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Contesti, approssimazione e sessismi

C’è Annamaria Bernardini de Pace che scrive un articolo di per se’ né bello né brutto. Sta nel suo copionificio, una cosa che deve scrivere in quanto che si occupa di diritto di famiglia, separazioni, divorzi, mediazione familiare, affido, eccetera e lei su ‘ste cose ci campa, dunque un articolo dovuto. Spesso scrive cose che non condivido, alcune volte invece si. Talvolta dice cose che condivido ma le dice di merda. Come in questo caso in cui per dire che agli uomini non puoi appioppare un figlio se quel figlio non lo vuole sente il bisogno di sputare stereotipi e banalità una dietro l’altra, un po’ come quelle donne un po’ rosicone che per far notare che non sono d’accordo con altre donne finiscono con il comportarsi come dei troll sessisti che sputano veleno misogino ad ogni rigo.

La de Pace dice una cosa ovvia. Tu, donna, puoi scegliere se tenerti o meno un figlio e lui deve subire la tua decisione. E io sono d’accordo. Non fosse che dire di essere d’accordo significa dover specificare che se permetto a lui di prendere parte alla mia decisione, mentre il mondo è lì che tenta di limitarla, di impedirmi di scegliere, negandomi contraccettivi, pillola del giorno dopo e ru486, questo significa che comunque non può impedirmi di interrompere la gravidanza se è quello che voglio.

Ed è quella la contraddizione che apre e il punto è sempre lo stesso: non può prevalere il diritto di un embrione sul mio diritto di donna. Io sono una persona e non un contenitore. Premesso che io esigo che sia possibile la prevenzione all’Ivg comunque il mio diritto non può essere messo in discussione da nessuno.

Ma in un mondo in cui per davvero tutto quanto è al posto giusto, a scuola esiste l’educazione sessuale e le figlie possono usare contraccettivi senza trovare una scia di ostacoli che impediscono loro di vivere una libera sessualità non riproduttiva, allora è lecito chiedersi se non sia necessario parlare di paternità responsabile oltre che di maternità responsabile.

Paternità responsabile è quella di chi sceglie di essere padre e nel 2012 non può più essere un tabù dire che se io resto incinta, in special modo se io posso accedere a tutte le risorse possibili di prevenzione ad una gravidanza, e lui non ha partecipato alla decisione e anzi non ne vuole sapere, non dovrà assumersi alcuna responsabilità a meno che non lo voglia.

Non esiste più un problema d’onore, le donne con figli non hanno bisogno di matrimoni riparatori e il problema economico va risolto chiedendo lavoro e non addebitando i costi della precarietà ad altri.

Anche per questo, mi pare ottimo ciò che vedo che nelle nuove generazioni tra le quali esiste già una specie di codice non scritto per cui quando lei resta incinta, la scelta di abortire riguarda entrambi, dove spesso è lui che vuole che lei abortisca.

La legge dice che se tu sei incinta lui deve pagare. Anche se non vuole. Anche se non gliene frega niente. E obbligarlo era un problema d’onore e di responsabilizzazione quando gli uomini si comportavano da inseminator irresponsabili (e poi chi s’è visto s’è visto) mentre le donne rischiavano la galera perché l’aborto era illegale e la contraccezione inesistente. Ma oggi, farmacisti e medici obiettori permettendo, tutte devono poter accedere alla contraccezione e se non vi accedono bisogna esigere dagli antiabortisti e da quelli che dirigono il ragionamento in modo diverso un minimo di coerenza.

Detto ciò, ripeto, la de Pace dice alcune cose condivisibili in un modo assolutamente opinabile, indi per cui alcune si arrabbiano e si concentrano sulle frasi più discutibili.

Ce n’è una, tra le altre, che resta sul groppone anche a me:

Lasciamo perdere le poverette ignoranti che ancora si fanno maltrattare, malgrado decine di migliaia di altre donne si organizzino per informarle, aiutarle e salvarle, e pensiamo invece a quelle che sono convinte di essere nate contestualmente ai diritti e all’arroganza, che brandiscono in ogni momento della vita.

Parlo con cognizione di causa e dunque posso dirlo. Io sono una di quelle donne che si organizza per informarne altre, aiutarle e salvarle e trovo che non esista la coincidenza tra le “poverette ignoranti” (che schifo di definizione classista!) e quelle che “brandiscono” i “diritti” con “arroganza“.

Più cose (tutte pessime) mi vengono in mente dopo aver letto una frase come questa.

