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In Italia piace il macho-man, purché sobrio!

Che Lidia Ravera non fosse una cima lo avevamo già capito, che fosse perfino allineata con le peggiori posizioni maschiliste lo registriamo ora. Ma se perfino per lei il problema culturale in Italia è quello della “bionda” che suscita il maschiocentrismo schettiniano e che la questione di genere si esaurisca con un cazziatone formato femminista/professionista/mainstream a misurare la vicenda seguendo gli stessi parametri di tutti gli altri, non c’è poi da sorprendersi se il prosieguo del dibattito si compone di classificazioni di comportamenti maschi, più o meno vigorosi, dove la Ravera impone l’onore e l’orgoglio del capitano e IL Giornale, quello fascio che prende finanziamenti pubblici mentre Liberazione chiude e Il Manifesto se la passa male, difende l’onore del virile maschio italiano dando dei nazisti a tutti i tedeschi.

C’è in gioco l’onore italico, perdio, e sono tutti (proni) in sua difesa, a stabilire l’ordine temporale delle cose, a rintracciare elementi a discredito del singolo e a discolpa della moltitudine, come farebbe qualunque buon patriota in pieno centocinquantennio quando gli dici che gli italiani ammazzano più mogli di tutt’europa e loro a dire che, ovviamente, no, trattasi di extraterrestre, extraalieno, extrastraniero, extratutto, giacchè da noi, noi no noi no, non si fanno mica certe cose.

Così, allo stesso modo, si codifica la codardia e si avallano presunti eroismi, in una Italia dove il prurito cosmico verso le bionde di poppa, prua, e babordo, è sempre uguale, ché senza qualche femmina da screditare, in omaggio ai nostalgici bei tempi delle puttane formato premier, non si sa proprio stare.

Ma c’è da discutere sulla tipicità del modello maschile che viene messa in campo, giusto oggi in cui “resistere” è un termine criminalizzato e se “resisti” sei certificato in quanto bandito e criminale, oggi in cui il vigore dello Stato si manifesta con “sobrio” autoritarismo e una altrettanto sobria presa per i fondelli all’italia che economicamente soccombe agli interessi di chi gode di privilegi, bisogna specificare che alle donne come Lidia Ravera, alle sue colleghe tutte dignità e coglioni, agli uomini custodi del doppiopettismo in posa dalemiana, il macho vero, in fondo, piace, gli piace forte, vigoroso, onorabile e militarmente impettito. In fondo è gente che custodisce il mito del fascino fascista e non lo sa o non dice di saperlo.

Cosa vogliono darci a bere? Che Monti sia meno machista, tutto moglie, famiglia, religione e austerity, di berlusconi? Che il capitano che dava ordini per telefono sia meno machista di schettino? Che dovremmo sentirci lese dagli apicella un po’ tamarri ma non dai mussolini camerati in fotocopia che esistono in Italia?

Vorrei riproporre la questione e ribadire allora che c’è un problema di percezione e di confusione su queste storie: la codardia è una cosa più complessa. La debolezza è un segno di un modello machista che vacilla. Perché a ripetere pari pari alla Sciascia, buonanima, che esistono ommini, omminicchi e quaquaraquà, non ci guadagnano gli uomini ma il maschilismo.

In mailing list di questa cosa si è discusso e mi preme riportare un passaggio secondo me interessante. Poi, fate vobis:

Drew:

“La diffusa reazione forcaiola mi disgusta, perche’ so da quale societa’ viene, so da quali moti di spirito nasce, so da quale mentalita’ e’
prodotta, e so quali “valori” promuove, supporta e riproduce. Detesto associarmi nei sentimenti a una massa di persone con cui non ho nulla a che spartire, e mi viene facile lanciargli addosso senza guardare troppo per il sottile il mio disprezzo per quel vagone di ipocrisia malcelato da una cultura di furbi e furbe che avrebbero fatto la stessa manovra per pochi euro, per impressionare un potente in visita, per sedurre un ragazzo o una ragazza ospite, o semplicemente per far vedere che si puo’. Difficile non provare rancore verso chi urla sguaiatamente al capitano fingendo di non riconoscersi nei gesti di asservimento quotidiano alla cultura dominante e ai suoi cliche’ e
nella coazione a ripetere dei rituali del potere sempre pronto a essere inflitto verso il basso, e ammirato verso l’alto. Impossibile non notare, in questi sfoghi nazionali, i razzismi tradizionali (equipaggio non italiano!), quelli tipicamente italioti (napoletano!), i sessismi (la moldava!), il fascino dei fascismi (e’ un ordine cazzo!) e soprattutto quell’adorato senso di indignazione occasionale e cannibale che la gente si porta in tasca soprattutto da queste parti pronto per essere usato ogni qual volta una persona di successo cade in disgrazia e perde i suoi privilegi, come se divorandone pubblicamente le membra se ne potesse rubare almeno un poco di potere.

Viviamo e lottiamo in questo paese, questa realta’, questi anni e questa cultura. Come non vedere queste cose, come non coglierle pure nel dolore, ma soprattutto nei sensazionalismi, nelle speculazioni, nelle chiacchiere percepite di mattina, mentre si va al lavoro o se ne cerca uno.

Schettino non e’ diverso da tutto questo. E qui sta l’ipocrisia del sistema che promuove atteggiamenti come il suo e di solito li premia.
Per cui certo, Schettino non solo rappresenta tutto questo, privilegiato uomo bianco in un paese del primo mondo coi contatti giusti e con abbastanza potere fra le mani per gestirlo in maniera personale e ferire gli altri/le altre mentre lo fa.

Ma Schettino (è) (…) Avviluppato nel suo privilegio e circondato dal senso di impunita’ che in Italia e in italiano fa rima con virilita’.”

E questo senso di impunità non è forse quello che premia i poliziotti che massacrano a bolzaneto e alla diaz o i grassi industriali che non badano alla sicurezza sul lavoro e che poi fanno approvare dal governo leggi a rendere più flessibile il lavoro e a togliere diritti ai lavoratori? Non è forse il modello di “virilità” generale che viene imposto? Quello in cui le debolezze e le fragilità sono massacrate e in cui chi alza la testa viene triturato in un meccanismo di mercificazione, sfruttamento e demonizzazione?

Pensiamoci.

Posted in Critica femminista, Disertori, Pensatoio.