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La reazione mascolinista e la violenza contro le donne

L’articolo originale in francese [“La réaction masculiniste et les violences contre les femmes” del quale via avevamo parlato nel post sulla guerra alle madri (2°)] è leggibile qui: http://www.topicsandroses.com/spip.php?article465

Si tratta di un documento prodotto da un collettivo canadese maschile contro il sessismo.

Ringraziamo Olympe per aver scovato questo ottimo materiale e per averlo tradotto in pochissimo tempo:

(nota: alcune parti molto specifiche sulla situazione canadese sono state tralasciate nella traduzione, gli/le interessate/i possono fare riferimento all’originale)

La reazione mascolinista e la violenza
contro le donne

In questa conferenza, svoltasi davanti al Consiglio federale della Federazione interprofessionale della sanità del Quebec il 6 dicembre 2007, all’occasione della commemorazione del tristemente celebre “massacro del Politecnico” (compiuto da un pazzo assassino che voleva dimostrare il suo odio nei confronti del femminismo ammazzando quattordici donne e ferendone altre dieci), l’autore dimostra come il mascolinismo, il quale si fonda sul malessere identitario che sarebbe generato negli uomini dalle rivendicazioni di parità tra uomini e donne e dei diritti delle donne, sia un discorso di destra: un integralismo che bisogna analizzare politicamente e globalmente, e non come una resistenza psicologica e personale. Inoltre, in quest’occasione, l’autore analizza diverse manifestazioni della resistenza antifemminista nell’ambito della sanità.

Voglio innanzitutto ringraziarvi per l’immenso onore che fate a un semplice militante come me nell’invitarmi qui. La FIQ è un sindacato modello in Quebec per ciò che riguarda la sua pratica rispettosa dello spazio delle donne e allo stesso modo solidale circa le rivendicazioni pertinenti.

Quando gli antifemministi hanno cercato di far “cadere” il Consiglio dello statuto della donna, tre anni fa, l’Intersindacale delle donne lanciò una petizione, e noi, del Collettivo maschile contro il sessismo – con qualche alleato in Quebec –, una petizione per affermare che il movimento mascolinista non parlava in nome degli uomini, non in nostro nome. Siete stati più di quattrocento uomini della FIIQ a firmare questa petizione e ci tengo a ringraziarvi calorosamente per l’appoggio. Questo fece la differenza e forzò il governo Charest a fare un passo indietro, come fa sempre quando gli si tiene testa con abbastanza forza. Gli uomini della FIIQ hanno avuto l’intelligenza di fidarsi della leadership delle donne, come l’hanno fatto altri sindacati in altre centrali. Voi siete, a questo titolo, un modello per il sindacalismo quebecchese e una forza per bloccare la deriva verso la Destra.

Presentazione del collettivo maschile contro il sessismo

Noi abbiamo innanzitutto tentato di sensibilizzare altri uomini sul ruolo giocato dalla pornografia nelle dinamiche di stupro. Abbiamo incontrato uomini che sapevano molto bene quello che facevano, degli uomini che si organizzavano con altri uomini per una politica antifemminista portata avanti in nome della “condizione maschile” – non tutti gli uomini, assolutamente, ma abbastanza uomini da nuocere gravemente alla parità tra i sessi, soprattutto grazie all’aiuto dei mass media. Degli uomini organizzati in reti a scala internazionale, che lavorano allo scopo di invalidare e bloccare i progressi delle donne e, soprattutto, per proteggere i privilegi degli uomini i più egoisti e violenti, certamente i meno meritevoli. Questi uomini lavorano per rinforzare e accrescere alcuni privilegi maschili abusivi. Per esempio, reclamano l’immunità per la violenza maschile all’interno della famiglia, per i pedofili soprattutto, e il “diritto” di tagliare i viveri alle donne e ai bambini dopo un divorzio.

I loro gruppi reclutano adepti anche in prigione, e se ne vantano; noi l’abbiamo costatato assistendo – a rischio della nostra vita – alle loro riunioni, dove uomini si vantavano di aver stuprato la loro moglie perché affermavano di averne il diritto, nello spazio privato della loro dimora.