1] Non sono le donne che si fanno maltrattare ma sono eventualmente i maltrattanti che esercitano violenza su di loro.

2] Le donne che subiscono maltrattamenti non sono tutte “poverette ignoranti” ma ne abbiamo conosciute di tantissime molto colte, istruite, per nulla poverette, perché, e la de Pace questo dovrebbe saperlo, la violenza sulle donne è trasversale a qualunque classe sociale, etnia, cultura, religione, livello di istruzione e di intelligenza.

3]  Le tante donne che si organizzano per informarle e salvarle eccetera spesso si trovano davanti ostacoli insormontabili come per esempio i media nazionali, come quello presso cui scrive la de Pace, che sono #mediacomplici e che realizzano una legittimazione della violenza sulle donne, ovvero orientano il dibattito ed educano tutti, incluse quelle che vengono chiamate “poverette ignoranti” a pensare di meritarsi la violenza. Dunque di quella poveritudine ignorante (ché non ce l’hanno innata e per indole stereotipata) sono spesso responsabili alcuni soggetti precisi, con nomi e cognomi.

Perché è molto semplice attribuire alle donne tutte la responsabilità per ciò che subiscono senza assumersene un’oncia per le mistificazioni e la disinformazione che si contribuisce a veicolare.

4] La violenza sulle donne è un fatto esistente, un crimine di Stato, lo definisce l’Onu, perché parrebbe non esista la volontà in primo luogo culturale di contrastarla, e in ogni caso è strettamente connessa alle separazioni, ovvero il terreno sul quale si muove la de Pace, dove quelle “poverette ignoranti” vengono ammazzate quando dimostrano di essere tutt’altro che “poverette” e “ignoranti” mentre tentano semmai di fare ricorso a tutta la loro intelligenza, forza e coraggio, per liberarsi da uomini violenti che le perseguitano e le ammazzano.

5] Lungi da me ritenere che le donne siano tutte “vittime” o che quelle stesse che subiscono violenza debbano crogiolarsi nello status di vittime (che sconsiglio!). Anzi. Le donne, a mio avviso, devono assumere come primo punto all’ordine del giorno il fatto che se vogliono dirsi autodeterminate allora devono anche assumersi la responsabilità per le proprie scelte e quando avranno compiuto questo passaggio sostanziale sapranno di essere corresponsabili e codipendenti dalla violenza che subiscono e che sono perfettamente in grado di tirarsi su, smettere di usare il vittimismo come arma per esigere “tutele” e cominciare a rivendicare diritti e strumenti per ricostruire da sole la propria autodifesa e la propria vita.

Diciamo in ogni caso, tornando alla discussione sulla genitorialità e sulla relazione tra i sessi, che quelle che brandiscono diritti con arroganza non mi pare siano associabili in alcun modo alle vittime di violenza come se l’una, cosa, fosse in relazione all’altra, a meno che la de Pace, in modo assolutamente imprudente, non voglia dire che le donne ammazzate siano branditrici arroganti di diritti, nel qual caso vorrei cogliere la differenza tra rivendicatrice di diritti e branditrice arrogante ché queste definizioni comunque vanno fatte in modo tale da non delegittimare le donne che quei diritti hanno ragione di rivendicarli.

So che si riferiva alla signora che esige il riconoscimento di paternità da un calciatore e le risparmio il mio giudizio per tutte queste scene gossippare da fiction americana della peggior specie, ma la de Pace è donna colta, mica una poveretta ignorante qualunque, e dunque sa bene che l’Italia non è fatta da quelle donne lì ma piuttosto dalle tante che tutti i giorni subiscono violazioni di diritti. Rivolgersi a queste ultime è un atto doveroso, di responsabilità. Avere cura delle parole che si scelgono quando si parla di donne che subiscono violenza è una questione di attenzione per le vittime. Perché per individuare una violazione dei diritti non serve spostare la bilancia da un lato all’altro.

Questo è il metodo proprio di chi in ogni caso non sa assumere una opinione se non per estremismi. O stai di qua o stai di là. Ma puoi semplicemente essere tu, con tutte le complessità che questo comporta, senza sentire il dovere di parteggiare per una o l’altra fazione, rifiutandoti di prendere parte ad una guerra di genere che anche in Italia si celebra a suon di accuse e rimostranze e arringhe difensive o demonizzanti. Ma l’equilibrio, mi rendo conto, non è proprio di chi per mestiere fa l’avvocato. Dunque va bene così.

