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Movimento italiano: chi ce l’ha più lungo?

Io non lo so chi ha torto e chi ha ragione. Penso che chi c’era ha diritto di dire quello che vuole. Ognuno ha il diritto di raccontare, a partire da se’, quello che ha provato e vissuto. Ciascuno ha il diritto di restituire agli altri, perché non ci sia ancora un altro processo di rimozione collettiva, com’è avvenuto per Genova, quello che pensa, senza paura delle diversità. Chi ha vissuto con coraggio, chi ha espresso testosterone, chi ha portato in piazza la rabbia, chi si è cagat@ sotto per la paura, chi voleva una giornata tranquilla, chi la voleva più movimentata, chi reputava che le azioni non fossero opportune e non servivano a niente, chi conosceva le dinamiche di piazza e chi non le conosceva. Bisogna dirsele le cose perché non dirsele ti riporta indietro.

Io per esempio due cose da dire ce le ho, anche se esulano dalla questione della piazza di ieri perché non mi compete. Invece analizzo quanto scrivono i media che sono sempre pronti a citare il newswire di Indymedia (la parte open publish dove chiunque può scrivere quello che gli pare) per accreditare le tesi dei servizi, al soldo del ministero dell’interno, che ne approfitta per saldare conti e per tirare fuori nomi di centri sociali un po’ ad muzzum anche se dice cose campate in aria, salvo poi trovarsi affiancato da un tale Casarini che dimostra una rinnovata “maturità”. La stessa dimostrata da quelli che ieri consegnavano i ragazzini alla polizia, mi sembra. La stessa dimostrata da quelli che facevano divisioni tra buoni e cattivi dopo Genova, il cui effetto fu che ad alcuni furono concessi sconti e tutta una visibilità differente e agli altri niente. Quella “maturità” che deriva dall’esigenza di essere candidabile da qualche parte, immagino, dato che me lo ricordo a capo di un esercito di soggetti che conducevano le armate travestite all’assalto delle zone rosse.

Di colpo l’attrazione verso il rosso s’è sbiadita e forse s’è affezionato ad un rosellino più pacato e poeticamente politically correct, ed è così che utilizzando la divisione tra buoni e cattivi, con le pantomime ridicole sui draghetti di frontiera, s’è ritrovato a dirigere il traffico di un capodanno cinese comprensivo di fuochi di artificio. A me pare di aver visto un sacco di appelli e contro appelli per la manifestazione del 15 che venivano da zone vicine a Francesco Caruso e quando ieri sera ho ascoltato l’intervista su tg3 di qualcuno dell’organizzazione che diceva “siamo stati ingenui” mi sono sganasciata dalle risate, non foss’altro perché sono talmente avvezza alle paraculate che il linguaggio vittimista per conquistare metri di spazio in zone moderate lo conosco bene.

“Sono i nostri nemici” ulula Casarini. Capo indiscusso di un gruppo che da sempre ha colonizzato il movimento con delle vere e proprie azioni di spodestamento dell’esistente nei vari territori. Non c’era volta da che io mi ricordi che non tentassero di prendersi il merito, la cupola, la testa del corteo, il camion più grosso, perché ce l’hanno più grande e lungo, senza dubbio, e lo rispetto pure il loro modo di fare politica, condivido pure delle azioni o molta ricchezza di ragionamento che da lì parte ma l’essere settari non l’ho mai capito, quel “ce l’ho solo io e so tutto io” che mi viene in mente dai tempi di indymedia che noi s’aveva uno strumento di comunicazione e loro ne avevano un altro, noi si faceva il media center e loro se ne facevano un altro, noi si tentava di fare cose un po’ più “libere” da condizionamenti e intenzioni politiche e loro tentavano di mascherare con la tutina bianca qualunque cosa. E prima le candidature con i Verdi, poi con Rifondazione e ora chi c’è per il futuro dei disobbedienti? Sinistra e libertà?

I toni sembrano quelli perché altrimenti non si capisce come mai pubblicano un riassunto della giornata di ieri che ricalca ne più e ne meno che il senso delle cose che oggi dice la Repubblica o L’Unità. In più c’hanno pure aggiunto una foto gender friendly, al contrario, che spiega il senso della manifestazione in cui tutti contro le puttane che non si capisce che cazzo hanno fatto di male all’Italia in generale e ai disobbedienti in particolare. Oltretutto ci era sembrato che si interessassero di sex worker e perfino di postporno, dato che hanno ripubblicato qualche nostro post, tra l’altro senza metterci neppure un fottuto link alla nostra pagina, che di regalare link al prossimo, pur accreditandosi i contenuti, non sono mai disponibili. E’ la maniera di NON fare rete di global project, un progetto che ce l’ha lungo e che naviga per il web sempre da solo, utilità collettiva zero e condivisione zero. Autoreferenziale peggio che l’Unità ai tempi in cui pubblicava le mozioni e gli interventi del Pci e della Cgil.