I media parlano poco di questa natura iperaggressiva del movimento. A credere ai messaggi che ci indirizza la televisione, questi uomini sarebbero semplicemente “destabilizzati”: vivrebbero un “malessere” e sarebbero spinti all’angoscia e al suicidio dalla richiesta di un po’ più di equità tra uomini e donne. A credergli – e voi riconoscerete certamente in questo lo stesso discorso dei tenori della Destra –, sarebbe arrivato il tempo di invertire il corso e di opporre al femminismo un valore che si pretende simmetrico, la “parola degli uomini”, il “mascolinismo”. Ma, strano paradosso: i mascolinisti, che pretendono di parlare nel nome di tutti gli uomini, rappresentano soprattutto dei criminali…! Ammettiamo che non si tratta certo del ritratto il più lusinghiero degli uomini… e, contrariamente a ciò che spesso si spaccia, a proposito delle femministe che odierebbero gli uomini, queste associazioni di stupratori e picchiatori non vengono certo dal femminismo, ma dai loro oppositori. Bizzarro…

Per coloro i quali, tra voi, che sono genitori o che hanno intenzione di diventarlo, cercano di agitarvi insinuando che i vostri figli lasceranno la scuola o, quanto meno, avranno performance basse; e questo a causa delle donne, dominanti nel mestiere dell’insegnamento, e favorite da questo clima femminile nello studio e nel rendimento scolastico.

Ma se sono le donne a ritrovarsi insegnanti alle primarie e alle secondarie – come d’altra parte negli impieghi che implicano le cure degli altri – non è forse perché questi posti sono ancora sottopagati e che gli uomini sono abituati ad interessarsene molto meno, a trascurare questi “lavori da donne”? Questa è un’altra buona ragione per lottare – come voi lo fate – per una reale uguaglianza salariale, piuttosto che lasciare che gli antifemministi tolgano degli impieghi a delle insegnanti qualificate e calorose – delle eroine della vita quotidiana, che si spendono tutti i giorni generosamente per evitare che ragazzini e ragazzine lascino la scuola – e pagare di più degli uomini con idee maschiliste per convincerli ad insegnare alle primarie e alle secondarie.

D’altra parte, mi sembra che i vostri posti di lavoro siano minacciati da un discorso reazionario simile, a proposito della rete di cura della salute mentale. I mascolinisti pretendono che gli uomini non riescono a trovare aiuto oggi, sotto il pretesto che un vero uomo sarebbe incapace di parlare dei propri problemi ad una semplice donna – una notizia certamente sorprendente per tutte le donne che aiutano, incoraggiano, sostengono i loro compagni o mariti da anni…

Comprendiamo come, sotto l’involucro umanista e liberale, il mascolinismo è effettivamente un integralismo – un fondamentalismo come quello denunciato a proposito dei gruppi religiosi che vogliono riservare a un sesso piuttosto che all’altro i rapporti professionali con i loro adepti. A credergli, solo un uomo potrebbe
rispondere ai bisogni di un uomo. Questi uomini reclamano, in quanto gruppo di pressione, degli accomodamenti irragionevoli contrari alle libertà fondamentali delle lavoratrici. Risultato: alcuni e alcune tra di voi, che siete realmente qualificati, rischiate di perdere il vostro lavoro a profitto di presunti specialisti della “condizione maschile”, per i quali bisognerà liberare dei posti, i vostri, quelli che vi siete meritati con la vostra reale esperienza e le vostre lotte sindacali nella rete sanitaria.

Questo movimento funziona così come alibi della strategia della privatizzazione della sanità, poiché il travaglio di ascolto e sostegno, oggi svolto da donne impiegate, rischia di essere rinviato ai privati: questo si farà in cliniche private, dove il medico ritroverà la sua posizione tradizionale di re e maestro, allora che il suo personale si ritroverà con un salario minimo e nell’impossibilità di negoziare le sue condizioni di lavoro. Un sistema privato. Private di diritti, di denaro e, sempre più, private d’aiuto contro la
violenza domestica, poiché – voi lo sapete meglio di me – la rete sanitaria è, per donne isolate e terrorizzate, uno sportello d’accesso necessario alle risorse che possono salvare loro la vita.

