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Padri, ostaggi di uomini che odiano le donne

[Immagine da sugaronastick]

Mi chiamo Jenny, vivo in un paese straniero, non importa quale, e volevo parlarvi di quello che mi è successo alcuni anni fa.

Nel mio paese era nato un movimento di uomini separati e sembrava voler gestire tutto  quello che riguardava l’affido dei minori facendo scattare una emergenza inesistente.

Il compito di questo movimento sembrava essere quello di istigare odio contro le donne ed esasperare le separazioni affinchè fossero decise alcune leggi che toglievano diritti alle donne e concedevano privilegi a uomini senza scrupoli.

Per prima cosa interessava difendere gli uomini violenti, quelli che si separavano in seguito a maltrattamenti inferti all’ex coniuge o abusi compiuti sui figli, quelli che perdevano l’affetto dei propri cari per il proprio comportamento violento, per la loro natura criminale.

Il mio ex marito non era niente di tutto questo. Era una brava persona e ci siamo separati semplicemente perché non ci amavamo più.

Avevamo tutte le migliori intenzioni per fare funzionare la separazione. Chiedemmo la consensuale, non ci fu bisogno di stabilire niente perché abbiamo diviso tutto a metà. La casa fu divisa in due parti ma lui preferì affittare il suo appartamento e andare a vivere da un’altra parte per maggiore privacy e per concedersi uno spazio autonomo con nostro figlio.

Passava al bambino un mantenimento deciso da lui. Tutto era stato deciso di comune accordo. Per farlo avevamo usato un avvocato scelto da lui. Nulla sembrava andare male.

Un giorno lui seppe attraverso il bambino che io mi vedevo con un altro. Mi chiese spiegazioni e ne fui sorpresa. Avevamo deciso che nessuno dei due avrebbe interferito nella vita privata dell’altro.

Cominciò a fare discorsi strani, del tipo che non voleva che portassi un estraneo in casa in presenza del bambino e che avrei dovuto ripensarci.

Provai a parlargli, a dire che la gelosia era una cosa normale ma che viste le circostanze avremmo dovuto saperla gestire senza traumatizzare il bambino.

Lui non si fece vedere per un paio di settimane durante le quali non contattò neppure suo figlio. In quelle due settimane si era lasciato irretire da questo movimento che aspettava proprio momenti irrazionali che avrebbero dovuto essere gestiti senza che nessuno istigasse odio. Invece c’era chi esasperava i conflitti.

Bussò alla mia porta con un atteggiamento scontroso, arrogante, irrispettoso. Faceva di tutto per indispettirmi. Diceva cose strane. Che non dovevo fare entrare nessuno in casa di suo figlio, lasciando intendere che quella casa mi fosse concessa in virtù del mio ruolo materno e non perché mi apparteneva per averla pagata assieme a lui.

Diceva che avremmo dovuto ridiscutere il mantenimento, che non mi avrebbe dato soldi che io avrei speso sicuramente per divertirmi con quell’altro. Mi disse che voleva rivedere le questioni di affido.

Lo guardavo senza riconoscerlo, non sapevo più chi mi trovavo davanti. Era un perfetto estraneo, un uomo profondamente arrabbiato la cui rabbia era stata fomentata con argomenti degni dell’inquisizione.

Gli ricordai che io avevo un lavoro e mi mantenevo da sola. Lo stesso lavoro che mi aveva permesso di pagare metà del mutuo. Potevo dimostrarlo giacchè i soldi venivano prelevati puntualmente ogni mese sul mio conto in banca. Gli dissi che potevo fornirgli tutti gli scontrini e presentargli un registro delle spese mensili per dimostrargli come spendevo i soldi che lui mi dava per suo figlio.

Mi propose di andare insieme presso uno specialista che ci avrebbe aiutato a risolvere il problema. Mi ritrovai nella tana del lupo: una stanza ben arredata, con i soldi degli associati, poveri cristi come il mio ex marito, in cui un tizio senza alcuna competenza cercava di convincermi che io ero pazza, che stavo tentando di allontanare mio figlio da suo padre, che avrei dovuto essere più disponibile per il bene di tutti.

Dalla settimana successiva cominciò la costruzione delle false accuse. Il mio ex ritardò il pagamento degli alimenti per ben tre volte. La quarta volta non mi diede nulla pur sapendo che mi sarei rivolta al giudice.

Lo vidi blaterare infamie e diffamazioni in una piccola emittente: parlava esattamente come quelli del movimento. Usava le stesse parole del tizio che mi aveva fatto incontrare. Gli avevano fatto il lavaggio del cervello.

Affermava che io ero una donna adultera e avida che lo stava derubando e che non gli permetteva di vedere il figlio. Portai la registrazione dell’intervista al giudice e feci querela per diffamazione.

Il giudice mi spiegò che il mio ex sapeva perfettamente che avrebbe perso ogni causa ma la campagna era esclusivamente funzionale al movimento. Gli avvocati lo avrebbero sostenuto per servirsene su quotidiani e televisione, poi lo avrebbero mandato al macero, quando non gli serviva più. Lui era diventato il capro espiatorio esercitato a esprimere vittimismo infondato affinchè il movimento potesse basare sulle sue e sulle affermazioni di tanti come lui i propri progetti.

Fece ancora una cosa. Cominciò a trattenere il bambino oltre l’orario stabilito dal giudice. Lui sapeva che io non avevo problemi in proposito purchè questo conciliasse con la vita del bambino.

