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Le donne sono i veri creditori del debito pubblico

Segnalato da Alessandra (Grazie!), via SenzaSoste, da Rivolta il Debito:

L’impatto delle misure di austerità sulle donne in Europa

Il debito, cavallo di Troia di una guerra sociale senza precedenti contro i popoli d’Europa, non è affatto neutro da un punto di vista di genere. Le misure di austerità imposte in suo nome sono sessuate nelle loro caratterestiche come nei loro effetti. Dappertutto si abbattono sui lavoratori e sulle lavoratrici, i/le pensionati/e, i/le disoccupati/e, i “senza” di ogni tipo (senza casa, senza documenti, senza minimo vitale…) cercando di far pagare a loro gli effetti di una crisi profonda di cui non sono per niente responsabili. Dappertutto impongono le peggiori regressioni sociali alle popolazioni più fragilizzate, più povere e quindi maggioritariamente alle donne! E tra di esse le più vulnerabili (le   madri non sposate, le giovani, le anziane, le migranti, le donne provenienti da una minoranza etnica, da un ambiente rurale o ancora donne che hanno subito violenza) saranno le più sottoposte a pressione per venire in aiuto a coloro che traggono beneficio dal debito.

Così come i piani di aggiustamento strutturale hanno estenuato e impoverito le donne dei Paesi del Sud, i piani di austerità saranno un salasso per le donne d’Europa. Gli stessi meccanismi, derivanti dalla stessa ideologia neoliberista, sono ormai all’opera dappertutto. Privatizzazioni, liberalizzazioni, restrizioni di bilancio – i piatti serviti dalle misure di austerità – tagliano con la scure i diritti sociali delle donne, accentuano la loro povertà, induriscono e aggravano le disuguaglianze tra i sessi e minano le conquiste femministe. Senza dubbio gli innumeroveli arretramenti socioeconomici testati su di loro oggi, per non far pagare ai capitalisti la crisi che hanno provocato, saranno inflitti domani a tutte le classi popolari, donne e uomini.

Sguardo d’insieme sulle regressioni sociali imposte alle donne a livello europeo

Tra le principali misure architettate per i governi dell’Europa, messi sotto tutela o sotto forte influenza del FMI e delle Istituzioni europee, ci sono: una riduzione generalizzata dei salari e delle pensioni, lo smanellamento della protezione sociale, la distruzione dei servizi pubblici, la rimessa in discussione del diritto del lavoro e l’aumento delle tasse sui consumi. Tutte queste politiche col tempo vanno a scapito dell’emancipazione delle donne in Europa.

I. Una diminuzione dei redditi da lavoro retribuito delle donne

Già prima della recessione, la situazione delle donne sul mercato del lavoro era lungi dall’essere ugualitaria (a quella degli uomini). L’impiego femminile resta caratterizzato da una forte segregazione donne-uomini per tipo di attività, differenza salariale, alto tasso di lavoro a tempo parziale e concentrazione nei settori economici meno remunerativi, sottovalorizzati, meno protetti dalla sicurezza sociale e informali. In queste circostanze, non è sorprendente che le donne si trovino in una situazione meno avvantaggiata per affrontare la crisi.

Più fattori, direttamente legati alla crisi del debito e alle manovre macroeconomiche correlate, premono sui redditi da lavoro remunerato delle donne:

  1. Il tasso di disoccupazione delle donne aumenta

Se, nella sua prima fase, la crisi ha colpito in pieno i settori prevalentemente maschili (bancari, costruzioni, industria dell’automobile, trasporti), i settori maggioritariamente femminili (servizi alle persone e alle imprese – ristorazione, alberghi, pulizie, ecc – i settori finanziati dagli entii pubblici e quelli del commercio) sono attualmente fortemente sotto tiro. Questo impatto della crisi sull’impiego delle donne e degli uomini, sessualmente differenziato, è rivelatore della pregnanza della segmentazione professionale (già sottolineata prima).

