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Disertore

http://femminismo-a-sud.noblogs.org/gallery/77/soldier-clear.JPGdi Drew Falconeer (dalla nostra mailing list)

Come femminista, mi sveglio ogni giorno con un dolore dietro il collo. Non sono nato così, non sono nato femminista. Nessuno lo è.
In effetti, veniamo al mondo pronti per essere educati all’opposto. E l’insegnamento comincia dal primo giorno.

Nel corso degli anni, nessun* mi aveva mai parlato di quel dolore. Non ce l’avevo, non era previsto che l’avessi, e comunque nessun* credeva a quelli e soprattutto quelle che dicevano di averlo. Ero stato allenato per non credere alle donne, o per fregarmene dei loro problemi in generale, e mi dicevano che il loro scopo era di soddisfare quelli come me, mostrandomene le prove quotidianamente. Onestamente, sembravano essere dappertutto, spesso supportate da altre donne. Difficile confutare.

In tutti quegli anni, da quando ero bambino e fino a quando gliel’ho permesso, ero stato cresciuto e preparato come un soldato della più grande armata della Terra, e istruito su come avere a che fare con le donne, come concedere loro permessi, come ignorarle, come sfruttarle, come convincerle, come sedurle, come corromperle, come ingannarle, come usarle, come aiutarle a sentirsi inutili, come farle sentire utili solo quando mi rendevano felice, come far credere loro di essere felici quando non lo erano, come far sì che sentissero le mie concessioni come emancipazione, come far sì che non si facessero domande, come far sì che si ponessero tra loro le domande sbagliate, come far sì che mettessero all’angolo e isolassero quelle che sentivano il dolore e il desiderio di parlarne, come far sì che mi facessero venire o si sentissero colpevoli e svalutate per non averlo fatto.

Ma nessun* mi aveva detto che mi stavano indottrinando, perché sarebbe facile provare risentimento verso una simile e placida cospirazione planetaria se potessimo vederla. Cosi’ mi avevano nutrito con tanta disinformazione da farmi credere d’aver capito tutto, abbastanza disifnormazione da farmi essere un involontario agente infiltrato: uno dei maschi “buoni”, che in realta’ promuove il sessismo pericolosamente a ridosso, se non dietro, alle linee nemiche. Come e’ noto, negli eserciti vi sono diversi ruoli, così l’Armata del Patriarcato e’ ricca di fanti (a miliardi), ufficiali, capitani, generali, e basi strategiche sparse letteralmente ovunque. Ma ci sono anche i provocatori, le spie, le talpe, i propagandisti e gli agenti preposti alla conversione. Ero stato istruito per essere uno dei migliori, il soldato d’elite, un oscuro Jedi dello sciovinismo maschilista, non conscio della mia violenza così da poterla infliggere alle donne senza che la mia coscienza mi tradisse, senza dar loro modo di identificarla. Come un dolce, vellutato veleno, ero stato progettato per sabotare le sicurezze (fomentando le insicurezze), minare l’indipendenza, assaltare l’emancipazione, sopprimere i dubbi e preservare la felicità nella schiavitù.

E per lungo tempo feci bene il mio lavoro. Sapete, lo fai cosi’ bene che pensi DAVVERO di essere uno a posto, e non crederesti mai a chi ti dicesse cosa sei davvero, cosa fai veramente. E infatti, non ci credetti. Negavo, mi difendevo, mi dichiaravo antisessista, impartivo lezioni a destra e a manca su come essere un uomo veramente rispettoso delle donne. Mi ci volle del tempo per capire le parole, mettere insieme i pezzi, ripercorrere i passi fondamentali della mia vita e guardarmi attorno, prestare attenzione all’essenza di tutto ciò che è reale, il sottotesto, le azioni quotidiane, le parole, i gesti, le abitudini, e rendermi conto di cosa avevo fatto, come l’avevo accettato, come l’avevo lasciato accadere, come vi avevo contribuito.
Mi ci volle che una donna che amavo profondamente venisse picchiata dal suo migliore amico, “il ragazzo più dolce del mondo”, per accorgermi di quanto bene ci avevano programmato per non sapere, non credere, non guardare, non ascoltare, rifiutare, respingere, non rendersi conto, e non dare alle donne nemmeno un’occasione per controbattere. Mi ci volle di sentirmi dire dal mio amic* femminist* Rho quanto fossero vacui, inconsistenti, compiacenti e uomo-centrati i personaggi femminili di una sceneggiatura che avevo scritto per rendermi conto quanto nel mio profondo avessero incastonato e nascosto la loro propaganda e fatto di me un pubblicista invisibile.