E questo post non l’avrei neppure scritto perché in fondo guardo oltre le differenze e le rispetto pure, sebbene mi riservi uno spazio per le mie idee, ma quando ho letto l’articolo di repubblica stamattina mi è andato il sangue agli occhi e gli interventi in rete mi hanno catapultato in una dimensione della gestione della piazza in cui, a prescindere da tutto, è sempre in ballo la supremazia del movimento, chi c’è e chi non c’è, chi vuole dirigere e chi non vuole essere dirett@, chi orienta e conduce le folle per i propri obiettivi e chi invece vuole la libertà di scegliere da che parte stare.

E’ sempre stato questo che ha diviso le piazze. Quali black bloc, quali violenti, tutta roba che fa parte di una dimensione al servizio dei media e che si realizza dentro uno schema preciso che già dai social forum, prima e dopo Genova, partiva da un difetto.

Penso davvero che ieri, tutto sommato, sia stato un giorno perfetto. Lo è stato perché tutto in fondo stava al posto suo. Nulla di nuovo. I disobbedienti che ora si chiamano indignati stavano dove sono sempre stati. Gli altri pure. Lo stesso schema di sempre che si ripropone. Egemonie dentro e fuori il movimento incluse. E degli altri chi se ne fotte. Tanto nessuno ammetterà che il vizio di partenza sta in questa manìa di fabbricarsi giocattoli a misura del proprio culo salvo poi vederseli smontati. Circa l’opportunità di smontarli attraverso pratiche non condivise poi possiamo parlare per ore. Anzi parliamone di che cos’è violenza e di cos’è non violenza, di cos’è machismo e di cos’è la rabbia. Parliamone perché la piazza è una cosa che va pronunciata e bisogna parlarne dato che la riflessione non può essere sempre autoreferenziale e identitaria. Ma a parte questo, a cui dedicheremo un altro capitolo mentre prosegue la discussione nella nostra mailing list, c’è che l’assenza di condivisione di obiettivi, dinamiche, cause ed effetti da parte di chi organizza i palcoscenici in modo non partecipato, da chi dirotta tutto verso il proprio culo e che se tutto è orientato in quella direzione e lì che finirà. In culo, appunto.

E buon the day after!

Ps: in mailing list si chiedono com’è combattere fianco a fianco in piazza con i fascisti contro il signoraggio, quelli che conoscono l’abc terzoposizionista, insomma. Se qualcuno ci spiega come fanno a convivere anime così diverse dentro il movimento degli indignati magari noi ci si capisce un po’ di più.

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Posted in Anti-Fem/Machism, Anticlero/Antifa, Memorie collettive, Pensatoio, Precarietà, R-esistenze, Scritti critici.


3 Responses

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  1. gilda says

    a me pare che hai proprio centrato il problema.
    e comunque è vero. parliamone parliamone parliamone. che il casino di questo paese è che si rimuove sempre tutto e non ci si guarda mai dentro per davvero. come dopo il fascismo che tutti si son lavati la coscienza grazie a pochi giovani disgraziati che sono andati sulle montagne, come dopo gli anni ’70, come dopo Genova.

  2. Serena says

    Scusate ma uno quando va a manifestare deve sapere pure con chi ci va. cioè, se io partecipo con gli indignati so quello che mi aspetta. e se non lo so, vado ad una loro assemblea per capire chi sono… almeno, questo è il mio metodo, però chiedersi _dopo_ chi sono/che fanno ecc ecc mi sembra un po’ inutile…

  3. Dersu Uzala says

    La sostanza: che la violenza invochi sempre per sè (in cerchie più o meno grandi di legittimità) il monopolio, resta sullo sfondo.
    Vedere che il monopolio della violenza viene messo in forse da una nuova generazione di maschi (e che quelli della precende si incazzino per questo) non ha niente nuovo. Di perfetto forse sì, come una macchina. Che gira infallibile su sè stessa. Forse è di questa sostanza e della sua mortificante ripetitivà che varrebbe la pena di parlare, piuttosto che delle questioni di scelta di tempi e luoghi, di correttezza politica o di opportunità.