C’è un caso, uno tra gli ultimi, per il quale potrei quasi dare ragione alla De Pace. Maria Anastasi molto probabilmente non era una donna colta, viveva in mezzo ad una famiglia che coccolava una mentalità anacronistica, patriarcale, che trova semplice ora dire che sapeva delle violenze ma non si aspettava il mostro, come se definire la mostruosità assolvesse dai livelli di omertà e complicità impliciti in quel silenzio.

Meglio. Sono corresponsabilità da parte di chi ritiene normale picchiare una donna purché non si ecceda dove non si capisce dove stia l’eccesso e dove la norma, dove la violenza consentita con la quale si riesce tranquillamente a convivere e dove invece no. E poi c’é questa amante che assiste al delitto e parla dopo venti ore di interrogatorio e allora, sempre per parlare di equilibrio e di analisi che mi coinvolgono, in special modo questa che riguarda un contesto che conosco e che per alcuni pare inverosimile esista ancora (invece esiste eccome), e per usare una frase che dice Lorenzo, uno dei membri del nostro collettivo, direi proprio che certe volte bisogna dirlo, dirlo forte, che no, questa donna, no.

Responsabili del mantenimento in vita e diffusione della cultura patriarcale sono in tanti e tante e individuare solo uno, il mostro, escludendo tutti i livelli di complicità, non fa che riproporre quegli stessi schemi deresponsabilizzanti e giustificativi per cui altri sessismi individuano in una donna tutto il male del mondo.

Eliminare uno, IL colpevole, non impedirà alla violenza sulle donne di realizzarsi perché la violenza sulle donne è come la mafia, è una costruzione culturale, una mentalità. Preso uno non si impedisce che la violenza sia realizzata. Ed è per questo che il lavoro principale che va fatto è di tipo culturale. Lui ha compiuto concretamente il delitto. Ma io voglio sapere di loro, la famiglia, le altre, le donne, dov’erano e che facevano nel frattempo?

 

Posted in Comunicazione, Critica femminista, Misoginie, Omicidi sociali, Pensatoio.


3 Responses

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  1. Paolo84 says

    certamente il lavoro contro la violenza sulle donne non può limitarsi al piano penale (che però ci deve essere). Scusate, adesso ho finito. Comunque consiglierei alla De Pace di leggere It di Stephen King, in particolare i capitoli che riguardano Beverly Marsh e pure Rose Madder

  2. Paolo84 says

    oltretutto è probabile che una donna sposata ad un violento che non riesce a lasciare (o ha paura di lasciare) si disprezzi e si colpevolizzi già abbastanza da sola per la sua situazione, per aver scelto un uomo simile o chissà per che cosa altro senza che la de Pace ci metta il carico da undici con la sua maldestra scelta delle parole

  3. Paolo84 says

    Che l’ultima parola in questi casi spetti alla donna mi pare ovvio e giusto: l’utero è suo e non si può costringerla a portare avanti o ad interrompere una gravidanza contro la sua volontà (per cui il padre può dire la sua, può tentare di convincere la compagna ma deve comunque stare a quello che lei decide, il figlio si concepisce in due ma è solo lei quella incinta, il corpo gravido appartiene a lei) quindi non capisco dove vuole arrivare la De Pace quando parla di “despote del proprio corpo”, oltretutto sono d’accordo che un padre che è diventato tale contro la sua volontà difficilmente sarà un buon padre (ma comunque non perderei la speranza, sarò un sognatore) ed essere bravi genitori è difficilissimo anche per chi voleva i figli, penso però che esistono i profilattici e l’uomo che non vuole diventare padre e non vuole o non può lasciare alla compagna la responsabilità della contraccezione (a cui deve esserci libero accesso) può metterselo altrimenti deve sapere cosa rischia, deve sapere che legalmente è prioritario l’interesse del minore e la legge italiana ritiene che sia nel suo interesse che il padre lo riconosca e si assuma le sue responsabilità..può non piacere ma è così. Concordo che spetterebbe allo Stato (oltre che alla famiglia di lei) aiutare una ragazza madre così come dovrebbero essere aiutate tutte le persone povere o in difficoltà
    Sulle “poverette ignoranti” concordo sulla scelta decisamente infelice e stupida delle parole, ci sono svariati, complessi motivi per cui alcune donne entrano in una relazione con un uomo che le picchia e non riescono o riescono tardivamente a interromperla , la De Pace dovrebbe tenerne conto e riflettere bene prima di scrivere