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Ancora sulla decisione della Consulta sulla custodia cautelare per stupro su donne e minori

[Immagine contro la violenza maschile sulle donne di Ladyradio]

Avevamo parlato della decisione della Consulta QUI. QUI potete leggere invece l’opinione di vari gruppi dell’Udi. Vi proponiamo ora, aldilà del fatto che lo condividiamo o meno, il comunicato redatto dal gruppo di ricerca "Generi e Famiglie" della Associazione Nazionale Giuristi Democratici, a proposito della recente pronuncia n. 265/2010 della Corte Costituzionale.

Un aggiornamento è dovuto: dei pezzi della maggioranza governativa quello che è d’accordo con la decisione della Consulta è Giovanardi, sostenitore delle tesi dei falsabusologi, ovvero di quelli che ritengono non si debba credere a donne e bambini che denunciano un abuso sessuale. La qual cosa ci riporta al dubbio già espresso circa le opinioni di una certa parte della maggioranza sulla pedofilia.

Personalmente – parlando del comunicato dei Giuristi democratici – non lo condivido in passaggi che distinguono i crimini commessi contro donne e bambini dai crimini cosiddetti della criminalità organizzata. La violenza su donne e bambini è sistematica, ha un codice, delle regole, si autotutela attraverso l’omertà e ci sono mille altre ragioni e bambini è come la mafia

Un altro passaggio sul quale bisognerebbe discutere è quello che riguarda la tutela delle vittime mentre l’accusato è in attesa di giudizio. Ci sono i centri antiviolenza, mancano comunque forme di tutela e più in generale nei casi di violenza domestica gli uomini riescono comunque a scalfire la rete di sicurezza che dovrebbe tutelare donne e bambini grazie alla legge sull’affido condiviso. Vale a dire che fino a quando non si stabilirà che un uomo violento con donne e bambini non può ottenere un affido le donne maltrattate saranno costrette a restare in balia degli uomini violenti.

Accade in ogni caso che siano le donne e i bambini ad essere costretti alla latitanza mentre i "presunti" stupratori, abusatori, violenti, continuano a fare quello che hanno sempre fatto ovvero sono ancora in condizione di nuocere alle loro "presunte" vittime. In questo senso, concordando con il fatto che il securitarismo non sia la risposta alla violenza contro donne e bambini, avendo perfino una grande avversione per le istituzioni totali nel suo complesso, bisogna ragionare su percorsi che mettano le donne e i bambini in condizione di ottenere risarcimento e vivibilità senza aver bisogno di una scorta armata. Mentre capiamo insieme quale sia un efficace antidoto al securitarismo, che non sia la giustizia fai da te, le ronde, ma forme di autodifesa plausibili e approcciabili, cultura antisessista e meccanismi di solidarietà sociale che stiano davvero dalla parte delle vittime e non dei carnefici, vi auguriamo una buona lettura!

ASSOCIAZIONENAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI

Gruppo di ricerca “generi e famiglie”

La modifica dell’art. 275 comma 3 del codice di procedura penale che prevede l’obbligatorietà della misura custodiale in carcere per determinate ipotesi di reato è stata fortemente voluta dal Ministero delle Pari Opportunità quale “palliativo” capace di “sedare l’opinione pubblica” a fronte dell’incapacità di garantire adeguata protezione alle vittime donne e minori che scelgono di denunciare situazioni di violenza sessuale, atti sessuali con minorenne e prostituzione minorile.

Non si può certo pensare che soluzioni repressive irrazionalmente generalizzanti possano essere di per sé solo sufficienti a tutelare le vittime e ad avere efficacia deterrente.

Nel nostro ordinamento, l’applicazione delle misure cautelari è subordinata a specifiche condizioni di applicabilità (273 c.p.p.) ed a esigenze cautelari (274 c.p.p.). La custodia cautelare può essere disposta solo quando ogni altra misura cautelare risulti inadeguata (275 co.3 c.p.p.).

La pericolosità sociale dell’indagato ai fini della custodia cautelare in carcere è presunta unicamente per i reati di criminalità organizzata. Nelle altre ipotesi èsempre il giudice che, valutando anche la pericolosità del soggetto, deve decidere quale sia la misura cautelare più adeguata al caso concreto.

