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La “cura” rende libere!

In polizia nacque un nuovo reparto specializzato in madri/badanti/maestre, tutte impiegate in ruoli di cura. Il reparto fu fortemente voluto dal ministero al welfare, perché il lavoro delle donne, che fosse gratis o meno, comunque andava sempre fatto con precisione ché costituiva un grande valore economico per la nazione anche se le donne che lo determinavano non beccavano un soldo di stipendio e di pensione.

Il reparto “sorveglianza e punizione” si assicurava che le donne non si comportassero da sciocchine sin dal momento in cui era in elaborazione un concepito e le istruivano sul lavoro da compiere in ogni momento della loro vita.

Non era un ruolo semplice da sostenere e Paolo, dirigente del reparto, questa cosa la sapeva bene. Ché aveva immaginato la catarsi nelle fasi di salvezza di bambini abbandonati o maltrattati o nel soccorso ad anziani vittime di crudeli arpie. Invece era tutto molto più complesso e lui aveva voluto compiere il monitoraggio di persona, per capire e provvedere.

L’uscita delle donne dagli alloggi del campo di lavoro era programmata per le 6.00 in punto. Bisognava allestire, preparare, perfezionare la presenza in stile con gli ambienti frequentati. “Ciò che conta è l’amore!” – diceva la signora Felicita, riverita ed efficiente direttora del campo. Poi le destinazioni in gruppi. “Pronte le maestre?” “Pronte!” – urlavano le donne tutte in fila attente a ricevere l’approvazione del vice addetto al controllo look. “Pronte le badanti?” “Pronte!”. “Pronte le madri?” “Pronte!”.

Da quel lavoro non era possibile assentarsi senza un gran preavviso ché “è una gran fatica stabilire turni a rotazione…” – annotava Felicita. Dunque madri, maestre e badanti venivano perennemente sottoposte a corsi di aggiornamento in cui apprendevano come essere snelle e felici, soavemente gioiose e curate, predisposte al movimento estremo e alle più grandi prove muscolari.

Le donne dovevano anche avviare delle relazioni con taluni partner. In realtà era una necessità produttiva, per riprodursi e fornire un ottimo svago agli operai di fabbrica di sesso maschile, però alle donne veniva impartito l’ordine di ritenerlo un momento di estasi, la realizzazione ultima di un sogno, la felice conclusione di una aspirazione alla felicità assoluta. Certe donne si sottraevano da quella funzione e da quando erano fuggite dal campo avevano preso a manifestare abitudini tremende, facevano sesso per se stesse, perfino con altre donne, poi alcune immaginavano di poter chiedere un compenso per lo svago offerto agli uomini. E contro questa categoria di donne si era realizzato un reparto differente a tutela della moralità collettiva. Sollecitava giustificazioni morali agli uomini che avrebbero collaborato l’azione repressiva, li premiava per la funzione di perfetti aguzzini delle dipendenti, li aiutava a mantenere un primato assoluto nel lavoro affinché le donne non potessero mai emanciparsi dal loro ruolo. Sorte medesima toccava agli uomini che disertavano la funzione a loro attribuita. C’era un enorme wanted sui volti di ricercati che si erano rifiutati di svagarsi con donne schiave della coercizione o su quelli che avevano determinato di voler scegliere l’amore tra consimili.

Il reparto “sorveglianza e punizione” aveva un compito preciso e per svolgerlo aveva attrezzato campo e luoghi di lavoro di telecamere nascoste, di modo che le donne non si sentissero mai libere di rilassarsi e fare cattiverie. A Paolo avevano insegnato fin da subito che delle donne non ci si poteva mai fidare e che bisognava rieducarle a essere “materne”, ché inculcare loro quella cosa dell’istinto non sempre risultava semplice. Allora andava ripetuto sovente, con voce fuoricampo, durante la giornata di lavoro e infine per la buonanotte.

Voi siete madri, siete preziose e piene di amore per uomini, vecchi e bambini. E’ la vostra natura. Le donne che non amano i bambini e gli anziani sono orribili. Cattive. Perfide. E per finire, ricordate, non toccatevi, perché il diavolo si impossesserà di voi e bisognerà sopprimervi!” – recitava la direttora ben istruita dal presidente del consiglio.

Paolo aveva scelto tre candidate da seguire di persona, per rendersi anche conto dello svolgersi di quegli incarichi e della difficoltà di sorveglianza. Gli operatori tenevano il passo per altre dipendenti e infine il sottogruppo “punizione e media” realizzava i servizi da inviare alla stampa affinché le donne disobbedienti e snaturate fossero disprezzate in pubblico. Dieci anni di lavoro in un asilo e un gesto di stizza contro un bimbo veniva risolto in un replay continuo, con sottotitoli eloquenti “questa maestra è un mostro!”. Tanti anni di fatica per tenere in vita un vecchio e la reazione nervosa di una badante diventava immediatamente pubblica affinché lo stigma ricadesse sulla categoria e tutte le maestre, madri e donne, comprendessero l’errore da non commettere, lo scivolone da non concedersi mai.

I reparti lavoravano poi a stretto contatto con la polizia sanitaria per la “salute e benessere” che sedava le donne che non apprendevano con pazienza quanto quel lavoro godesse di un riconoscimento pubblico, una funzione meritoria di consenso, una medaglia di valore posta al petto di ogni donna, il ruolo massimo cui ella avrebbe mai potuto aspirare. Sedate e felici, stigmatizzate e pentite, redente e riscattate, chiedevano scusa, ingoiavano una pillola, un paio di scosse di elettroshock ed eccole pronte a reinterpretare la funzione assegnata con un sorriso stampato sulle labbra.

Le tre donne che Paolo sorvegliava erano sospettate di attività sovversiva. Dentro il campo un volantino, per terra, diceva: “L’orgasmo è vita!” firmato “Fronte di liberazione del piacere”. Felicita lo aveva trovato e portato immediatamente a Paolo il quale aveva subito tentato di far rilevare, senza risultati, le impronte.  L’unica cosa che riuscì a sapere fu che quella carta proveniva dal suo ufficio.

Le tre donne che lui sorvegliava erano le stesse che ridevano di gusto mentre Felicita urlava “chi è stato? chi ha lasciato questo orrore qui?”. Non mostravano alcun segno di destabilizzazione, apparentemente quiete, efficienti e produttive, puntuali e perfette, sempre. “Perché?” – pensava Paolo rivedendo più volte la scena di quella risata…

—>>>Se vi è piaciuto attenderete volentieri la seconda puntata. Nel frattempo, se vi avanza voglia, leggete questo!

Posted in Autoproduzioni, Critica femminista, Narrazioni ultimate, Narrazioni: Assaggi, R-esistenze.


One Response

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  1. Chiara says

    questo brano mi ricorda il romanzo di Margaret Atwood il racconto dell’ancella , molto bello ma inquietante