Skip to content


Parola d’ordine: rinvigorire il mito della donna sottomessa e felice (‘sti cazzi!)

Quest’obbrobrio di copertina viene da QUI e ieri Loredana Lipperini la segnalava sul suo profilo facebook e sulla pagina fan a nostro sostegno dove si è svolta una interessante discussione della quale tento di riassumervi (copiarvi) i contenuti.

Del marketing letterario sulla “sottomissione femminile” – tanto caro a certo soggetti – vi avevamo già parlato. Evidentemente non basta. Bisogna parlarne ancora.

Viene definita letteratura “antifemminista”, romanzi “antifemministi”, contro il femminismo “moralista” o il femminismo tout court che sarebbe responsabile di dettare norme sulle scelte altrui finanche per ciò che riguarda l’intimo da fare indossare alle statue.

In realtà il femminismo è quello che libera le donne da vincoli dettati da una cultura patriarcale che le voleva pudiche e angelicate, a dir di no anche se volevano dir di si, a rendere sempre merito all’uomo per la sua conquista, a sostenere il compito di preda, finanche di vittima e mai di soggetto attivo, a fingere orgasmi di cui si sapeva poco o nulla, a vivere una sessualità inconsapevole e androcentrica.

Il femminismo è quello che libera il piacere delle donne, un piacere autodeterminato, e regala forza e potenza alle donne quando affermano di voler esistere e godere per se stesse e non per fare un favore a lui. Ma se le autrici e le protagoniste di libri “antifemministi” vogliono realizzarsi nel sadomaso, nella sottomissione autodeterminata, nessun@ glielo impedisce. Anzi. Siamo qui in attesa del fatto che ci parlino di bondage e bdsm. Il brutto invece è quando viene imposto un cliché, lo stereotipo della moralista sulla pelle delle femministe, per accreditare una restaurazione della cultura patriarcale (backlash gender) e rendersi funzionali al peggior conservatorismo in fatto di questioni e relazioni di genere.

Ma andiamo con ordine:

Riferisce la Lipperini che a commentare il romanzo epocale di cui parla Panorama ci sarebbero Franca Fossati, Deborah Serracchiani, Marina Salamon e la Santanchè. Santanché e Serracchiani a rappresentare il nuovo che avanza in termini femminili. Si. Come no.

Si scopre così che il sesso sarebbe antifemminista. Noi femministe sostanzialmente non trombiamo. Il che riassume i peggiori stereotipi maschilisti che ci vengono puntualmente attribuiti da persone moleste (saremmo acide, lesbiche, cozze, non trombanti etc etc :P)

Il libercolo – si dice lungo la discussione – è secondo in classifica a fatica, dopo TRE settimane, cinquecentomila copie di tiratura per i tre libri, una campagna sconti da paura, spot ovunque e servizi giornalistici a manetta: roba che se non arrivava secondo era faccenda da suicidio di gruppo a Segrate.

Dunque nulla da giustificare perfino una copertina e da farne un caso letterario. Nel frattempo qualcuna si chiede se tra coloro che sostengono che il sesso sia antifemminista ci sia lì qualcuna con la frusta e il pellame di contorno.

Il frame è quello, – si aggiunge – Ormai il femminismo è moralista o non è. E ciò è preoccupante (al di là dell’orrido libercolo, la faccenda viene usata per vendere tutti i libercoli che sponsorizzano la sottomissione femminile o che demonizzano le femministe).”

(La discussione su fb prende una strana piega. Si progetta di rivestire le statue con tanga e reggiseni a balconcino con capezzolo scoperto.)

Chi fa marketing per vendere i libri che parlano di soavità della sottomissione femminile fa marketing di bassa lega e sfrutta l’onda. Monetizzano una deriva culturale conservatrice che noi conosciamo bene. Usano termini oramai d’uso comune invece che reinventarne altri. Prendono il termine “autodeterminazione” e lo ricuciono addosso a quella che afferma di voler essere libera di fare la sottomessa felice (e chi te l’impedisce). Fanno Qultura (con la Q) come noi defechiamo a mezzogiorno. L’uso dell’intelligenza non è compreso nel prezzo. Stesso sforzo creativo dei pubblicitari che promuovono un detersivo con un culo di donna.

Mala lettrice media è convinta che il femminismo sia una cosa cattiva che le impedisce di mettersi il tanga. E non scherzo” dice Lipperini e FaS/fb risponde “è che il termine femminista nel loro codice di comunicazione perde appeal perché ha da guadagnarne chi si riferisce ai vecchi linguaggi di derivazione patriarcale. E’ un’opera di revisionismo che coinvolge tutti e tutte. Si chiama gender backlash.

Non so, maybe è chiaro o forse no ma in ogni caso stiamo nella cacca. Esprimetevi liberamente e diteci come si fa a dire a ‘sta gente che facessero il cavolo che gli pare e che semmai gli venisse voglia di mostrare quanto sono liberate ‘ste donne che amano stare sottomesse possono partecipare alle nostre prossime marce pro-choice in formazione culo o tetta bloc.

Posted in Comunicazione, Critica femminista, Satira.


One Response

Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.

  1. paola says

    Nessun commento? Eccone uno, anche se in ritardo: Feltrinelli vicino casa mia ha allestito una vetrina a base di tutte le sfumature, ho quindi appreso che trattasi di un filone editoriale, e le scelte di marketing delle grandi catene, tutte, lo sostengono, grazie Feltrinelli.”