Le perdite d’impiego femminili sono essenzialmente imputabili al mancato rinnovo dei contratti a tempo indeterminato, alla perdita di potere d’acquisto dei/lle consumatori/trici e degli/lle utenti dei servizi, e ai tagli di bilancio nelle finanze pubbliche imposte dalle misure di austerità. Siccome le donne, in Europa, sono largamente prevalenti nei servizi pubblici (costituiscono non meno di 2/3 degli attivi nei settori dell’educazione, della sanità e dell’assistenza sociale), le restrizioni finanziarie imposte dai poteri pubblici le colpiscono in modo sproporzionato. Un numero notevole di donne perde il lavoro, vedendo il proprio reddito già basso ancora precipitare. Ora, siccome sappiamo che oggi come ieri sono le donne ad assicurare l’essenziale delle spese per l’alimentazione, sanità e educazione della famiglia, si ha la misura di quanto questa caduta del loro potere d’acquisto colpisca i bambini e le persone anziane a carico, ma anche le donne più povere che tendono a far passare i bisogni della famiglia prima dei loro. Ciò ha un impatto sulla loro salute fisica e morale: mangiano meno e peggio, eliminano le cure preventive e palliative, per non parlare delle privazioni sulle spese per eventi culturali, sociali, letture,.. Questo scivolamento verso la precarietà le porta spesso a cercare un secondo o un terzo lavoro e a ricorrere al credito per poter assicurare i bisogni e la sopravvivienza della famiglia. Non è un caso se il microcredito si sta sviluppando in Europa, con il target privilegiato delle donne con le loro “smanie comsumistiche”.

Se le perdite d’impiego delle donne sono meno improvvise, meno spettacolari e quindi meno visibili di quelle che hanno vissuto – e vivono – gli uomini, non sono di certo meno dolorose. Infatti le conseguenze della disoccupazione sono più tragiche a lungo termine per le donne. Nella misura in cui esse hanno in media meno esperienza professionale valorizzata degli uomini e che le loro carriere sono spesso basate su lavori a tempo parziale o con contratti a termine e periodi di interruzione, le donne sono più vulnerabili sul mercato del lavoro e provano di conseguenza più difficoltà a ritrovare un lavoro.

Inoltre le inchieste attestano che le donne sono più suscettibili ad essere licenziate quando il lavoro  scarseggia poichè gli uomini sono ancora e sempre considerati capofamiglia leggitimi. Uno studio  a livello mondiale realizzato nel 2005 (1) rivela che circa il 40 % delle persone interrogate pensano che in questa situazione gli uomini hanno più diritto al lavoro delle donne. Mentre questo è un diritto costituzionale in molti Paesi europei.

Infine le lavoratrici migranti impiegate come domestiche o assistenti famigliari subiscono in pieno l’abbassamento del potere d’acquisto delle loro “datrici di lavoro”. Siccome queste hanno sempre meno mezzi per permettersi un aiuto in casa, sono costrette a licenziarle. Anche se il lavoro delle donne migranti non è per la maggior parte sinonimo di lavoro decente e accentua le differenze tra donne, l’immigrazione economica permette loro di supplire alla povertà che rovina la loro famiglia nel Paese di origine.

Per concludere, facciamo notare che nonostante gli effetti della crisi del debito sul lavoro delle donne siano catastrofici, con tutta la probabilità saranno sottovalutati. La realtà è molto peggio di quanto non traspaia dai rapporti ufficiali. Di fatto le persone che lavorano a tempo parziale sono escluse dalle liste di disoccupazione. In Europa, nel 2007, il 31,2 % (2) delle donne lavoravano a tempo parziale (quattro volte più degli uomini). Va detto senza ambiguità: il passaggio delle donne ad un impiego a tempo parziale è raramente il risultato di una scelta personale, essendo invece una delle conseguenze dirette della crisi…

Alcuni esempi della disoccupazione femminile in Europa in seguito alla crisi del debito:

Nella Repubblica Ceca (3), la disoccupazione colpisce soprattutto le donne al momento del ritorno dal congedo di maternità, le donne con bambini piccoli in generale, le donne con più di 50 anni e le donne migranti, mentre in una cittadina del Nord del Portogallo su 17.000 abitanti, 6.000 donne sono disoccupate (4)!

In Polonia l’industria tessile essenzialmente femminile si è ritrovata in sofferenza quando i settori principali che riforniva in Europa occidentale sono crollati: 40.000 posti di lavoro sono andati persi.

  1. I salari e le pensioni delle lavoratrici si sono ridotti

Una delle principali variabili dell’aggiustamento consiste nella riduzione dei salari e del tempo di lavoro dei/lle lavoratori/trici del settore pubblico, composto maggioritariamente da donne.

