Non c’è racconto di critica alle macchine bruciate e alle vetrine spaccate che non inizi con una autodelazione. “Io non sono un nonviolento ma ieri mi ha fatto cagare“. Quasi che avere un brutto rapporto con la polizia fosse una specie di lasciapassare per avere diritto di parola quando non si condividono certe modalità di piazza.
Non dipende mica da chi parla. Piuttosto dipende dal fatto che chi condivide quelle azioni schiaccia spesso gli altri in una dimensione identitaria che non concede alcuno spazio di ragionamento, neppure quelli fatti con grande onestà intellettuale.
In una dimensione collettiva non c’è spazio per l’individualità. L’individuo che si fa personalità autonoma assume già la caratura di un/una leader. Fuori dal branco, a capo del branco. Diventa una specie di sfida aperta a chi detiene la conduzione delle idee, quasi fosse una competizione o almeno così viene vissuta. E non lo dico solo per questo caso ma diventa così in generale.
Non ve la dico la mia opinione ma non importa neanche perché è solo la mia opinione e invece ho imparato che la lettura di una giornata come il 15 ottobre non può essere delegata ai portavoce, ai singoli, ma va disegnata attraverso la memoria di mille frammenti, mille minuscoli pezzi, tanti sentimenti incrociati che hanno diritto di esistere e di comunicare tra loro.
Ha diritto di esistere l’orgoglio, l’ingenuità, alcune scelte, altre ancora, la paura, il senso di claustrofobia, che poi è quello che ti obbliga al silenzio anche dopo. Così è stato per esempio dopo Genova, perché dopo una manifestazione c’è la repressione e questo lo sappiamo tutt*, ma si può parlare senza fare i delatori perché rimuovere quello che si è vissuto condanna all’apatia, all’immobilità intere aree di movimento che dopo Genova, per esempio, sono rimaste a leccarsi le ferite emozionali più che quelle del corpo.
Non si può piangere da soli, al chiuso. E’ una cosa vissuta collettivamente e dunque va discussa collettivamente per assumere una rivendicazione che attiene al dopo manifestazione, alla gestione delle fasi successive, alla ricostruzione che non può essere delegata a Repubblica o a chi, come Global Project, va cianciando di nostalgici degli anni ’70 usando un codice di comunicazione che somiglia sempre più a quello di certi reazionari di nostra conoscenza.
Siamo noi la gente che popola le strade, donne e uomini, donne che si, care firme femminili che chiamate puttane quelle che non sono sante e chiamate cattive quelle che non stanno a casa a fare la calza, siamo noi e ci siamo in mille modi differenti e dunque siamo sempre noi ad avere il diritto di dire come la pensiamo e di confrontarci senza censure e con la disponibilità a tentare di capire. Capire e capire ancora, perché c’è tanto da capire.
Noi continuiamo a raccogliere le “Memorie collettive” sul #15ottobre, perché la visione di ciascun@ è certamente parziale, perché le analisi si fanno avendo più pezzi a disposizione e perché questa memoria condivisa sia patrimonio di tutti/e.
Ci fermiamo ogni tanto per fare un bilancio, rispetto alla mole di materiale che ancora abbiamo da condividere (ed è tanto!). E questo è solo un bilancio semiserio, com’è più nei nostri costumi ché noi di prenderci sul serio non abbiamo voglia.
Continuate a inviarci memorie, e non serve, credetemi, presentare il curriculum da perfetti militanti per essere autorizzat* a dire che non siete d’accordo…
Il limite del “mosaico delle microvisioni” è che si perdono di vista le chiavi di letttura macroscopiche. Per esempio: al di la delle singole interpretazioni è chiaro che uno degli obiettivi dei disordini era piegare la massa (di 300 mila persone) a ripiegare su un itinerario non previsto. In piazza San Giovanni (mi pare evidente da ogni testimonianza) il corteo “pacifico” non doveva arrivare. E questo fatto trascende le singole rabbie di ciascuno. E’ la moda mentale di questo periodo che trasforma brave persone in delatori.
http://www.liberazione.it/news-file/In-galera–in-galera—-La-sinistra-che-passa-da-Deleuze-alla-delazione.htm#.Tpxe106R-dA.facebook
ma è sicuramente anche vero che tradizionalmente c’è sempre stata una regia occulta nelle manifestazioni italiche, già all’epoca di Valle Giulia. Oggi non è cambiato nulla, solo la fisionomia del padrone s’è globalizzata
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