La prima volta andò a prenderlo a scuola senza avvertirmi e io passai tutto il pomeriggio terrorizzata che gli fosse accaduto qualcosa. Fui sorpresa quando la polizia mi disse che avrei dovuto aspettare un altro po’ perché “i padri sono soliti fare queste cose”.

Quanti erano dunque i padri che erano soliti fare queste cose? E perchè lo facevano? Rispondeva ad una qualche strategia? Una specie di ricatto con il bambino usato come ostaggio?

La seconda volta lo portò via all’alba e quando lo chiamai dopo 16 ore per chiedergli dove fosse mi disse che lo stavo importunando e che aveva diritto a stare con suo figlio quando voleva, come se io glielo avessi mai proibito.

La terza volta aveva giurato di riportarlo in tempo per la cena e aspettai invano fino a mezzanotte. Chiamai lui per chiedergli spiegazioni. Mi disse che il bambino stava dormendo. Chiesi come mai non mi avesse avvertito. Disse che non poteva tollerare l’ombra del sospetto. Se il bambino era con lui non dovevo disturbarlo.

La quarta volta chiesi soltanto che mi avvisasse nel caso in cui decidesse di non riportarlo, per farmi stare tranquilla e permettermi di dargli la buonanotte. Non lo fece. Io chiamai la polizia che ovviamente andò da lui a notificargli il fatto che non aveva adempiuto alle decisioni assunte nella sentenza di affido.

Il movimento aspettava che accadesse una cosa del genere. Attendeva con ansia. Aspettava anche il mio ex che vidi il giorno dopo nella stessa piccola emittente a costruirsi ancora una volta il ruolo di vittima della persecuzione di una donna (in realtà perseguitata) che a suo dire lo tradiva, non si capiva con chi, che gli negava la “paternità” e che lo faceva sentire un criminale per l’amore che lui nutriva per suo figlio.

Tutto calcolato. Tutto ben orchestrato. Con un gruppo di persone che giocavano con la nostra vita e con la vita di tanti come noi per realizzare scopi dei quali non avrei saputo niente se non fosse stato per queste circostanze.

Il sistema dunque era: contravvenire alla legge, forzare, fare ricatti psicologici, realizzare una campagna mediatica basata sulle false accuse e sul vittimismo costruito su falsi, fingere di subire persecuzione e poi accusare i giudici che regolarmente e giustamente esprimevano sentenze di condanna perchè avrebbero favorito le donne non si capisce come e perchè.

L’unica cosa vera era la vita di mio figlio, quella di suo padre oramai irretito da gente senza scrupoli, e la mia. Tre vite distrutte, manipolate e un uomo la cui fragilità è stata strumentalizzata e la cui irrazionalità è stata portata alle estreme conseguenze, fino al punto in cui un giorno vidi il mio ex alla porta di casa mia con un fucile.

Non so quale miracolo abbia permesso al mio ex di rinsavire, fatto sta che nello stesso momento in cui io cominciai a piangere, dispiaciuta per lui più che per me, a lui presero fuoco le mani e lasciò cadere quel fucile come fosse un ferro rovente.

Tremavo come una foglia, non riuscivo a credere di poter essere una delle tante vittime di cronaca nera e continuavo a chiedere “perché”.

Si accasciò per terra, in ginocchio, disperato, mi abbracciò mentre chiedeva mille volte scusa. Mi lasciò così e andò a costituirsi. Disse che aveva bisogno di aiuto e non so se qualcuno glielo abbia dato. Spero di si.

Non lo vedo da allora e mi ha scritto che vedrà suo figlio quando si sentirà pronto a vivere la sua paternità senza avere la tentazione di fare diventare suo figlio uno strumento di vendetta nei miei confronti.

Non ce l’ho con lui. Ce l’ho con quelli del movimento che hanno tolto tutto a un uomo che aveva tutto. Aveva la mia stima e il mio affetto, l’amore di suo figlio, la stima delle persone che ci amano, una vita piena, un lavoro, tanti interessi. Grazie a loro si è ridotto ad una larva accecata dalla rabbia.

Perché gli uomini di quel movimento evidentemente non hanno niente e spingono altri uomini a perdere tutto ciò che hanno per farli a loro immagine e somiglianza, per fomentarli nella loro assurda battaglia di odio violento contro le donne.

Nel paese in cui vivo la situazione un po’ si attenuata perché le donne si sono ribellate e gli uomini intelligenti hanno capito.

Per quello che mi riguarda spero che non accada mai a nessuna quello che è accaduto a me.

—>>> E’ una storia ispirata ad una testimonianza letta su un forum straniero (altro continente) di donne separate. Ogni riferimento a cose, fatti e persone è dunque puramente casuale.

Posted in Fem/Activism, Misoginie, Narrazioni: Assaggi, Omicidi sociali, Pensatoio, Storie violente.


3 Responses

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  1. popolana says

    Per il “signore” che ha lasciato qui un messaggio di intimidazioni.
    http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2010/09/06/identikit-dei-cyberstalkers-a-proposito-di-chi-vuole-mettere-a-tacere-voci-critiche/

    soprattutto nel punto che dice:

    – litigiosità legale: per ogni frase, parola, pensiero espresso inviano lettere di diffide e/o fanno una denuncia anche se non porterà a niente. Il trucco sta nel tenere sotto pressione la persona da intimidire, nel pressarla fino a farla tacere, nel terrorizzarla, nel farle spendere molti soldi in avvocati e cause legali. La vince chi ha più soldi e chi si serve delle denunce come mezzo per violentare e censurare le critiche.

    Buona lettura!