Se gli antifemministi devono oggi giocare la carta della psicologia, è perché altri ostacoli, più concreti, si sono posti: alcuni ambiti hanno finalmente ceduto di fronte alle lotte delle donne. Accesso al lavoro salariato, al voto, alla contraccezione, all’educazione superiore, alle professioni liberali, ad un reddito garantito (anche se relativo), alla giustizia e ad un riconoscimento professionale per il lavoro d’educazione e di cura.

L’antifemminismo inizia a quest’epoca, come movimento di reazione a questi avanzamenti. Una resistenza prima passiva – poi attiva e violenta come quella di cui commemoriamo oggi il ricordo, rilevando come siano 850 – 665 donne e 185 minori – e non solamente 14, i decessi che bisogna imputare alla violenza sessista a partire dal 6 dicembre 1989 [N.d.R., il Quebec è una provincia canadese francofona autonoma che conta meno di 8 milioni di abitanti].

Per comprendere e disinnescare questa resistenza, credo che sia utile evitare di vederla come unicamente psicologica o personale – messaggio martellato dai media ad ogni nuovo omicidio. Quello che vi sto proponendo, è che non sia veramente a causa dello stress o di qualsiasi altra incomprensione, o di una cattiva educazione – ancora colpa delle madri – ma di uomini che resistono e si sono organizzati politicamente.

Come i padroni nel mondo del lavoro, il ricorso alla violenza – qui compresa la violenza verbale del discorso antifemminista – si spiega molto meglio – il film
Nel nome del padre lo dimostra chiaramente – attraverso la volontà di non voler dividere il potere e il denaro, di non lasciarsi imporre nulla, di non voler negoziare insieme e rispettosamente il lavoro domestico – compresi i rapporti sessuali -, ecco che gli uomini riconoscono loro stessi nei gruppi dove si riuniscono per opporsi aggressivamente ai diritti delle donne. A cominciare dal diritto agli alimenti per i bambini.

Questo si è dimostrato particolarmente evidente quando abbiamo assistito alle riunioni di gruppi come Fathers for justice o il Mouvement pour le respect et la dignité o L’Après-Rupture.

Queste organizzazioni reclutano i loro membri nelle prigioni, ma anche attraverso i media e gli organismi comunitari. Insieme, si scambiano avvocati, tattiche, appoggi, statistiche e pseudo teorie menzognere – come la “sindrome del falso ricordo” o la “sindrome d’alienazione genitoriale” – che servono loro a discreditare in tribunale e nei media coloro che denunciano incesti o, semplicemente, le madri che chiedono l’affido.

I leaders di questi gruppi preconizzano una politica d’intolleranza e di rifiuto per il congiunto aggressore da qualsiasi riconoscimento dei propri torti. Ossessionati da una guerra dei sessi – una nozione che hanno inventato loro ma che attribuiscono al femminismo – gli antifemministi cercano dei soldati da inviare al fronte. Arrivano fino ad inserire nei loro siti web delle immagini pornografiche di donne presentate come minacciose, che “utilizzano i loro corpi per controllarci”.

Questi discorsi deliranti sono dannosi, per gli uomini stessi. Ne abbiamo visti suicidarsi perché mal consigliati da avvocati improvvisati, nella più completa illegalità, per i quali nessun accomodamento è mai ragionevole, di fronte alla “nemica”… addirittura nemmeno firmare un riconoscimento delle botte inflitte alla moglie. Degli uomini sono stati così spinti al suicidio da attese chimeriche, dal sentimento irreale di essere dalla parte della ragione che è stato loro inculcato da microgruppi mascolinisti.

Ma gli antifemministi recuperano anche i suicidi maschili. Sfruttano grossolanamente la condizione di uomini marginalizzati – giovani gay con problemi, autoctoni, giocatori compulsivi, uomini sofferenti di malattie mentali o croniche, anziani – per reclamare ancora più privilegi per i maschi alfa dominanti: gli adulti etero non immigrati, il cui unico problema è una pensione alimentare che rifiutano di versare ai loro figli o dei diritti coniugali che rifiutano di condividere.