E’ stato allora che ho iniziato a sentirlo, il dolore. Dietro il collo, costante, persistente, che mi ricordava cos’ero, cos’avavo fatto, cosa c’era intorno a me e a cosa avevo partecipato ogni giorno, e come non avevo fatto niente per fermarlo. Un pungente, inevitabile, testardo dolore che mi ripeteva con quale facilità avevo lasciato che le cose arrivassero a quel punto, quanto fosse stata SENZA dolore la mia vita celebrata nel piacere di una comoda ignoranza, nella sicurezza dell’oppressore, nel perpetrarsi di un’incessante, redditizio colonialismo. Come per ricordarmi quella sofferenza che non proverò mai, le umiliazioni che non mi saranno inflitte, e gli abusi che non mi toccheranno, il dolore restò lì, da allora non si è mosso di un centimentro, e ho finito per amarlo ed esserne fiero.

E quel dolore finalmente disattivo’ la mia programmazione, la inghiottì, mi aprì gli occhi sugli effettivi numeri di quel conflitto astutamente tenuto silenzioso, mi mostrò i campi di battaglia cosparsi di vittime non riconosciute, violate e ridicolizzate. Vidi così tanto orrore da vergognarmi di quello che ero.

Non potevo tornare indietro, merda NON VOLEVO TORNARE INDIETRO, così disertai.
Lasciai l’esercito, ci cacai sopra, e iniziai a combatterlo. Dopo 20 anni a fare il lavoro sporco per la più grande forza di oppressione del mondo, mollai, e capii che mi avevano mentito persino su cosa ero: la mia identità si collocava almeno due passi piu’ avanti delle loro semplificazioni, e oggi da genderqueer felice e pansessuale non ho più bisogno del “permesso” degli uomini per essere chi sono e provare ad aiutare gli altri a essere cosa sono davvero, o potrebbero essere.

Mi fanno vomitare i giorni in cui ero uno sfruttatore, sono disgustato per aver “concesso permessi”, sono mortificato per quello che ho fatto, odio chi mi ha insegnato che quello era il mio lavoro, il mio diritto, il mio ruolo. Ora voglio essere io a chiedere un permesso, senza sentirmi in diritto di riceverlo: ero un soldato dell’Armata del Patriarcato. Ero il Patriarcato. E ho disertato. Ora sono un femminista, se le donne me lo permetteranno.

Posted in Disertori, Pensatoio, Personale/Politico, Scritti critici, Storie violente.


10 Responses

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  1. wildsidez says

    Lettura interessante, che provoca molti interrogativi e considerazioni.
    Di sicuro queste riflessioni dovrebbero essere lette e meditate da ogni “compagno” di movimento e di gruppo antagonista, antifascista, centro sociale, ecc… (non mi azzardo a dire gli altri, quelli di destra o qualunquisti).
    Dalla mia esperienza ho visto però che il 95% dei compagni a questa presa di coscienza non ci è ancora arrivato.
    A parole se ne sentono tanti parlare di antisessismo, diritti umani, identità di genere, femminismo, ma poi, visti da vicino, nel privato, ripetono esattamente i comportamenti e atteggiamenti che Drew denuncia come indottrinamento dell’armata del patriarcato.
    Non parlo solo degli eterosessuali, ma anche degli omosessuali, che spesso non sono poi così illuminati, antisessisti e libertari come vorrebbero far credere.

    Non vedo come si possa invocare un cambiamento nel “sistema”, o credere in un “mondo nuovo possibile” (sic!) quando la gente che si propone di costruirlo è vecchia e trita nei valori introiettati e negli atteggiamenti personali proprio come chi ci governa.

    (E’ forse un caso di “egemonia” gramsciana? Cioè quel caso in cui i subalterni introiettano i valori di chi li opprime senza neppure rendersene conto, valori e concetti ammantati di “naturalità” e scontatezza quotidiana in modo che vengano di default sottratti all’analisi critica… che se praticata comincerebbe a metterli pericolosamente in dubbio?)