E’ pericolosissimo collegare a situazioni che si ritengono di allarme sociale l’obbligo di detenzione cautelare carceraria, anzi, è anticostituzionale, perché mina alle basi iprincipi cardine del nostro ordinamento democratico.

L’intervento della Corte Costituzionale era dunque dovuto e le reazioni emotive a questa sentenzasono inutili e ancora una volta espressione della politica del Governo Berlusconi che cerca di stravolgere i principi fondamentali del nostro ordinamento con la legislazione dell’emergenza.

Dire che la sentenza della CorteCostituzionale è ingiusta è espressione dell’incapacità di pensare ed attuare una risposta adeguata per prevenire tutti i crimini maschili contro le donne e i minori, come peraltro raccomandato più volte allo Stato italiano dal Comitato per l’attuazione della CEDAW (Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di violenza nei confronti delle donne).

Prevedere per legge la misura cautelare più gravosa, quella della custodia in carcere, come obbligatoria, vuole solo rassicurare la collettività ma di fatto non tutela davvero chi è vittima di questa tipologia di reati, che spesso siritrova da sola ad affrontare le fasi del processo e quelle successive.Anzi, paradossalmente danneggia le donne vittime di violenze sessuali commesse da conoscenti, compaesani, amici.

Si deve prendere atto che in Italia c’è un diffuso clima culturale sessista che permea non solo chi commette questi reati, ma qualche volta anche chi è chiamato a decidere sugli stessi.

Molto spesso ad esempio nei reati di violenza sessuale la valutazione della gravità della condotta èsempre più ravvisata quando l’azione è commessa da un estraneo e su strada; al contrario, per le violenze che avvengono all’interno delle relazioni di lavoro, familiari, amicali, molto spesso viene riconosciutoun minore disvalore sociale, che a volte si traduce addirittura nella applicazione di una pena nei limiti della sospensione condizionale. Quale tutela per queste donne? Ovvero, quale tutela per la maggior parte– statisticamente parlando – delle vittime di violenza sessuale?

Detto questo, non si può pensareche il problema si risolva prevedendo la carcerazione come obbligatoria: il problema è culturale, e si risolve da un lato decostruendo gli stereotipi patriarcali sul ruolo della donna all’interno della società, e dall’altro con una adeguata formazione.

E’ tempo, anche in Italia come nel resto dell’Europa, di iniziare ad approcciare al gravissimo fenomenocriminale della violenza maschile sulle donne non soltanto attraverso l’utilizzo dello strumento penale, ma anche migliorando ed implementandol’utilizzo della l. 154/2001 e dunque degli ordini di allontanamento, fornendo ascolto e supporto effettivo, anche e soprattutto in termini psicologici ed economici, alle donne che denunciano di essere vittime ditali crimini durante la fase delle indagini e del procedimento penale.

E’ necessaria una formazione adeguata per valutare la situazione di rischio specifico che la donna corre nel momento in cui sceglie di denunciare la violenza che subisce.

Anziché imporre ai magistrati lacarcerazione obbligatoria dell’indagato è decisamente più opportuno provvedere alla formazione specifica delle forze dell’ordine e della magistratura affinché venga garantita la protezione delle vittime di tali reati, con un uso adeguato di tutte le misure cautelari previste dal nostro ordinamento.

Questo richiede molte più risorse ovviamente, forse è per questo che nessuno ha il coraggio di parlarne.

Ma è questo quello che le donne che denunciano si aspettano: non vendetta, ma protezione, e il ritorno auna vita libera dalla violenza. Questo è diritto fondamentale che lo Stato ha l’obbligo di garantire sì, ma con gli strumenti adeguati.

L’incolumità psico-fisica della vittima non trova la sua massima tutela nella privazione della libertà dell’indagato, ma in una rete di protezione che è obbligo del Governo prevedere, garantire e attuare.

Bologna – Ravenna, 22 luglio 2010

Posted in Corpi, Fem/Activism, Omicidi sociali, Pensatoio.


5 Responses

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  1. mara says

    valerio, sono assolutamente d’accordo con te!
    grazie per questo contributo.