I salari vengono bloccati (6) o ridotti del 15% (7), le pensioni ridotte (in Irlanda le pensioni vengono tassate del 7,5% (8)), i vantaggi professionali come premi o versamenti complementari come la tredicesima o la quattordicesima vengono erosi, molti posti a tempo pieno vengono convertiti in tempo parziale, il ricorso alle ferie non pagate si generalizza (in Romania, i lavoratori e le lavoratrici sono stati/e costretti/e a prendere due settimane di ferie non pagate nel 2009 (9), …

In Belgio le donne che lavorano come assistenti famigliari o nelle pulizie degli uffici pubblici o privati, dove spesso già lavorano a tempo parziale, hanno visto il loro orario ancora decurtato. (10)

Queste perdite di salario obbligano spesso le donne a cumulare vari impieghi o a alternare, come in Inghilterra, il loro tempo di lavoro con quello del consorte: uno/a lavora di giorno mentre l’altra/o lavora di notte per evitare di dover spendere parte del loro reddito per la custodia dei figli…

La precarietà attuale delle pensionate viene ancora peggiorata. Sempre più donne vivranno l’inferno di una vecchiaia a corto di soldi, pur avendo lavorato tutta la vita. Non solo diminuisce l’ammontare delle pensioni ma viene anche ritardata l’età pensionistica delle donne, come in Austria dove in 2014 le donne invece di andare in pensione a 57 anni dovranno attendere i 60, mentre in Italia dovranno continuare a lavorare fino a 65 anni a partire dal 1° gennaio 2012 (11)!

Da notare che in Francia, anche a causa della generalizzazione del tempo parziale (e chi dice  tempo parziale, dice reddito parziale!) le pensioni femminili sono del 40 % inferiori a quelle maschili mentre in Polonia percepiscono una pensione più bassa del salario minimo già estremamente limitato.

La diminuzione dei redditi delle famiglie generata dalla recessione spinge la gente delle classi popolari ad accettare dei lavori che si collocano nettamente al di sotto delle loro qualifiche professionali o del loro livello di studio, spesso combinato con un livello di fatica crescente (lavoro a turni, notturno, a orario spezzato, con spostamenti non previsti). Questo fenomeno si verifica specialmente per le donne (e ancora di più per le madri) che fanno più fatica degli uomini ad accettare lavori che non consentono di conciliare vita professionale e responsabilità familiare (es. lavoro lontano dal domicilio, difficilmente accessibile e/o il cui orario non è compatibile con quello delle strutture scolastiche o parascolastiche).

Così, oggi più di ieri, le donne sono maggioritarie negli impieghi precari (a part time, tempo determinato, lavoro interinale o informale) (14). Non solo sono questi i primi posti ad essere soppressi in caso di licenziamento ma in più essi consentono poco o niente di accedere alla protezione offerta dalla legislazione del lavoro e dalla sicurezza sociale. Spesso le lavoratrici precarie sono prive di tutela durante la gravidanza e non godono di alcun sussidio di maternità, e neppure delle altre forme maggiori di protezione sociale.

Il peggioramento delle condizioni di lavoro delle donne accentua questa precarizzazione dell’impiego femminile. Pressioni sulle condizioni di lavoro o lavoro sottopagato, intensificazione dei carichi di lavoro (tentativo di soppressione o diminuzione delle pause, riduzione dell’organico, …), flessibilizzazione crescente degli orari che intensifica la paura e lo stress dovuto alla difficoltà di prevedere il proprio impiego del tempo, di poter conciliare vita professionale e personale, pretese di polivalenza non accompagnata da nessuna formazione… Tutto ciò porta ad un vero e proprio esaurimento da lavoro che provoca i suoi effetti sulla salute delle donne.

Nell’insieme dell’Europa, la crisi del debito è sinonimo di precarizzazione finanziaria, fisica e psicologica del lavoro delle donne, l’aumento della povertà (un numero crescente di lavoratrici ha redditi inferiori alla soglia di povertà) e la perdita di autonomia finanziaria, elemento fondamentale di ogni reale emancipazione delle donne.

  1. La demolizione della protezione sociale

Gran parte dei risparmi imposti al settore pubblico in nome del debito proviene dai tagli alle prestazioni sociali. Ora le spese come le entrate pubbliche hanno un carattere di genere: gli uomini tendono ad essere i principali contribuenti delle entrate fiscali pubbliche, in ragione dei loro salari più alti, mentre le donne tendono ad essere le principali “beneficiarie” delle spese pubbliche tramite i servizi sociali ugualmente caratterizzati dal punto di vista del genere: custodia dei figli, cura delle persone dipendenti, gestione della casa, educazione, salute,..

Di conseguenza le riduzioni nelle risorse pubbliche destinate alla protezione sociale sono molto più suscettibili di influire direttamente sulle donne.