  2. danielag says

    @Tulipano: credo che la coraggiosa presa di coscienza di Drew meritasse e meriti ben altra accoglienza. per me non si tratta, come tu scrivi, di “schierarsi dalla nostra parte e non contro di noi” ma di qualcosa di più raffinato e maledettamente complicato, ossia di rendersi (anche dolorosamente) consapevoli dei condizionamenti culturali che ci attraversano e che ci solcano. Io (e “punto il dito” verso me stessa, come Drew, perchè qualunque discorso non può che partire da noi stess*) mi sento profondamente attraversata da mille contraddizioni che spesso mi lacerano, i condizionamenti culturali scavano lunghi solchi dentro di me e riconoscerli è il solo modo che ho trovato per non esserne fagocitata. ma le mie contraddizioni ho deciso di vivermele tutte, bevendone fino all’ultima goccia.
    e così non si tratta di delineare un’immagine di donna-vittima (non mi pare affatto che questo traspaia da quanto ha scritto Drew) ma di fare i conti con una cultura millenaria (patriarcale) che ha sempre “dipinto” la donna in un certo modo.. del tutto funzionale agli interessi e alle necessità dell’uomo-pittore.
    non puoi rimproverare a Drew di “descrivere le donne come marionette” e poi lamentare l’uso del corpo della donna nella pubblicità senza domandarti se non vi sia un nesso tra le due cose.
    Uno dei migliori prodotti della cultura patriarcale siamo proprio noi donne, programmate sin dalla nascita per essere accondiscendenti, remissive e piacere all’uomo.
    Solo risonoscerlo ci consentirà di riprenderci quello che ci appartiene, sottraendolo ad un codice maschile e reinventando finalmente le parole per raccontarci.
    per questo provo a venire fuori dalla mie tentazioni di farmi rassicurare da un uomo combattendole a colpi d’accetta con una libertà che faticosamente e con mille sbagli invento giorno dopo giorno.
    quello di Drew a me pare la visione di quello che c’è dall’altra parte di quello specchio in cui ci hanno insegnato che dobbiamo specchiarci per trovare un riconoscimento al nostro valore. e secondo me ci vuole un coraggio mostruoso per mettere in discussione la posizione dell’oppressore.

  3. Drew Falconeer says

    P.S: per Tulipano.

    Quando dico che “nessuno nasce femminista” uso volontariamente il maschile. Nessun UOMO nasce femminista. Non direi mai che nessuna donna nasce femminista 🙂

    Questo passaggio in Inglese era ancora piu’ vago, e mi e’ valso le comprensibili ire di un’altra donna.

  4. Drew Falconeer says

    Tulipano,

    ho cercato di parlare da un punto di vista ahime’ maschile, di quello che ci/mi hanno insegnato a fare. Non parlo quasi mai, credo, di come questo abbia direttamente influito sulle donne che ho frequentato, non sta assolutamente a me parlare degli effetti delle mie azioni o del mio “addestramento” su di loro. Nella mia presa di coscienza della condizione infausta che la societa’ degli uomini ha inflitto dalla notte dei tempi alle donne non c’e’ nessuna arroganza, solo disprezzo, vergogna, desiderio di distacco. Ma nel mio racconto della mia personalissima esperienza, ribadisco, ho cercato di tenere fuori le reazioni delle donne: ho solo parlato dell’educazione del vampiro.

    E’ come se avessi descritto la creazione di un fucile, di una pistola. E sugli scopi per cui esso viene fabbricato.
    Ben conscio che non mi appartiene in alcun modo di stabilire gli effetti e la portata dei miei colpi. In poche parole, non ho parlato di quante morte questa specifica pistola ha fatto, sarebbe stato arrogante, supponente.

    Non ho mai e poi mai considerato nessuna donna una marionetta, ne’ ho nel mio scritto sottolineato l’applicazione da parte mia di questo potere (invero sono stato cattivissimo con me stesso, forse piu’ di quanto non meritassi), quanto solo e unicamente la mia partecipazione involontaria e coatta ma comunque colpevole ad una forza d’occupazione che ha fatto danni incalcolabili.

    Quando mi chiedi se io abbia frequentato solo donne rimbambite, devo risponderti ancora che cio’ di cui parlo e’ la “preparazione” all’esecuzione di quei compiti, NON la loro riuscita. No, ho frequentato pochissime se non nessuna donna rimbambita, e sono le donne straordinarie che ho frequentato che devo ringraziare per avermi aiutato a liberarmi, e perche’ oggi LORO mi concedono il permesso di sentirmi parte di un’altra lotta.

    Ringraziandoti ancora moltissimo per la tua critica, che mi aiuta a fare dei passi in avanti in piu’, mi piacerebbe riuscire a far arrivare ancora meglio che quello che intendevo era solo descrivere il processo per cui i maschi vengono preparati a sparare, a fare quelle cose, a ferire. Un proiettile e’ un proiettile, e non ti chiede l’autorizzazione di ferirti. Cosi’ come non lo fa un pugno, e cosi’ come non lo fa una cultura oppressiva vecchia di migliaia di anni. Ma se poi questi uomini-fucile riescano o meno nel loro intento di ferire, manipolare e soggiogare, dipende come sappiamo da molti diversi fattori, uno fra tutti, credo, la forza delle donne come splendidamente espresso da Silvestra nella sua risposta.

