Skip to content


Violenza assistita e mamme maltrattanti

Stasera ho sentito il tg3 notte e parlava di violenza sulle donne. In particolare poi si sono concentrati sulla violenza assistita, ovvero la violenza cui assiste un bambino e che provoca dei traumi che restano indelebili nella sua vita.

Del fatto che il Governo Italiano dovrebbe provvedere a creare una norma che riconosca la violenza assistita ha parlato anche l’Onu nelle sue raccomandazioni e nella sua esposizione sul femminicidio in Italia.

Fosse previsto il riconoscimento di quel genere di violenza i politici che hanno presentato ddl sull’affido condiviso parlando delle violenze in famiglia come di “beghe coniugali” che non dovrebbero condizionare l’affidamento del minore, dovrebbero fare marcia indietro così come dovrebbero farla sulla Pas che l’Onu dice essere scienza spazzatura e che pure si insiste a volerla inserire tra le presunte sindromi riconosciute in tribunale secondo le norme proposte a modifica del diritto di famiglia italiano.

In ogni caso, appunto, si è parlato di violenza sulle donne che in questi giorni è stata tirata in ballo anche dalla Ministra Fornero che come unica soluzione immagina di commissionare all’Istat un nuovo studio sulla violenza sulle donne (il primo e ultimo risale al 2006).

Alcune non concordano e ricordano che basterebbe valorizzare le indagini fatte dai centri antiviolenza. Altre sostengono sia cosa necessaria, oltreché chiesta e auspicata dalla special rapporteur Onu Rachida Manjoo contro la violenza sulle donne, per avere un quadro più preciso di qualcosa che viene monitorato a livello amatoriale perfino da noi con il Bollettino di Guerra [che conta #84 vittime per il 2012 compresi due uomini e tre bambini vittime collaterali]. Di fatto è necessario un Osservatorio serio e piuttosto stabile e che si crei un database comune qual quale far convergere i dati di tutti i centri antiviolenza e chi si occupa di queste ricerche, perché le informazioni sono frammentate e sparse per la penisola e in questo c’è abbastanza approssimazione riferendomi alla impossibilità di accesso ad una risorsa collettiva che sia utile a chiunque per adoperarsi per ricerche, analisi e soluzioni su quella materia.

Ma le richieste da fare sono tante e di sicuro non speriamo né chiediamo che le esaudisca una ministra che ha dimostrato di non avere minimamente a cuore la sorte di lavoratori e lavoratrici, condannandoci alla precarietà e dunque alla dipendenza economica che è il primo requisito fondamentale per essere preventivamente individuabili come probabili vittime di violenza nelle relazioni. Se dipendi non te ne puoi andare e se non te ne puoi andare per sfuggire alla violenza prima o poi qualcuno ti ammazza. C’è poco da fare. Casa e lavoro sono le prime forme di prevenzione, oltre la cultura, che servono a prevenire la violenza sulle donne.

In questi giorni, comunque, dicevo, si è parlato molto anche di violenza assistita. L’Associazione Pangea ha parlato di alcune case che sono proprio predisposte a sanare le relazioni tra mamme vittime di violenza e bambini che devono essere aiutati a superare il trauma. Repubblica ha condiviso i dati che parlano di una cifra che va da 400 mila a circa un milione di minori di età inferiore ai 18 anni vittime di violenza assistita. Anche il telefono Rosa parla del fenomeno su La Stampa.

Su rai tre, dicevo, stanotte, ho visto uno spezzone di intervista, una donna, non so chi fosse, parlava di vittime di violenza assistita, come la violenza cui si assiste si ripercuote sulla propria vita di adulti e tra le tante cose più o meno condivisibili dette ce n’è stata una che non ho condiviso affatto. Non so su che dato basasse la sua testimonianza ma mi permetto di dire che secondo me si sia trattato di una generalizzazione laddove spiegava che i bambini, maschi, vittime di violenza assistita, da grandi diventeranno violenti e che le bambine da adulte diventeranno ancora vittime.

Mi sembrerebbe oltremodo strano e stereotipato che un trauma si manifestasse in modo diverso a seconda del genere al quale l’evenienza accade. Non ho dati e non mi permetto di parlarne con superficialità ma so per certo che almeno in alcuni casi che conosco le donne che sono state vittime di violenza assistita, che hanno imparato a subire, hanno appreso che l’unico modo di essere amate fosse quello di restare imbrigliate in una rete di ricatti e intimidazioni e paure e giochi tra premi/punizioni imposti dal carnefice e violenze psicologiche, da adulte, a parte essere inclini a volte a subire violenza, comunque di quella violenza diventavano veicolo con chi era più debole: i bambini.

Ho visto madri che urlavano ai bambini peggio che fossero sentinelle della gestapo e mamme che li picchiavano per qualunque cosa in nome della frustrazione, la solitudine, l’assenza di aiuto, tutto ciò che volete, o semplicemente perché non ci sono ragioni per picchiare i bambini e dunque perché non conoscevano altro modo per comunicare con i figli che non fosse la violenza. Dunque capisco che ci sia la necessità di sanare le relazioni e la psiche di persone così provate ma è necessario, credo, liberare la necessità delle donne vittime che diventano esse stesse veicolo di violenza di vedersi riconosciute in quanto soggetti complessi, oppresse che diventano oppressore, vittime che diventano carnefici, complici, talvolta, e comunque demonizzate, mai comprese nello sforzo di accettazione che fanno di se stesse ché dovrebbe essere la prima importante fase dopo la quale poter accedere ad un percorso di recupero di se’, di autoaccettazione e comprensione e cambiamento, perché quelle madri vittime di violenza che tireranno su schiaffi ai figli se non vengono liberate dalla costrizione di dover apparire sempre sante (altrimenti demoni) non potranno mai affrontare il loro problema e lo negheranno perché si sentiranno solo dei mostri. Incapaci e piene di sensi di colpa.