Questa constatazione grida particolarmente vendetta in due campi:

  1. Le misure di austerità bloccano le politiche pubbliche a favore delle famiglie

La riduzione o la soppressione netta di certi sussidi sociali colpiscono specificamente le donne e in particolare le madri e tra di esse le madri “capofamiglia”.

Ecco, a titolo illustrativo, alcune misure che ostacolano, dappertutto in Europa, i processi che favoriscono la parità fra i sessi:

Il governo rumeno ha ridotto gli assegni famigliari e quelli per il congedo di maternità nonché i sussidi per le famiglie monoparentali (di cui oltre il 90 % è composto da donne con figli) e le prestazioni di assistenza alle persone portatrici di handicap (15).

Nella Repubblica ceca, le prestazioni sociali versate alle famiglie di basso reddito (e quindi spesso monoparentali) sono state eliminate, l’ammontare dei sussidi di congedo parentale è diminuito e le condizioni per accedervi sono diventate più rigorose. Sono stati ridotti anche i sussidi per la nascita e quelli per le cure a domicilio (16).

In Inghilterra, il sussidio di buona salute che si dà durante la gravidanza, gli assegni famigliari, i crediti d’imposta legati alla nascita di un figlio sono stati tutti ridotti o congelati. Altre riduzioni di prestazioni sociali come quelle di assistenza all’alloggio, colpiscono le donne in modo sproporzionato. Di fatto più donne che uomini dipendono da queste indennità. Uno studio per conto del sindacato inglese TUC rileva che le madri single perderanno, in seguito all’insieme di queste misure, non meno del 18 % dei loro redditi netti (17).

In più, mentre le donne sono spesso svantaggiate in termini di accesso a e di livello di sussidio di disoccupazione (in Germania nel 2010, sul 47 % delle donne disoccupate solo il 28 % riceve un’ indennità (18))  le politiche di austerità previste tendono ancora a peggiorare la situazione.

Certi Paesi hanno ristretto i criteri di accesso ai sussidi sociali mentre altri come l’Irlanda ne diminuiscono l’importo (del 4 % (20)) oppure ne decurtano la durata (la Danimarca ha ridotto della metà – da 4 a 2 anni – la durata dei sussidi di disoccupazione(21)). In Belgio, il presidente del governo, Elio di Rupo, prevede una progressiva decrescita dei sussidi, la fine dei sussidi a vita e un peggioramento nella Politica di Accompagnamento ai Disoccupati (22).

Tutti questi esempi dimostrano bene come tutte queste misure di austerità che risultano dal “sistema debito” sono contrarie ad ogni obiettivo emancipatorio delle donne: non solo erodono la loro autonomia finanziaria e la possibilità di meglio conciliare i loro diversi tempi di vita – facendo ricorso tra le altre cose ai servizi pubblici – ma intendono far pagare a loro il maggior prezzo della crisi.

  1. Le politiche di austerità minano i programmi che favoriscono l’equità di genere

Le politiche di parità

Si constata chiaramente che la crisi del debito provoca una diminuzione sia nell’attenzione dei politici che nei finanziamenti per i meccanismi che promuovono l’equità di genere, così come per la messa in pratica delle leggi esistenti in materia, mentre le misure di promozione dell’uguaglianza tra i sessi non dovrebbero essere “un lusso” riservato unicamente ai periodi di crescita economica. In Spagna, il Ministero per l’uguaglianza è stato semplicemente soppresso mentre in Italia il bilancio delle politiche famigliari è stato decurtato del 70% (23). Ora, l’importanza dell’esistenza di tali politiche è particolarmente palese in fase di recessione.

A causa delle misure di austerità i servizi di cura per i bambini e le persone a carico diventano sempre meno abbordabili, adeguati, accessibili e la loro qualità peggiora. Ora, buoni servizi di cura sono la garanzia per le donne di un miglior equilibrio tra tempo di vita professionale e personale, tra lavoro produttivo e riproduttivo, facilitano la loro partecipazione al mercato del lavoro e stimolano l’uguaglianza tra i sessi.

Inoltre servizi pubblici di qualità giocano un ruolo positivo nello sviluppo dei bambini.

In Bulgaria il numero di strutture di accoglienza e di protezione dell’infanzia è stato ridotto; in Estonia le ore di apertura sono state tagliate, mentre in Irlanda i prezzi dei posti al nido sono sensibilmente aumentati, oscillando, a Dublino, tra 800 e 1000 euro al mese!!! (24)

Questo declino nei servizi di cura ha già obbligato tante donne europee a diminuire le loro ore di lavoro retribuito finendo nel lavoro a part time o direttamente ad abbandonare il mercato del lavoro. Così il tasso di occupazione delle donne in Europa cala del 12,4 % quando fanno figli (dati del 2009, ora la situazione deve essere ben peggiore) (25).