    Credo di aver smesso di fare “concessioni” alle donne moltissimi anni fa, e credo che non smettero’ mai di vergognarmi per anche solo aver pensato certe cose. Capisco che il sospetto nei miei confronti non sara’ mai dissipato sul serio. Posso solo continuare a contribuire, e sperare, prima o dopo, d’essere creduto, o di fare quei passi che ancora mi mancano per liberarmi delle scorie radioattive avvinghiate al cromosoma y (benche’ per me la biologia c’entri poco qui).

    Infine, davvero, sono stato molto duro con me stesso perche’ volevo “simbolizzare” attraverso me stesso un processo a cui siamo tutti (i maschi) sottoposti. Non credo di aver fatto nemmeno un decimo delle cose di cui mi incolpo nella lettera, ma so di aver comunque partecipato ad una strisiciante cultura maschilista dagli intenti oppressivi e violenti, e passa in secondo piano se proprio io o qualcun altro abbiamo fisicamente agito determinate cose: ho scelto la mia persona come simbolo proprio per non dover puntare il dito su nessun altro e nessun’altra, e perche’ era importante per me prendermi delle responsabilita’, dirette e indirette. E preferisco dichiararmi piu’ colpevole, ed eventualmente sentirmi dire che sto esagerando, che fare come sempre fanno gli uomini il contrario, ovvero giudicarsi da soli e scontarsi la pena perche’ “a esagerare, in fondo si sa, sono le donne”.

  5. Tulipano says

    Io mi considero una femminista da sempre. Sono la prima ad inorridire su come le donne vengano violate, derise, massacrate, sfruttate ogni giorno e in tanti modi. Basta guardarsi intorno, e vedere cartelli pubblicitari dove il loro corpo viene denigrato. Basta accendere la tv per rendersi conto che la situazione e’ anche peggio. Basta ascoltare i commenti che ognuna di noi deve sentirsi dire se mette una minigonna.
    Pero’, sinceramente, tu non mi hai convinto del tutto. E non vedo questo gran cambiamento nella tua visione. Descrivi le donne come delle povere marionette, e te stesso come l’onnipotente che ha fatto del male a quelle povere derelitte (inconsapevoli della loro situazione) e che ora e’ tanto pentito e “concede” loro il suo aiuto benevolo.
    Per carita’, sicuramente avrai dovuto fare un grande lavoro su te stesso. Non dico tu non sia sincero. Ben venga che ci siano uomini come te che cominciano a porsi delle domande e che comincino a schierarsi dalla nostra parte e non contro. Pero’, basta con questa visione della povera donna che deve essere istruita sulla sua condizione e protetta dal cavaliere.
    Dici di essere stato “Come un dolce, vellutato veleno, ero stato progettato per sabotare le sicurezze (fomentando le insicurezze), minare l’indipendenza, assaltare l’emancipazione, sopprimere i dubbi e preservare la felicità nella schiavitù.” Ma erano tutte cosi’ rimbambite e senza una minima stima di se’ queste donne che frequentavi? Mi rifiuto di pensare che le donne siano cosi’. Perche’, senno’ ,sarebbe come a dire che senza l’aiuto fondamentale degli uomini ,non solo non andremo mai da nessuna parte, ma non prenderemo neanche mai coscienza della nostra situazione di subordinazione nella societa’. E questa visione non mi sembra molto femminista, ma la solita, vecchia, nauseante visione. Tutto qui.

  6. meli says

    Ottimo articolo, m’è piaciuto molto, complimenti @ Drew!

    Purtroppo ultimamente mi sto imbattendo in numerose discussioni con amici che ritenevo intelligenti e piacevolmente atipici… ma ogni mese che passa mi sento sempre più delusa dalle loro risposte, dai loro comportamenti e dai loro cambiamenti di pensiero, sempre più incompresa e sempre più sola.

    E sono articoli come questi che poi mi risollevano il morale, almeno di un poco.

    Thanks.

  7. maralibera says

    @drew 🙂

    corretta la frase!

  8. Drew Falconeer says

    Se posso muovermi una critica da solo, cambierei volentieri “la mia compagna” con “una donna che amavo profondamente”.

  9. Lorenzo Gasparrini says

    Dàje Drew!

  10. tiziana says

    te lo permettiamo!