Uno dei problemi peggiori, è che anche se questi gruppi non riuniscono che una manciata di paranoici, sempre più giornalisti, giudici, politici li riconoscono: la cantilena sulla mancanza affettiva che propagano nei media fornisce un alibi comodo al sistema, che si dà da fare anche lui – più discretamente ma anche più efficacemente – a bloccare i progressi delle donne verso una maggiore giustizia.

In effetti gli antifemministi guidano e definiscono le politiche dei partiti conservatori e di destra. La nozione di una discriminazione che subirebbero gli uomini nel momento in cui si appoggia una donna – stuprata dal compagno, per esempio – viene ad aggiungersi al mito di una parità che è andata già troppo oltre, messaggio ripetuto senza sosta dai media per scoraggiare le donne e soprattutto le ragazze da ogni lotta per i loro diritti.

Possiamo anche domandarci come gli uomini ordinari “ricevano” la propaganda mascolinista, la quale tenta di convincerli che sono vittime dei privilegi accordati ingiustamente alle donne. Noi sappiamo, grazie al messaggio di odio che ha lasciato, che è proprio per l’aver sposato quest’ideologia che un antifemminista armato è andato
all’università di Montreal e ha ucciso 14 donne, il 6 dicembre 1989.

In seguito, altri antifemministi hanno moltiplicato le minacce e le aggressioni, senza essere realmente sanzionati. Il massacro del politecnico potrebbe
riprodursi domani
. La femminista americana Andrea Dworkin pone la questione della responsabilità collettiva, di ciò che possiamo fare, in Controllo e violenza sessista, un libro
appassionante che ho tradotto quest’estate e di cui vi ho portato una ventina di esemplari.

Si presenta spesso il maschilismo come una reazione giustificata al femminismo… lo sapete da dove nasce questa propaganda d’odio indirizzata agli uomini? La scrittrice americana Barbara Ehrenreich ha scoperto che è nelle riviste per soli uomini – Playboy, Penthouse e Hustler – che questo discorso emerse a partire dal 1957, quindi PRIMA del
movimento femminista attuale. Ehrenreich scrive, in The Hearts of Men (1987) che, ogni mese, dei cronisti mascolinisti invitavano gli uomini a ritrovare la loro vita da “playboy”, a pagarsi una Mustang o una Porsche piuttosto che una familiare, e a pagarsi un buon avvocato per far saltare gli obblighi di mantenimento o per far saltare un’accusa d’incesto. Nel suo sostegno esplicito agli aggressori sessuali, il magazine Hustler di Larry Flint ha addirittura pubblicato una lista di indirizzi di tutti i rifugi antiviolenza degli Stati Uniti. Pensateci la prossima volta in cui vi si dirà che la pornografia è inoffensiva… […]

Ci sono uomini pronti a tener testa, insieme alle donne, all’antifemminismo? Sì, e ne avete dato la prova quando il vostro appoggio ha salvato il Consiglio dello statuto della donna qualche anno fa. […] Merci. Martin Dufresne.

Annessi. Qualche esempio nella rete sanitaria

Ecco qualche esempio di dossier dove possiamo osservare chiaramente gli effetti dell’antifemminismo nella rete Sanitaria.