Si vede fino a che punto le misure di austerità mettono in pericolo le conquiste, frutto delle lotte femministe e rafforzano gli stereotipi dell’uomo che porta a casa il pane e della donna al focolare.

Il settore associativo

Le associazioni di promozione delle donne come i centri per il planning famigliare (o consultori ndr), le case di accoglienza per le donne picchiate, violentate o maltrattate, le linee di ascolto e di aiuto telefonico per donne in situazione di crisi, i rifugi per donne e bambini… si trovano anch’essi nell’occhio del ciclone dai tagli di bilancio imposti in nome del debito.

Ovunque in Europa queste associazioni, che hanno contribuito ad  un cambiamento significativo  a favore delle donne e del benessere in generale, devono far fronte ad una diminuzione dei loro fondi sia pubblici che privati. Infatti, sotto l’effetto della recessione economica, i donatori privati versano sempre meno per i settori della solidarietà.

Così, malgrado la crisi sia sinonimo di femminilizzazione della povertà e di maggiore precarietà tanto finanziaria che psicologica e fisica (i numeri indicano che la violenza domestica aumenta con la crisi), le associazioni femminili – che potevano offrire appoggio e prospettive – diventano meno accessibili e saranno costrette a ridurre la quantità e la qualità dei servizi che potevano offrire alle donne.

Il resto del settore socio-culturale che lavora principalmente con i settori  popolari impoveriti, fornendo aiuto e sostegno prevalentemente alle donne, cade ugualmente sotto la scure delle misure di austerità. Non c’è da stupirsi: se diminuiscono l’aiuto alimentare, l’alloggio d’emergenza, la formazione per gli adulti, le azioni culturali, sono le donne ad essere le prime colpite.

In conclusione si può affermare senza ombra di dubbio che il debito provoca una spirale negativa che ostacola ogni politica ed ogni processo che andava in direzione dell’emancipazione delle donne in Europa.

  1. La distruzione dei servizi pubblici

Lo smantellamento dei servizi pubblici tocca in primo luogo le donne per tre motivi.

Essendo maggioritariamente impiegate nel settore pubblico (26) le donne sono le prime vittime delle politiche di licenziamento massiccio imposte dai piani di austerità. L’Inghilterra prevede di sopprimere 500.000 posti di lavoro entro il 2015, la Romania ne ha già cancellati 100.000 nel 2010 e la Francia prevede di eliminarne 31.000 nel 2011 (27).

Le donne sono anche le principali utenti dei servizi pubblici la cui esistenza è cruciale per la loro partecipazione al mercato del lavoro e per la loro autonomia economica. Di fatto, servizi collettivi di qualità, in numero sufficiente e accessibili finanziariamente, sono leve indispensabili per l’emancipazione.

Infine saranno le donne ad assicurare il lavoro di cura e di educazione, trascurato dalla funzione pubblica, aumentando il loro lavoro di riproduzione, non remunerato e invisibile. Si tratta di una vera sostituzione dei ruoli e delle responsabilità dello Stato verso il privato e quindi verso le donne, (che in Italia, e in particolare in Lombardia, viene addirittura teorizzata come virtuoso principio di “sussidiarietà” – ndr) che impedisce loro di partecipare pienamente a tutte le sfere della vita. In nome del debito pubblico,  si produce così uno spostamento: dal concetto di “Stato sociale” si passa a quello di “Madre sociale”. E tutto ciò gratuitamente, per ridurre le spese e rimborsare i banchieri: bella la crisi, no?

Tagli nel sistema di sanità

Gli attacchi contro i sistemi di sanità in Europa costituiscono un elemento fondante delle politiche di austerità. Le donne sono le prime interessate anche in questo campo e ciò per tre motivi.

Come abbiamo visto, le donne costituiscono il grosso della manodopera del settore sanitario e sono anche sproporzionalmente colpite dalle perdite di impiego nel settore. Anche qui occupano i posti meno rimunerati e meno valorizzati: assistiamo ad una precarizzazione dei contratti e delle condizioni di lavoro (es. negli ospedali non si assumano più aiuto infermieri a tempo pieno e  indeterminato bensì a part time e per brevi periodi).