  2. Valerio says

    La sentenza completa: http://www.cortecostituzionale.it/…md=&trmm=

    Il punto è che questi giudici della Consulta non sembrano molto imparziali nelle loro considerazioni e nella terminologia giuridica che usano… quando sostengono (come se fosse ancora vigente il codice Rocco, e non è così dal 1996! http://it.wikipedia.org/wiki/Violenza_sessuale) per esempio che una violenza sessuale sia una violenza contro il “bene” della libertà sessuale! Cito dalla sentenza, ove si indica, paragonandole ai reati di mafia, che le violenze sessuali sono:
    “delitti che, pur nella loro «gravità e odiosità», presentano «una meno spiccata caratterizzazione pubblicistica», essendo offensivi di un bene giuridico prettamente individuale (la libertà sessuale)”.

    La violenza sessuale dal 1996 è violenza contro la persona, ma questi giudici ne parlano come se non fosse così… e in più passaggi minimizzano la pericolosità sociale degli stupratori. Per es.: I reati sessuali sono “reati di evento, a carattere non necessariamente permanente, che abbracciano un’ampia gamma di condotte, tra loro estremamente diversificate, in quanto frutto di vari contesti ambientali e relazioni interpersonali, talora meramente contingenti. In questa prospettiva, se rientra nella discrezionalità del legislatore la scelta di inasprire la repressione di fatti avvertiti come particolarmente riprovevoli, quali quelli che aggrediscono la libertà sessuale, risulterebbe, di contro, censurabile l’indissolubile collegamento a tali fatti di una presunzione di pericolosità dell’autore”.

    Secondo questi togati si commettono stupri occasionalmente a seconda dello sghiribizzo momentaneo, come fosse un atto indipendente dallo stupratore e come se lo stupratore non abbia la responsabilità e non possa reiterare simili comportamenti dalla natura estemporanea (per definizione!)… Mi sveglio una mattina e mi succede di violentare una donna… ma tanto è un evento contingente e per il resto posso tranquillamente continuare a fare la mia vita di tutti i giorni. Solo che ogni tanto…
    Può capitare… a chiunque… è come una specie di tic…

    Uno stupro è un reato contro la persona, non la privazione di un “bene” (la libertà sessuale)… una specie di furto, come sembra indicare, per esempio, anche l’ambiguità della parola “fottere” in napoletano… E’ come se Marco violentando Luisa le avesse sottratto la libertà di andare con Gino… Ma intanto magari Luisa sanguina ed è gonfia di botte…

    Mia opinione è che sia giusto non chiedere pene che ledono le libertà fondamentali (il carcere preventivo è misura limite), ma quando una società non si attrezza per tutelare le vittime (che crescono ogni giorno) qualcosa bisogna pur fare… Il problema concreto a questo punto semplicemente NON VIENE RISOLTO. O meglio, non vuole essere visto e risolto. La legge minimizza la pericolosità sociale della violenza sessuale e non vuole infierire: “…l’indagato o imputato si troverebbe a subire una immotivata compressione della propria libertà personale”.

    Qui si ammette, con l’affidarsi con tutte le vaghezze e ombre del giudizio soggettivo alla discrezionalità del giudice, che c’è un vuoto legislativo ed un’insufficienza della società e delle istituzioni ad attrezzarsi ed interessarsi alla prevenzione dei femminicidi.

    Tutta questa morbidezza verso i colpevoli o presunti tali, senza una reale risposta che tuteli le vittime, crea un clima da si salvi chi può… da far west sessuale.

    Io credo solo che sia necessario inventarsi qualcosa di nuovo, come negli anni ’70 furono create le novità dei consultori e dei centri anti-violenza… in un clima però che non è quello oscurantista e reazionario e senza futuro che viviamo oggi. Forse il problema è proprio questo. Mantenere alta la vitalità e la creatività, specie al di là delle istituzioni (che sembrano diventare ogni giorno sempre più indifferenti e retrive)… destare un clima generale favorevole, capace di imprimere un cambiamento di rotta…

  3. Barbara Spinelli says

    cara, è inutile dire che sociologicamente condivido la tua analisi, ma non posso assolutamente condividerne una trasposizione sul piano giuridico, per i motivi di cui sopra.