—>>>La lotta contro l‘accesso all’interruzione di gravidanza. 19 anni fa, un picchiatore di donne di Montreal, Jean-Guy tremblay, trascinò in giustizia Chantale Daigle per
imporle di portare a termine la gravidanza quando lei aveva deciso di abortire. Quello che poche persone notarono all’epoca, è che le spese processuali furono pagate dalle lobby antiabortiste. I Chevalier de Colomb (gruppo antiabortista) aveva dodici anni prima finanziato un altro ricorso giudiziario – il tentativo di censura di una pièce teatrale femminista che fu ritirata dai cartelloni per due settimane nel 1977. Con questo voglio dire che la lobby antifemminista non si limita a qualche strampalato; è ben finanziata e non possiamo esimerci dal combatterla. Ancora oggi sei ospedali canadesi su sette rifiutano di offrire servizi di contraccezione e aborto. Un’inchiesta della Coalizione per il diritto all’aborto segnala che questi ospedali portano spesso le richiedenti su false piste, dandogli informazioni errate o mandandole da gruppi antiabortisti. Il diritto all’aborto quindi, in Canada, non è fruibile che in qualche ospedale e cliniche autonome, costantemente molestate da militanti antifemministi organizzati, e che queste trovano sempre più difficoltà a reclutare nuovi medici, poiché le procedure d’aborto sono boicottate dalla maggior parte delle nostre facoltà di medicina, nelle nostre università cattoliche.

—>>>Si continua a combattere la presenza delle donne nella medicina in nome dello stereotipo virile del medico. Qualche anno fa, il rettore della facoltà di Medicina dell’Università di Montreal, si lamentò pubblicamente del “numero troppo elevato” di studentesse selezionate. Sentiamo dire regolarmente che le donne sono dei medici meno buoni, tenuto conto delle loro responsabilità familiari. Un modo indiretto di riconoscere che i mariti sono ancora lontani dal fare la loro arte a casa, nonostante il mito della “parità spinta troppo oltre”. Si
accusano addirittura di essere troppo sensibili ai bisogni dei loro pazienti […].

—>>>Una delle tattiche antifemministe, a destra come a sinistra d’altra parte, è quella di contestare alle donne il diritto di associazione, il diritto a spazi non misti, la possibilità di esprimersi, discutere, scambiare informazioni e prendere decisioni fuori dal controllo degli uomini. Questo è un problema che emerge, tra l’altro, quando una vittima di violenza coniugale arriva in sala d’urgenza con suo marito e che questo insiste per ascoltare tutto quello che lei dice o addirittura per parlare al suo posto. […].

—>>>A questo proposito, è significativo come tutto il discorso “sostegno ai padri e ai coniugi violenti” sia stato messo in piedi dai primi ideologi dell’antifemminismo in Quebec, raggruppati attorno alla rivista Hom-Info durante gli anni ’80. La loro lotta inizia, all’epoca contro ogni tipo di sanzione giuridica per i padri e i coniugi aggressori, e prosegue ancora oggi tra gli antifemministi. Questo si fa, tra le altre cose, appoggiandosi alle “false accuse”. I gruppuscoli mascolinisti e in particolare uno di loro, installato all’Istituto di Statistica del Quebec, diffondono nei tribunali delle statistiche erronee, dove si fanno passare tutti i dossier che si chiudono senza un condanna per un caso di accusa menzognera, un procedimento di rara grossolanità.

—>>>Queste tecniche, per discolpare gli aggressori sessuali, si mettono in atto anche attraverso delle cosiddette “terapie per coniugi violenti”, sostituitesi alla giustizia un po’ ovunque, improvvisate da mascolinisti in Nord America da 25 anni. Tuttavia, i numerosi studi obiettivi che sono seguiti dimostrano l’inefficacità di questi programmi, tra le altre cose, a causa dell’assenza di patologie comuni tra gli uomini che picchiano le mogli. La lista di donne e bambini uccisi dagli uomini in Quebec dimostra che gli aggressori continuano a beneficiare di un’enorme tolleranza, un lassismo assassino per le vittime. Questa tolleranza emerge dall’antifemminismo di certi “terapeuti” ben impiantati nella rete sanitaria. Conoscete senza dubbio, come me, delle storie orribili a questo proposito. È ora di farne altrettanti scandali.

—>>>L’immunità reclamata per le violenze contro le donne non si limita alla famiglia. In parlamento, alcuni libertari di tre partiti d’opposizione federale sparano a zero sulle femministe che resistono alle nuove libertà reclamate dall’industria del sesso per vendere agli uomini delle donne povere e vittime di razzismo, costrette alla prostituzione. Si reclamano infatti per questi clienti-re nientemeno che la legalizzazione dello sfruttamento della prostituzione e dei bordelli. A quando il lavoro forzato di escort o massaggiatrici per le donne ridotte alla disoccupazione a causa della privatizzazione? Quando far prostituire la gente cesserà di essere illegale, nulla farà più ostacolo. La domanda maschile è là.