Le misure di austerità prevedono di tagliare i fondi destinati alla salute sessuale e riproduttiva che permette loro di controllare il proprio corpo e di conseguenza la propria vita. Ora questo settore specifico della sanità pubblica è assolutamente fondamentale per la promozione effettiva dell’uguaglianza tra i sessi. Inoltre meno fondi pubblici sono attribuiti alla prevenzione dell’HIV, all’IVG, ai consultori, ai servizi pre e post natali e alle cure di salute preventiva delle donne.

Le chiusure di centri di salute – com’è successo in Bulgaria dove da settembre 2009, 21 ospedali sono stati chiusi, essenzialmente in piccoli villaggi e cittadine (28) – aumentano il lavoro di cura e riproduttivo delle donne.

Tagli nell’educazione

Le restrizioni di bilancio praticate nel campo dell’educazione hanno un impatto maggiore sulle donne poiché in quanto lavoratrici prevalenti nel settore sono, come nel campo della sanità, maggiormente toccate dalle perdite di impiego (in Bulgaria non meno di 50 scuole sono state chiuse, in Lettonia e in Grecia il fenomeno si sta estendendo ugualmente) e dal peggioramento delle condizioni di lavoro (più alunni per classe, p.es in Estonia (29) ma non solo).

In Francia, si stanno chiudendo le scuole materne pubbliche e gratuite per i bambini a partire dai 2 anni a favore dei nidi (“jardins d’éveil”) privati e paganti, ciò che comporta una perdita di posti di lavoro nel settore pubblico e un aumento dei prezzi per la custodia e la cura dei bambini.

Altre misure di austerità come la riduzione dei fondi per l’acquisto dei libri e del materiale scolastico (cfr Estonia) o ancora la diminuzione dei sussidi per la mensa nelle scuole materne e elementari (riduzione di 2/3 in Ungheria) fanno lievitare le spese legate all’educazione dei figli generalmente coperte dalle madri (30).

La privatizzazione dei servizi alla persona

La privatizzazione dei servizi alla persona è incentivata dalle politiche di austerità. Le carenze nei servizi vengono compensate da ogni donna individualmente ma anche e soprattutto dalle donne migranti e senza documenti. Queste donne spesso lavorano in nero e senza accesso alla protezione e ai vantaggi sociali e professionali, sono fortemente esposte a condizioni che rasentano il lavoro forzato nonché alle violenze sessiste e/o razziste.

  1. Attacco al diritto del lavoro

Le politiche di austerità che i governi vogliono imporre con l’appoggio del FMI e delle Istituzioni europee puntano ad una forte deregulation del mercato del lavoro, sinonimo dello smantellamento della legislazione del lavoro, dei diritti sindacali,… Progressivamente il lavoro precario delle donne  diventa più la norma che l’eccezione. Le donne, ovunque in Europa, lavorano di più per guadagnare di meno, a causa del pagamento del debito.

Lavoro flessibile, precario e informale

Certi datori di lavoro, a fronte di un abbassamento dei profitti causato dalla recessione, sono tentati di prendere la crisi come pretesto per sfruttare ancora di più le lavoratrici. Le donne accettano più “facilmente” degli uomini condizioni di lavoro precarie, con un salario decurtato e senza sicurezza sociale, a causa della loro posizione più debole sul mercato del lavoro che produce un minor potere di contrattazione. Per non assumere personale nuovo, le direzioni flessibilizzano gli orari di lavoro delle donne e non rinnovano i loro contratti a tempo determinato. Per minimizzare i contributi, evitare di pagare le tasse e altri oneri legati al lavoro formale, alcuni non esitano a spingere le donne ad accettare il lavoro informale.

Aumento delle procedure illegali contro le donne

Per “risparmiare”, certi padroni eliminano le iniziative favorevoli alle donne o adottano addirittura delle pratiche illegali come il licenziamento delle donne incinte. Il fatto che l’uguaglianza tra i sessi non costituisce più una priorità per i governi, rafforza ovviamente questa tendenza.

Benché le donne abbiano sempre dovuto affrontare il rischio di perdere il loro posto di lavoro durante una gravidanza o un congedo di maternità, questo rischio aumenta in periodo di recessione. Così in Inghilterra, la Commissione per le Pari Opportunità riconosce che, essendo di 30.000  all’anno il numero di licenziamenti di donne incinte (2009), questo fenomeno inevitabilmente aumenterà con la crisi del debito (31).

Questa conseguenza scioccante dei piani di austerità non è solo immorale e profondamente antinomica all’uguaglianza tra i generi sui posti di lavoro, ma è anche illegale.

