento all’interno della società stessa, che è quello che, con tutti i miei limiti e probabilmente peccando di presupponenza, mi sforzo di fare. Questo chiaramente mi espone a tutta una serie di compromessi che, ogni volta, mi trovo a dover scegliere se accettare o meno. E quando mi trovo di fronte a quel bivio, cerco sempre di immaginare quale senso politico possa avere la mia scelta personale, e se quella scelta è eventualmente necessaria o se restare al margine mi consente invece di mantenermi più focalizzata sui miei obbiettivi e vicina alla mia idea di coerenza. Per quanto mi riguarda aborro i termini normalità e normalizzazione, ma non perchè io mi reputi più speciale di altre persone, semplicemente il contrario: la mia ‘normalità’ implica l’unicità di ogni individuo umano o non umano che mi trovo di fronte, unicità che non può, se non a prezzi inimmaginabili, essere appiattita secondo schemi predeterminati e limitati. Riallacciandomi al discorso transgender, da cui siamo partit*, risulta per me ben evidente a cosa porta il processo di normalizzazione: al fatto che lo stato, attraverso i suoi apparati medici e burocratici, opera in maniera violenta e coercitiva su soggettività in divenire, imponendo un percorso normalizzante fatto di patologizzazione psicologica e di una forma di ‘conciliazione’ che va a normare a suon di bisturi una identità che conforme non è e non vuole forse nemmeno essere. E lo fa proprio in virtù del fatto che ciò a cui più tende, ciò che veramente importa è riportare l’individuo non conforme ad una presunta normalità, quantomeno di facciata, in qualche modo ne addomestica la carica sovversiva, o perlomeno si sforza di farlo (poi però, come ben sappiamo, difficilmente ne riconosce il nuovo status, ma lo marginalizza sempre e comunque). E se io capisco il travaglio di una persona che si trova di fronte ad una scelta così tremenda e definitiva come unica opzione possibile per realizzare almeno in parte ciò che sente di essere, e perciò non mi sentirei mai di criticarne la scelta, non posso però immaginare questo come un punto di arrivo auspicabile. Le cose chiamate ‘normali’ non sono quelle che “tutti” fanno, ma quelle che fa la “maggioranza”: e confondendo una parte per il tutto, e continuando con la nostra visione binaria della vita, non facciamo che identificare ciò che la maggioranza fa con ciò che è bene fare… dimenticandoci tutte le manipolazioni continue di cui siamo oggetto, arrivando a confondere fini e mezzi, pensando di essere maggiormente accettat* in quanto fagocitat* da un sistema… ma solo per quanto attiene al nostro essere consumatori, perchè a quello che siamo come individui non conformi non verrà mai data vera cittadinanza.

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2 Responses

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  1. gold price says

    a) il Transessuale, che oggi viene definito dal punto di vista medico-scientifico come colui che soffre di un Disturbo dell’Identità di Genere. Infatti, queste persone, non sentono di appartenere al proprio sesso biologico di riferimento e adottano strategie medico-ormonali/psicologico-comportamentali e socio-relazionali per “trasformarsi” nel sesso desiderato. L’utilizzo di indumenti appartenenti al sesso opposto diventa per gli individui transessuali di fondamentale importanza e utilità. Questo permette il conformarsi e il rappresentarsi con l’identità di genere desiderata. Solitamente i transessuali mettono in atto comportamenti di cross-dressing a prescindere dalla rettificazione chirurgica del sesso. Un esempio fondamentale riguarda il periodo definito di Real Life Test, fase in cui tali individui mettono in atto comportamenti di travestimento. Quindi, anche il ruolo di genere solitamente risulta essere egodistonico (non coerente con l’immagine e la percezione di sé) tanto quanto l’identità di genere. Invece l’orientamento sessuale risulta essere prevalentemente eterosessuale rispetto al genere desiderato, non si escludono anche orientamenti di tipo omosessuale e bisessuale. Per quanto riguarda il transessuale con orientamento omosessuale il termine di riferimento più appropriato è quello di trans-omosessualità.

  2. maralibera says

    Il commentatore compulsivo/patologico è pregato di NON COMMENTARE qui. Ma esci, perdio, fatti una vita. Smetti di postare tremila commenti. Se hai bisogno di attenzioni e aiuto cercali altrove. Qui siamo chiusi. E’ chiaro?

    Ecco: stampatelo sul tuo desktop come promemoria e non ti fare tentare proprio mai dall’impellente bisogno di venire a commentare qui: http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2012/10/13/commentatori-patologici-comunicazione-di-servizio/