—>>>Vediamo poi degli antifemministi lottare con le unghie e con i denti contro le proposte e le modeste leggi di parità salariale. André Gélinas, autore de L’equità salariale e altre derive e danni collaterali del femminismo in Quebec, fa parte del gruppo antifemminista l’Après-Rupture (il Dopo-Rottura). Questo gruppo, che si dice un “gruppo d’aiuto”, attacca continuamente i finanziamenti, già insufficienti, ai centri per le donne stuprate.

—>>>Incesto. Un antifemminista americano, Warren Farrel, ha proposto all’Associazione dei sessuologi americani di rimpiazzare la parola “incesto”, con l’espressione “family sex”, col pretesto che il 50% dei “partecipanti” ad un incesto avrebbero trovato l’esperienza piacevole. Qualche anno prima, nel 1977, aveva fatto delle dichiarazioni inquietanti sull’incesto (“genitally caressing children”) a un giornalista di Penthouse.

—>>>Farrel non riuscì ad imporre questo cambiamento di nome, ma altri mascolinisti più abili sono riusciti a togliersi dai piedi la giustizia in gran parte dei casi d’incesto: fanno finanziare dalla rete sanitaria, in nome del “Giaretto model”, dei programmi di riunificazione familiare forzata, sotto il pretesto che questo genere di aggressioni implica sempre almeno due persone e che bisogna insegnare a perdonarsi e a vivere insieme perché, dopo tutto, un padre è essenziale e conserva dei diritti anche dopo uno stupro di un bambino o l’omicidio di una madre. Altrimenti, arriva la minaccia dei traumi provocati al figlio dall’assenza paterna.

Annessi. Uno smantellamento progressivo delle misure accordate alle donne divorziate

In reazione alla riforma che ha innalzato le tabelle delle pensioni alimentari dieci anni fa, la lobby dei padri ha già ottenuto – con l’aiuto di alcune donne presentate come l’Associazione delle nuove mogli del Quebec – uno smantellamento progressivo delle misure accordate alle donne divorziate:

—>>>è stata soppressa ad ogni fine pratico la cessione di una pensione alimentare alla sposa (anche nel caso in cui un lungo matrimonio l’abbia allontanata dal lavoro professionale;

—>>>se la prendono oggi con le pensioni alimentari per i bambini sostituendole con l’affido condiviso (che resta spesso al livello di principio, essendo la madre spesso forzata a recuperare ai mancamenti del padre);

—>>>si accorda un carattere sempre più assoluto ai diritti d’accesso paterni ai bambini e soprattutto al controllo di ogni spostamento dell’ex moglie, e questo per qualsiasi padre lo reclami, anche se disinteressato nei confronti dei figli o violento. La violenza dell’ex coniuge è raramente presa sul serio, le segnalazioni di minacce di morte si urtano al sacrosanto “diritto del padre” – una politica che è già stata sancita da numerosi morti, tutte scusate d’ufficio dai media in nome dello “stress maschile”;

—>>>infine, sapendo che il governo non vuole sanzionare i padri, il movimento antifemminista tenta sempre più di sostituirsi all’autorità poliziesca e giudiziaria con dei “rifugi” per questi uomini stressati, dei luoghi che non offrono alcun tipo di sicurezza alle persone minacciate, ma evitano agli aggressori qualsiasi perdita di libertà o privilegi.

Posted in Fem/Activism, Misoginie, Omicidi sociali, Scritti critici.


2 Responses

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  1. Fra says

    Eccellente documento. Spiega molte tendenze antifemministe.
    Che dire? Mai abbassare la guardia. Il pericolo di tornare indietro è sempre in agguato.

  2. Serbilla says

    Un documento interessante, che mostra come questo fenomeno sia sotanzialmente uguale in “almeno” due paesi (continenti?), un sunto punto per punto dell’aggressività di questi reazionari vigliacchi.