  1. Aumento delle tasse sul consumo – IVA

Le misure di austerità non mettono sotto pressione i ricchi e le imprese bensì le classi popolari. L’aumento dell’IVA sui beni di consumo corrente (alimentazione, beni e servizi) illustra perfettamente questa realtà. Svantaggia particolarmente le donne che assicurano i bisogni di base e l’alimentazione, creando una povertà crescente nelle famiglie. In Inghilterra l’IVA passerà dal 17,5 al 20% (32).

Logoramento generalizzato delle donne

Non solo i piani di austerità non affrontano per niente le cause reali della crisi ma essi spingono milioni di esseri umani nella miseria e nella precarietà. E le donne si trovano al primo posto, minate dall’impatto psicologico di una povertà crescente, dal logoramento provocato dal superlavoro e dallo stress indotto dalla necessità di assumere molteplici ruoli.

Come abbiamo visto, il debito e i piani di austerità non sono assolutamente neutri da un punto di vista di genere. Al contrario, sono la causa della femminilizzazione della povertà, della precarizzazione del lavoro femminile, dell’aumento considerevole dei carichi di lavoro gratuito fornito dalle donne per ammortizzare gli effetti devastanti della crisi e in più distruggono le conquiste femministe… Ora, essendo le donne le prime colpite da queste misure, non hanno nessun tipo di debito da pagare! Sono loro le vere creditrici a livello nazionale e internazionale. Sono titolari di un enorme debito sociale. Senza il loro lavoro gratuito di produzione, di riproduzione e di cura alle persone, le nostre società deperirebbero semplicemente!

Le alternative femministe al debito

L’insieme delle regressioni sociali imposte alle donne in nome del “sistema debito” dimostra quanto

un vero processo di emancipazione implichi lottare contro questo debito che, insieme al patriarcato, asservisce le donne e impedisce loro di godere dei diritti più fondamentali.

Ovunque nel mondo i movimenti femministi lavorano per sviluppare le loro convergenze. All’inizio del 2011 è stata creata in Grecia l’Iniziativa “Donne in movimento contro il debito e le misure di austerità” (33). Questa rete in costruzione spera di poter contribuire alla creazione in Europa di uno spazio politico di riflessione e di azioni coordinate delle donne contro il “sistema debito” e per l’elaborazione di alternative femministe alle logiche mortifere del capitalismo finanziario. Intende essere parte attiva in quanto Iniziativa femminista del processo europeo in cammino contro il debito e le misure di austerità,  intervenendo in diversi incontri e mobilitazioni sulla questione del debito.(Cfr Conferenze europee contro il debito e l’austerità a Atene il 6 e 7 aprile 2011 (34), a Bruxelles il 31 maggio al Parlamento europeo (35) e a Londra il 1° ottobre 2011 (36)..). L’Iniziativa intende anche promuovere una campagna femminista europea che contribuirà a far crollare il “sistema debito”, nemico di ogni reale emancipazione delle donne e dell’insieme dei popoli in Europa. Ovunque processi di audit si mettono in piedi (Francia, Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna), l’Iniziativa “Donne in movimento contro il debito e le misure di austerità” ha come obiettivo di attrezzare il movimento femminista perché possa sostenerli e parteciparvi attivamente, testimoniando così la determinazione delle femministe a battersi contro un debito esclusivamente al soldo di interessi finanziari e a contribuire all’elaborazione di un nuovo modo di produzione e di distribuzione delle richezze affrancato dal capitalismo e dal patriarcato.

Christine Vanden Daelen – CADTM

tratto da http://rivoltaildebito.globalist.it

18 novembre 2011

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Note

|1| European Women’s Lobby, « Women, the Financial and Economic Crisis – the Urgency of a Gender Perspective”, September 2009, http://www.womenlobby.org/spip.php?…

|2| Ibid.

|3| Oxfam International/ European Women’s Lobby, “Women’s poverty and social exclusion in the European Union at a time of recession – An Invisible Crisis ?”, March 2010, p.15,http://www.oxfam.org.uk/resources/p…

|4| Trades Union Congress, « Bearing the brunt, leading the response – Women and the global economic crisis”, March 2011, London, p.7, http://www.tuc.org.uk/extras/TUC_Gl…

|5| Ewa Charkiewicz, « L’impact de la crise financière sur les femmes d’Europe Centrale et de l’Est », Awid, mars 2010, p. 8-9, http://www.awid.org/fre/Library/L-i…

|6| Sous la pression de la crise de la dette, partout en Europe, l’indexation automatique des salaires, qui bénéficie surtout aux petits revenus et donc majoritairement aux femmes, est remise en cause.

