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In nome della madre, della figlia e della fecondazione eterologa

Ancora una volta la legge 40, quella che “regola” la procreazione medicalmente assistita, finisce sui quotidiani di informazione perchè è un palese esempio delle imposizioni clericali sull’esercizio della libertà di scelta.

Dai tribunali, dove coppie che non possono realizzare l’eterologa stanno combattendo per ottenere il diritto a utilizzare seme o ovuli al di fuori della coppia, la legge 40 viene rispedita alla corte costituzionale. C’è un dubbio sulla costituzionalità di questo divieto e nel frattempo le forze che si dicono salvatrici della vita a patto che sia una vita concepita da spermatozoi e ovuli etero e regolarmente sposati continuano a blaterare motivazioni paradossali (come quelle usate contro la decisione di assegnare il premio Nobel per la medicina a Robert Edwards, per aver messo a punto la tecnica della fecondazione in provetta) che decisamente dovrebbero non trovare spazio nel 2010.

Non è certo solo il premier ad offrire la libertà delle donne al clero in cambio di un po’ di indulgenza. C’è tanta gente che obbedisce ad una morale che fornisce alibi e giustificazioni per tenere sotto controllo pezzi di umanità sulla base di convinzioni che ancora oggi non possono essere messe in discussione pena il sequestro di pacifici manifesti o i roghi sociali nelle pubbliche piazze.

Sulla legge 40 ci sarebbe tanto da dire ma la cosa più evidente è che a monte c’è un pregiudizio che governa i modi, i tempi, i luoghi, i perchè, qualcuno decide di avere un figlio.

Se tu vuoi accedere alla pma, non puoi essere single, lesbica, non puoi fruire della donazione di ovuli o di seme al di fuori della coppia etero regolarmente coniugata.

Come dire che se non c’è la discendenza diretta e se le donne che concepiranno quel figlio non possono restare sotto il controllo di una mentalità patriarcale allora non se ne fa niente.

Tutto ciò per rinvigorire un senso del possesso della prole a partire dallo spermatozoo. E ne comprendiamo la ragione.

Se si incoraggiassero quegli uomini che non mostrano attaccamento strumentale nei confronti del proprio seme per dettare legge sul comportamento delle donne, ovvero di quelle che possono riprodurre, non si potrebbero certo portare avanti le politiche in favore del padre padrone che vanno molto in voga di questi tempi.

E sono gran brutti tempi. Proprio brutti.

Se si incoraggiassero uomini e donne a fruire di ovuli e seme in libertà, non si potrebbe certo ottenere il controllo della sessualità delle persone. Come farebbero altrimenti a portare avanti politiche omofobe e lesbofobe che discriminano persone, non oggetti, ma persone che hanno diritto a scegliere come vivere la propria vita e di quale amore voler amare.

La riproduzione a patto che le donne se ne restino al proprio posto e gli uomini mostrino sempre di avere un seme efficiente. Sminuendo gli stessi uomini, come nel caso della coppia che si è rivolta al tribunale, che non hanno un seme che funziona nella riproduzione ma vogliono comunque progettare la vita di un figlio assieme alla propria compagna.

Puntando ancora su caratteristiche machiste che impongono agli uomini che non sbrodolano spermatozoi riproduttivi in quantità di sentirsi meno maschi, meno aventi diritto degli altri.

Perchè la storia della genitorialità, di cui forze conservatrici e reazionarie si riempiono inutilmente la bocca, è fatta di tanta umiliazione anche nei confronti degli uomini giacchè la paternità era un fatto obbligatorio, del quale in termini concreti veniva sgravato perchè a crescere i figli poi pensava solo la donna. Ma la paternità era obbligatoria come segno distintivo che regalava prestigio sociale.

Nell’impero romano un uomo che non aveva figli non poteva ereditare, lasciare in eredità e non poteva ricoprire cariche pubbliche. Non veniva riconosciuto come persona, esattamente come è avvenuto nel fascismo e come avviene di nuovo oggi con uomini che vorrebbero rifarsi la faccia sulla pelle dei figli.

Poco conta il fatto che poi gli uomini scaricavano la “colpa” dell’impossibilità di avere figli sulle donne che per tale ragione potevano essere ripudiate, perfino uccise in quanto inutili alla costruzione del ruolo sociale del padre/padrone/marito.

Perfino un re perdeva il diritto al governo del popolo se non era in grado di avere un discendente. Figuriamoci cosa veniva inflitto alla regina se non era in grado di fornigliene uno.

Così la storia degli uomini e delle donne è sempre stata costellata di inganni e strategie di sopravvivenza, lui che accetta che la moglie si lasci fecondare da qualcun altro e lei che si lascia stuprare da uno sconosciuto che spesso veniva ucciso per non lasciare tracce dell’inganno, che mostrano comunque quanto sia stata e continui ad essere umiliante, una mortificazione costante, quella di dover rispondere a imposizioni “pubbliche” per godere di una qualunque forma di accettazione sociale.

Noi comprendiamo che la gente ignorante e sempliciotta può non capire e che ha bisogno di tempo per digerire il fatto che il figlio può anche non essere in nome del padre o partorito dalla madonna scelta dall’arcangelo gabriele (che se è vera la storia, più eterologa di così si muore). Comprendiamo che saltano tante madonne e tanti nomi dei padri, dei figli e degli spiriti santi (in nome della madre mai, eh?).

Ma davvero non ne abbiamo abbastanza? Davvero non ne avete abbastanza di vedere gente piena di pregiudizi lanciare strali e accuse e governare le vostre vite? Davvero davvero?

Abbiate dubbi, almeno quelli…

(per il video grazie allo spunto di rastaury)

Posted in Anticlero/Antifa, Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio, R-esistenze.


One Response

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  1. in nome della madre :) says

    se si smettesse di chiamare lo spermatozoo “seme”!! 🙂 scherzo sono d’accordissimo con il post…però un po’ è vero, in fondo parole come “seme” (difficilmente si sente parlare di “seme” per l’ovulo) “fecondazione”, “inseminazione” provengono da un concetto di riproduzione patriarcale e maschilista…e non richiamano affatto l’idea di due cellule che si uniscono, ma molto di più quella di una passività femminile in tutto…purtroppo le parole non le coniate voi 🙂