  4. ggt says

    cara barbara, come già ti ho scritto in mailing list:

    la violenza maschile è mafia. sostenuta da “famigghie”, sorretta dall’omertà, da un esercito di negazionisti (la mafia non esiste, la violenza maschile non esiste) e da una cultura precisa. se tu conoscessi la mafia, in termini
    culturali, per la mentalità dalla quale sono sorretti e che rende tutti complici della sua sopravvivenza, cosa che sanno le donne del sud (quindi anche chi ha a che fare con la camorra) probabilmente cambieresti idea e mi
    daresti ragione. chi ha combattuto contro la mafia sa perfettamente quante e quali analogie ci sono tra i due fenomeni. sono due esercizi di dominio, due espressioni di potere, anzi si può dire che la mafia è subordinata alla
    violenza maschile perchè la violenza maschile, nel senso di mezzo guerrafondaio di coercizione e di schiavitù al patriarcato, è quella che consente ad una cultura machista come la mafia di trovare spazio di espressione.
    la mafia non è coppola e lupara. la mafia è quello che tu non vedi ma dalla quale sei educata fin dalla nascita. è un sistema didattico che sottintende la tua partecipazione attiva, quando sarai adulta, ad una società che già ti ha destinato un ruolo. non adempiere a quel ruolo
    significa “disertare”, per donne e uomini, esattamente come avviene per chi diserta dal patriarcato, significa morire, in senso fisico o sociale.
    esattamente come nella violenza maschile. non è forse questo il femminicidio?
    in sicilia le donne hanno dovuto combattere e lottare contro entrambe le cose rischiando di morire in entrambi i casi. in termini pratici se ti opponi alla mafia o ad un maschio violento devi nasconderti e devi rinunciare alla tua vita. in termini economici la mafia non ti permette di
    trovare più un cazzo di lavoro se tu non sei stata brava come loro si aspettavano e i maschi ripudiano e ti tolgono pure i figli se non fai quello che ti dicono. in entrambi i casi la tua vita è fottuta, difficile, faticosissima. di donne che hanno vissuto entrambe le coercizioni e che vivono perennemente colonizzate e sotto il dominio di questo duplice potere ne ho conosciute troppe. trovami la differenza, nella vita e non in senso giuridico, tra le due faccende e poi ne riparliamo.

  5. Barbara Spinelli says

    Care, voi dite: “La violenza su donne e bambini è sistematica, ha un codice, delle regole, si autotutela attraverso l’omertà e ci sono mille altre ragioni e bambini è come la mafia”.
    Ci sono molti altri reati per i quali si potrebbe fare questo ragionamento: droga, prostituzione, corruzione, reati ambientali..tutti sostituibili in questa affermazione.
    Allora, forse, a seconda dell’allarme sociale di volta in volta individuato, dovremmo prevedere in fase di indagini l’obbligo di custodia in carcere? Le carceri scoppierebbero, e sarebbe terribilmente pericoloso per la democrazia.
    Infrangere le regole generali dell’ordinamento con eccezioni dettate dall’incapacità di trovare adeguate soluzioni a problemi sociali pure gravissimi, significa aprire la breccia al fascismo, demolire le fondamenta dell’ordinamento democratico.

    E poi chiariamolo una volta per tutte, così da non tornarci più sopra: anche prima di questa pronuncia, per fare un esempio, se il patrigno stuprava la figlia della convivente, andava in carcere per qualche giorno/settimana. Poi il suo legale, visto che il cliente era incensurato e con un buon lavoro e bla bla bla bla, chiedeva il patteggiamento in sede di indagini preliminari. E il giudice lo concedeva. E questo usciva, con il processo definito, una pena piccina piccina, e la ragazza? E la ragazza immaginate voi quale tutela aveva avuto.
    Allora, è evidente che il problema sta da un’altra parte. Che questa persona doveva essere allontanata altrimenti.
    Basta chiedere cose facili, basta demagogia! Noi possiamo e dobbiamo pretendere di più per quelle di noi che subiscono violenza, ma non abbiamo abbastanza coraggio per farlo.