|7| Confédération européenne des syndicats – CES, « Enquête du 8 mars 2011 – Section III. L’impact de la crise économique sur l’emploi féminin », mars 2001, p. 18, http://www.etuc.org/IMG/pdf/8_March…

|8| Ibid

|9| Confédération européenne des syndicats – CES, Op. Cit, p. 19.

|10| Confédération des syndicats chrétiens – CSC, « Femmes Vs Crise », p. 3-5, http://www.world-psi.org/TemplateEN…

|11| D. Millet, E. Toussaint (ss la dir.), « La dette ou la vie », CADTM/Ed. Aden, juin 2011, Bruxelles, p.343-358.

|12| European Women’s Lobby, « Women, the Financial and Economic Crisis – the Urgency of a Gender Perspective”, Op.Cit.

|13| Confédération des syndicats chrétiens – CSC, « Femmes Vs Crise », Op. Cit, p. 17.

|14| En Europe occidentale, entre un quart et un tiers de la main-d’œuvre travaille actuellement dans le cadre de contacts provisoires et/ou à temps partiels, en particulier au Royaume-Uni, en Hollande, en Espagne et en Italie. W. Harcourt, « L’impact de la crise financière sur les femmes d’Europe occidentale », Awid, mars 2010, p. 8-9.

|15| Confédération européenne des syndicats – CES, Op. Cit., p. 12

|16| Ibid

|17| Op. Cit., p. 13

|18| M. Jespen, European Trade Union Institute (ETUI), « Aspects contemporains de la crise au féminin », intervention durant le Séminaire Le nerf de la guerre…des sexes. Rapports sociaux et argent organisé par L’Université des femmes, Bruxelles, 16 décembre 2010.

|19| Les systèmes de protection sociale continuent d’être construits sur le concept d’une carrière ininterrompue au cours d’une vie professionnelle allant de 40 à 45 ans, ce qui correspond rarement au cycle de la vie professionnelle des femmes.

|20| Oxfam International/ European Women’s Lobby, Op. Cit., p. 31

|21| M. Jespen, Op. Cit.

|22| Collectif Solidarité contre l’Exclusion, « Un gouvernement anti-chômeur », n°72 du trimestrielEnsemble pour la solidarité, contre l’exclusion, oct. 2011, p. 18-47 et carte blanche publiée dans Le Soir du 26 octobre 2011, « Saigner les chômeurs pour soigner les banquiers ? Inacceptable ! »,http://www.netevents.be/ExternalLin…

|23| D. Millet, E. Toussaint (ss la dir.), Op. Cit., , p.343-358.

|24| Oxfam International/ European Women’s Lobby, Op. Cit., p 25

|25| W. Harcourt, Op. Cit., p 10.

|26| En Europe, les femmes représentent 78% de la force de travail des services sociaux et de santé et 60% des enseignant-e-s des secteurs primaires et secondaires. Voir Oxfam International/ European Women’s Lobby, Op. Cit., p 24-25

|27| D. Millet, E. Toussaint (ss la dir.), Op. Cit., p.343-358.

|28| Oxfam International/ European Women’s Lobby, Op. Cit., p. 25

|29| Ibid

|30| Oxfam International/ European Women’s Lobby, Op. Cit., p. 6.

|31| H. Philomena, « Les femmes et la crise de la civilisation », juillet 2009, http://www.europe-solidaire.org/spi…

|32| J. Leschke and M. Jespen, “The economic crisis – Challenge or opportunity for gender equality in social policy outcomes. A comparison of Denmark, Germany and UK”, ETUI, Brussel, April 2011, p. 53.

|33| M. Karbowska, S. Mitralias, C. Vanden Daelen, « Femmes en Mouvement. Vers une Initiative pour la construction d’un réseau féministe contre la dette et les mesures d’austérité en Europe », mars 2011, Inédit.

|34| S. Mitralias, « Une expérience pionnière en Grèce : l’Initiative des Femmes contre la Dette et les Mesures d’Austérité », 31 mai 2011, http://www.cadtm.org/Une-experience…

|35| Ewa Charkiewicz, “Austerity, debt and social destruction in Europe”, intervention réalisée lors de la Conférence – Stop à la dette, à l’austérité et au démantèlement social : coordonnons nos luttes ! – du 31 mai 2011 au Parlement européen, http://www.ekologiasztuka.pl/pdf/EC…

|36| Discours de Sonia Mitralias à la Conférence de Londres contre l’austérité organisée par Coalition of Resistance (1er octobre 2011), 10 octobre 2011, http://www.cadtm.org/Discours-de-So…

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