Le mamme già vengono definite troppo spesso come mostri e si sentono cattive a sufficienza perché nessuno le legittima e autorizza a mostrare i propri egoismi e le proprie imperfezioni ma in questo caso diventa lesivo di un diritto, quello dei bambini e alla cura di sè, al recupero, al superamento del trauma attraverso ogni riconoscimento di sè, incluse le parti più spiacevoli.

Mi chiedo dunque se ci si è posti questo problema e a chi può rivolgersi una mamma che diventa maltrattante dopo aver subito maltrattamenti nella vita. Qualcun@ di voi ha esperienze in questo senso? Conoscete mamme che maltrattano i propri figli? Esiste un luogo al quale possono rivolgersi per prevenire e tentare di risolvere?

Posted in Corpi/Poteri, Omicidi sociali, Pensatoio, Scritti critici.


4 Responses

Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.

  1. fikasicula says

    chiara non ho capito bene quello che hai scritto comunque trovo che il post di cybergrrlz vada nella direzione di una ricerca. per me utile. esistono madri che provocano problemi ai figli e mi parrebbe strano non se ne discutesse. 🙂
    anzi bisognerebbe discuterne di più.

    ps: ho visto che questo post è stato recensito da massimo che avrebbe potuto commentare qui ma non ho visto alcun suo commento. comunque lo scrivo qui perché si sappia. massimo non è tra quelli che mi sono stati in questo periodo ostili e qualunque sia la sua opinione, diversa quanto vuoi dalla nostra, comunque se discute in modo civile io non ho alcun problema come sempre a ragionarci come ragiono con molte altre persone (tipo quelle che hanno commentato in questi giorni) che non la pensano assolutamente come me. se rileva delle contraddizioni in quello che scriviamo è utile un confronto da un punto di vista così diverso dal nostro. è utile sempre se esplicitato in modo sereno. 🙂

  2. Paolo84 says

    X Chiara Lo scalzo
    E’ che a volte l’impossibilità o la difficoltà a difendersi può avere cause psicologiche complesse magari legate al passato familiare della donna, e non solo materiali.
    Qui si sta solo dicendo che chi è cresciuto nella violenza subita o assistita può tendere, da adulto, ad essere violento o ad avere relazioni con persone violente ma certo può anche non succedere, non è una regola fissa e in ogni caso non è una “colpa” innamorarsi di chi ci fa del male, il responsabile della violenza è chi la commette (capita che la vittima si senta in colpa, magari, una volta uscita dall’incubo, disprezzi se stessa per aver scelto proprio quell’uomo ma pure quello è conseguenza della violenza subita, in un certo senso)

  3. Chiara Lo Scalzo says

    Secondo me discutere sul fatto se la violenza sulla mamma possa o non possa necessariamente provocare traumi permanenti sui figli non fa che sottolineare la sudditanza del suo ruolo di madre al suo diritto di essere considerata essere umano a tutti gli effetti.
    C’è bisogno di una ulteriore motivazione per tutelare una donna sottoposta a violenze dal suo compagno, ovvero che anche la prole ne soffre, perché la sua sofferenza di donna da sola non basta a giustificare dei provvedimenti che impediscano a quest’uomo di compiere altre violenze.
    C’è la tendenza a generalizzare su tutto: se due si separano la colpa è di entrambi, sempre, se c’è conflittualità è colpa di entrambi, sempre…
    Se una donna è maltrattata la colpa è anche sua, perché si nè lasciata maltrattare: questo è il pregiudizio che odio di più, e che finché non verrà sradicato, restituendo alle vittime il ruolo di vittime e ai colpevoli il ruolo di colpevoli, finché non si accetterà che in qualche questione si può risalire ad un soggetto responsabile e ad una vittima incolpevole, che non ha potuto, per impossibilità materiale, difendersi, allora si contiuerà a girare attorno al problema…
    Una donna è maltrattata perché da bambina ha assitito a violenza domestica, ergo necessariamente si è messa autonomamente nella condizione di diventare a sua volta vittima. Ma perché, secondo voi uno si presenta così: “ciao, picchio le donne, vuoi uscire con me?” Secondo voi volano schiaffoni al primo appuntamento?
    A volte ci vogliono anni perché una situazione degeneri in violenza fisica, e quei piccoli segnali che sembrano così ovvi col senno di poi (da quello avrei dovuto capire che…), beh sfido chiunque ad identificarli prima di una effettiva degenerazione nei rapporti.
    E’ ora di finirla con questo scaricabarile, e puntare il dito contro chi agisce la violenza, contro chi usa il sopruso e la minaccia e profitta vigliaccamente dei soggetti più deboli, fisicamente più deboli, invece di cercare nelle vittime il seme di ciò che hanno subito.
    Il problema è la violenza in sé, e chi sceglie di usarla. Perché è una scelta, non una condanna. Siamo forse dei burattini, incapaci di esprimere una volontà individuale di fronte al destino?

  4. Paolo84 says

    posso solo dire questo: non c’è una regola, può capitare che una donna che da bambina è stata picchiata dai genitori o ha assistito a violenze familiari poi da grande finisca in una relazione con un uomo violento così come può capitare che un adulto che da bambino ha subito violenze dai genitori diventi violento a sua volta ma non è automatico. La questione è complessa, sarebbe bene che chi opera nel settore ne tenesse conto